Intimità divina. Teologia trinitaria per principianti

Solennità della Santissima Trinità – anno C

Pro 8, 22-31; Sal 8; Rm 5, 1-5; Gv 16, 12-15

Tradizionalmente la Chiesa nella prima domenica dopo la solennità della Pentecoste, celebra la Santissima Trinità, il nostro Dio in tre Persone: Padre e Figlio e Spirito Santo.
Cosa significa questa celebrazione? Implica che l’uomo più in qualche modo, e in maniera comunque imperfetta, affacciarsi al mistero dell’intimità divina, della sua verità più profonda. Ed è proprio questa “verità” che la Liturgia della Parola intende approfondire, meditare, cercando di sbirciare attraverso la fessura di quello che Dio stesso ha rivelato nel corso dei secoli agli autori biblici.

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Prima lettura
Dal libro dei Proverbi (Pr 8,22-31)

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Non una semplice Bibbia

Così parla la Sapienza di Dio:
«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all’origine.
Dall’eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
pri­ma che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull’abisso,
quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell’abisso,
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».

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Questo brano del libro dei Proverbi, proclamato liturgicamente all’interno di un’assemblea domenicale nella quale si celebra la Santissima Trinità, è quanto mai evocativa. Infatti si rimanda a un contesto che supera lo spazio e il tempo, per situare fin dall’eternità la presciente sapienza divina, che si concretizza nella seconda Persona della Trinità, il Figlio, Parola vivente del Padre.
Il Figlio di Dio, generato nell’eternità dal Padre, collabora con lui e con lo Spirito per la creazione del mondo. Infatti abbiamo letto:

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io ero con lui come artefice

Ma non solo. Ci sono due connotazioni davvero interessanti che cogliamo da questo brano. Il primo riguarda il tipo di relazione che unisce le Persone divine: non una semplice convivenza, asettica; né il compiacimento ozioso delle divinità dell’Olimpo, ma bensì un’armonia collaborativa, gioiosa e affettuosa. Abbiamo letto infatti:

ed ero la sua delizia ogni giorno

Il secondo aspetto che cogliamo, riguarda non più le relazioni intradivine, ma quelle ad extra, nei confronti di chi nei riguardi della Trinità è totalmente altro. Parliamo dell’umanità. Infatti, questa rivelazione ci fa conoscere che Dio, nel suo trono oltre-temporale e oltre-spaziale, ha pensato ininterrottamente e con infinita predilezione all’uomo, ponendolo al centro dell’universo. Il brano, infatti, si conclude con queste parole:

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ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo

È un dato davvero interessante, perché viene rivelato che l’uomo, in qualche modo, è il quarto personaggio principale all’interno di questa scena di intimità divina nell’atto di creazione del mondo. E in effetti a questa familiarità affettuosa, gioiosa e perenne che il Signore ci chiama. Questo non solo perché Amore è il nome identificativo del nostro Dio, è gioioso e da creature, per mezzo del Battesimo nel sangue del suo Figlio, ci ha rigenerati nel suo grembo, ci fa fatti suoi figli (vedi approfondimenti in basso).
Il comprendere l’uomo all’interno del progetto sapienziale della creazione, rivela anche Dio nel crearli ha messo mano a tutto il suo ingegno, a tutto il suo entusiasmo, a tutto il suo amore. Per questo la creatura umana è l’opera massima di Dio, il suo capolavoro.

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Il cuore della teologia trinitaria
Questo ci apre a un ulteriore approfondimento. Quando parliamo della Santissima Trinità non parliamo di alta teologia, di concetti filosofici e difficili da comprendere, ma parliamo dell’intimità di Dio, quella che lui ci permette di comprendere attraverso quello che ha rivelato. Dio è Amore (Cfr. 1Gv 4,8), come potrebbe essere solitario, l’Altissimo, il lontanissimo, avulso da ogni contatto con l’umanità?
Se riconosciamo davvero che Dio sia Amore nella nostra vita, dobbiamo riconoscere che l’amore per essere tale necessita condivisione, partecipazione. L’amore definisce le Tre Persone della Santissima Trinità, le loro relazioni interne e quelle esterne, ossia verso l’umanità.

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È un amore innescato nell’eternità dal Padre che riversa sul Figlio che ha generato, e questo stesso amore che unisce il Padre e il Figlio è esso stesso una Persona divina: lo Spirito Santo. Ci troviamo di fronte a un grande mistero, però vedete qualche strumento per capire questa Trinità ce l’abbiamo. Pensate al sentimento forte che unisce i coniugi, uniti dal sacramento nuziale, il loro amore li rende una sola carne, un solo spirito, un solo progetto divino, senza distruggere però la loro individualità. Ecco la comunione piena, profonda e amorosa che unisce in un’unica identità le tre Persone della Trinità.

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Salmo responsoriale
Dal Salmo 8

O Signore nostro Dio, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi.
Tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.

Dopo aver mirato uno squarcio di eternità, l’armonia delle tre persone divine, impegnate nella creazione del mondo dove l’uomo appare come personaggio partecipe dell’agire di Dio, e delle sue attenzioni, ecco che il Salmo responsoriale si pone come una risposta carica di stupore, dell’orante a Dio.
L’orante stupito e spiazzato dalla tanta e immeritata tenerezza divina, immerso nello splendore del creato, guardandosi intorno riconosce che tutta la natura, tutto il mondo, rimanda a Dio perché tutto è un suo dono. All’interno proprio di questo contesto, si riconosce come la prediletta tra le sue creature dicendo:

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che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.

Siamo davvero convinti che se avessimo il coraggio in ogni momento della nostra giornata, durante le nostre attività, il lavoro, gli impegni, lo studio, gli incontri, ci ricordassimo quanto Dio ci ama e a quale dignità ci chiama, sicuramente impareremmo tutti ad amare di più anche il nostro prossimo, eviteremmo di fare molti peccati e più rapidamente ci faremmo santi.

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Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,12-15

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Contesto
È il discorso di addio di Gesù ai suoi discepoli. Il contesto è quello dell’ultima cena. Il Nazareno è consapevole che ormai ha solo poche ore di autonomia e che da un momento all’altro Giuda, accompagnato da un manipolo di soldati del tempio, verrà per tradirlo e farlo arrestare. Per questo Gesù cerca di dare ai discepoli gli strumenti necessari per poter camminare insieme quando lui, solo fisicamente, non sarà più con loro.

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La rivelazione dell’intimità divina
Benché il brano evangelico odierno sia composto di soli pochi versetti, in realtà in essi Gesù rivela qualcosa di davvero molto importante, ma anche di molto intimo di quello che succede nel cuore di Dio. Egli rivela che l’irrompere dello Spirito Santo nella comunità dei discepoli, avviene come continuatore di un’opera iniziata dal Figlio per rivelare pienamente la verità sul suo conto, e aggiunge:

Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà

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Gesù rivela innanzitutto che il piano salvifico dell’umanità è da rimontare a un progetto che riguarda tutte e tre le Persone divine. Tutti sono coinvolti, impegnati, per il riscatto dell’uomo, ognuno a suo modo, con la propria specificità – e già qui pensate che impegno, quanta briga, soprattutto quando siamo i primi a non credere nemmeno in noi stessi, figurarsi di fronte alla tanta cronaca nera propinata senza filtri dai telegiornali -.
Ma Gesù rivela anche che in Dio non esiste proprietà privata, tutto è condiviso, tutto donato, tutto compartecipato a tal punto da traboccare all’esterno di se stesso, in un moto di tenerezza incontenibile, per rivolgersi verso l’uomo.

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L’essere immagine e somiglianza di Dio
A partire da questo squarcio attraverso il quale possiamo scrutare qualcosa dell’intimità divina, sorge un’ulteriore rivelazione: quella riguardante l’uomo, la sua natura, la sua dignità.
In che maniera ci coinvolge questa rivelazione divina oggi? In che maniera l’intimità di Dio che ci è stata rivelata da questa liturgia della Parola ci interpella? Questo riguarda non solo la nostra sfera morale e spirituale, ma si tratta di qualcosa di strutturale dell’uomo, qualcosa che lo chiama in gioco come creatura, come essere vivente. Certo, perché riconosciamo che siamo stati creati a immagine di questa Trinità d’amore
!

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Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò (Gen 1,26-27).

Dobbiamo credercelo: siamo fatti per amare e la nostra vita non sarà mai veramente felice se non sarà spesa nell’amore, nella condivisione, nella riconciliazione, nella comunione comunitaria!
Molte volte ripetiamo un consiglio agli altri: “sii te stesso” oppure “l’importante è essere se stessi, non tradirsi”. Ecco allora chi sei: sei vuoi davvero essere te stesso, ama! Sii amore, sii riconciliazione, costruisci ponti. La verità su te stesso è l’amore e alla fine della tua vita, Dio te ne chiederà conto
Ben a ragione il noto gruppo musicale focolarino, Gen Rosso, cantava:

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«Come l’acqua c’è per dissetare
Come il fuoco è fatto per bruciare
Tu sei fatto per amare
Come gli occhi sono per vedere
E la bocca è fatta per parlare
Tu sei fatto per amare
Sei fatto per amare
» (Gen Rosso, Sei fatto per amare)

Ci troviamo di fronte a una verità solo apparentemente banale, perché la società di oggi ci vuole sempre più soli, chiusi, connessi ma in solitudine. Il pericolo è grave tanto a livello psicologico, perché l’uomo è un essere relazionale e una mancanza di interazioni vere, analogiche, potremmo dire, porta rapidamente a stati di depressione e disperazione, quanto a livello spirituale si rivela essere un’anticipazione di quella solitudine perenne e angosciata che sarà l’inferno.
Molto evocative, poi, risultano le parole di Papa Benedetto XVI, quando nell’Angelus del 7 giugno 2009 affermò:

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«La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore» (Benedetto XVI, Angelus, 07.06.2009).

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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