Come accogliere lo Spirito Santo come Maestro?

In quel tempo, Gesù disse [ ai suoi discepoli ]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate» (Gv 14,23-29)

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Non una semplice Bibbia

CONTESTO
In queste ultime settimane, la liturgia della Parola ci sta permettendo di meditare sulle ultime parole di Gesù, prima dell’arresto, della passione e morte. Siamo nel contesto del giovedì santo, dell’ultima cena. Poco prima Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli, e annunciato il tradimento di Giuda Iscariota, che nel frattempo, di notte, ha lasciato la comunità per svendere il nazareno per un pugno di monete.
Quello che riteniamo interessante è che Gesù anziché preoccuparsi di quello che dovrà soffrire, prepararsi psicologicamente alle umiliazioni e sofferenze, pensa invece ai suoi discepoli, si preoccupa di dare loro degli strumenti perché quando fisicamente (e solo fisicamente!) non sarà più con loro, essi possano essere in grado di continuare nel tempo e nello spazio, la sua missione salvifica per il mondo intero.

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SOLO CHI ASCOLTA, AMA VERAMENTE
Tutto il brano evangelico di oggi, l’insegnamento di Gesù, ha un tono fortemente provocatorio, teso a suscitare delle importanti domande esistenziali che riguardi il vissuto del credente a 360 gradi: dalle relazioni che intesse con gli altri, a quella con Dio, dalla sua sua sfera più umana e contingente, a quella divina a trascendente.
Da qui il titolo di questo paragrafo, a cui soggiacciono le seguenti domande: cos’è che tiene unito il vostro amore? Se lo chiedessimo a delle persone che sono sposate da alcuni decenni, sicuramente ci risponderebbero che ciò che sta alla base del loro matrimonio, che cementa la loro unione, che ravviva il loro amore nonostante gli anni che passano, è l’ascolto. L’imparare a tacere per lasciare che l’altro esprima i suoi sentimenti, le sue angosce, frustrazioni, paure e persino la sua rabbia e la sua delusione. L’ascolto impone il sapersi mettere di lato, decentrarsi, per lasciare spazio all’altro. L’ascolto fonda l’amore.
Una cosa tanto ovvia per cui non avremmo bisogno nemmeno che ce lo dica la teologia cristiana, basterebbe ascoltare una coppia di anziani che non abbiano conseguito neanche lauree o diplomi: è la vita stesso a dircelo.

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Ecco, oggi Gesù ci ripete questa cosa che davvero dovrebbe essere ovvia per tutti noi, perché ascoltandolo almeno dalla sua voce, potremmo prima o poi credere all’importanza del saperci decentrare, del saper fare spazio all’altro: che sia il coniuge, l’amico, il membro della comunità, il nemico e persino Dio stesso.

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OSSERVARE LA PAROLA
Entriamo, dunque, all’interno del brano evangelico e cerchiamo di cogliere le provocazioni di Gesù per la nostra vita cristiana. L’insegnamento si apre con questa affermazione:

Se uno mi ama, osserverà la mia parola

Ciò che stabilisce se il nostro amore nei riguardi del Signore sia vero, e non una presa in giro, è la capacità di “osservazione”, o meglio di ascolto, della sua Parola. Se pensiamo di essere cristiani veramente innamorati di Cristo, non possiamo prescindere da questa condizione posta da Gesù stesso.

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Ciò comporta che non sono le nostre parole, quello che diciamo agli altri, a stabilire la qualità del nostro rapporto col Signore, e nemmeno le nostre tante preghiere e il batterci il petto ogni domenica a Messa. L’amore per Dio si valuta in base al tempo che spendiamo nell’ascolto proattivo (cioè che si trasforma in vita concreta) della sua Parola. E come l’ascoltiamo questa Parola? Attraverso la lettura e la meditazione del Vangelo e di tutta la Sacra Scrittura. Dopo tutto, ben a ragione San Girolamo affermava che l’ignoranza delle Scritture è l’ignoranza di Cristo.
Ecco allora, la prima provocazione per noi oggi: che rapporto ho con la Bibbia? Mi sforzo di meditarla? E se non la comprendo mi impegno a leggere qualche buon libro che mi aiuti ad approfondirla?

A maggior ragione, bisogna considerare che Gesù non ci invita a un ascolto della sua Parola fine a se stesso. Egli ci invita all’osservanza di essa, cioè la capacità di tramutare il Vangelo in scelte di vita quotidiane e vincolanti.

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IL DINAMISMO INNESCATO DALL’OSSERVANZA
Le successive affermazioni di Gesù non sono meno forti, importanti e provocatorie, rispetto all’invito precedente. Continua, infatti, così il suo ragionamento:

e il Padre mio lo amerà

Nella misura in cui amiamo Cristo non a parole, ma con i fatti, con la concretezza della nostra vita che aderisce al Vangelo, ecco che viene infiammato il cuore di Dio.
In qualche modo Gesù ci rivela quello che il Padre si aspetta da noi, per comportarci come degni figli suoi: farci veri seguaci del Figlio.
Come se questo non fosse sufficiente, continua:

e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.

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Ci aspetteremmo che tutto finisca lì. Dopotutto il cristiano osservando il Vangelo non ha fatto che il suo dovere e si è “meritato” l’amore del Padre. E invece no! Inaspettatamente, l’azione benevola di Dio continua, inspiegabilmente. Il suo amore, la sua passione per l’umanità che ha creato e redento, eccede, sembra davvero incontenibile.
Dall’amore per Cristo, quello vero di cui abbiamo parlato prima, scaturiscono come una fonte, sempre nuove e maggiori grazie: il Padre apre il suo cuore a quel cristiano e, per giusta, abbandona il cielo (suo luogo di residenza), per trasferirsi nel cuore di quell’uomo, portando con sé anche il Figlio e lo Spirito Santo. Ecco allora che l’uomo diventa tabernacolo del Dio vivente. Da qui la necessità del rispetto della vita umana, in ogni suo stadio.

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LO SPIRITO SANTO, NUOVA GUIDA PER I DISCEPOLI
L’insegnamento di Gesù continua con la promessa del dono dello Spirito Santo, primo dono ai credenti concessa dopo la sua Risurrezione. La funzione della terza Persona della Santissima Trinità, è quello di aprire la mente e il cuore dei discepoli, perché comprendano, accolgano e vivano gli insegnamenti di Gesù.

Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

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Ma non solo. Come abbiamo avuto di affermare in un nostro precedente approfondimento biblico, lo Spirito Santo diventa per i discepoli la loro nuova guida, Colui che indirizzerà fisicamente il loro cammino perché la Buona Novella della redenzione possa essere accessibile a tutta l’umanità (vedi approfondimento al link in basso).

Oggi come allora, lo Spirito Santo guida la comunità dei credenti, la Santa Chiesa cattolica, lungo le strade dell’evangelizzazione e della salvezza perché nel suo peregrinare possa raggiungere nella maniera più rapida e sicura la sua meta: l’incontro sacramentale, affettivo e nuziale con Dio.

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ABBIAMO PIÙ COSE DA IMPARARE CHE DA INSEGNARE
Il riconoscimento della presenza dello Spirito Santo nella vita del cristiano comporta, come prima virtù, l’umiltà. In qualche modo è Gesù che ce lo fa comprendere, quando afferma:

lui vi insegnerà ogni cosa

Solo l’uomo che è in grado di decentrarsi, per lasciare spazio agli altri e all’Altro, l’uomo dell’ascolto, diventa u vero uomo spirituale. Egli infatti comprende che il Signore ha bisogno di cristiani credibili o, come ha affermato Papa Francesco:

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“Il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita: la coerenza di vita, proprio la coerenza di vita! Una coerenza di vita che è vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale” (Papa Francesco, Risposta alle domande poste dai fedeli in occasione della veglia di Pentecoste con i movimenti, le nuove comunità, le associazioni e le aggregazioni laicali, 18/05/2013).

Affrontando questo tema, in un nostro precedente articolo, avemmo modo di affermare:

Una cosa è chiara: Gesù ha riunito attorno a sé una comunità non di maestri, teologi o guru, ma discepoli. Non si è attorniato di scribi, dottori della legge o farisei, ma uomini e donne comuni, peccatori, fragili e talvolta anche un po’ zucconi come Pietro.
È una verità che non dobbiamo mai perdere di vista, perché la vera santità nasce dall’umiltà e non raramente coloro che frequentano le sacrestie od occupano sempre gli stessi banchi in chiesa, hanno l’intima presunzione di dover insegnare agli altri quello che devono fare e come lo devono fare (Discepoli, prima che maestri. La via dell’umiltà tracciata da Gesù)

Lasciare che lo Spirito sia nostro Maestro, implica la possibilità di inserirci in un dinamismo di continua novità, dove tutto edifica, tutto fa crescere, tutto santifica.

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IL DONO DELLA PACE
Gesù promette la pace, anzi lui è il principe della pace, portando serenità nei cuori traviati, in quelli titubanti e persino nelle persone vessate e oppresse dalle forze del male. Tutto il suo ministero si riassume in questa sorta di riconciliazione dell’umanità con Dio.
Egli, che durante tutti suoi insegnamenti ridonava la pace, ora la dona anche ai discepoli, perché abbiano la forza di affrontare gli eventi tragici dei tre giorni della sua morte, e la donerà ancora ogni volta che da risorto si presenterà a loro per fondare la loro fede. Leggiamo:

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La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20,19-21).

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!” (Gv 20,26).

Tuttavia Gesù tiene a precisare che la pace da lui donata è diversa da quella che ci si aspetterebbe:

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.

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Nel mondo contemporaneo, e soprattutto, nostro malgrado, in questi ultimi tempi, si sente parlare di pace come una semplice assenza di guerra. In realtà quella che Gesù ci intende offrire non è semplicemente la negazione di un male nel mondo, ma qualcosa di molto più ampio. Affrontando questo tema, in un nostro precedente articolo, abbiamo avuto modo di affermare che si tratti di una certa serenità che è strettamente legata all’inabitazione divina nel cuore del cristiano:

La pace donata da Cristo e preannunciata già nel suo discorso di addio, prima della passione, è qualitativamente superiore a una mera quiete psicologica o una assenza di guerre. Si tratta di una virtù cristiana fortemente legata alla temperanza e che permette al fedele in Cristo di perdurare in uno stato di serenità fiduciosa anche in mezzo alle asperità della vita. Per questo la pace da lui donata è fortemente legata alla permanenza dello Spirto Santo nel cuore e nella vita del cristiano. […]
Questo tipo di pace il Signore oggi vuole donare a tutti noi che ci riuniamo come comunità, nel suo nome, per celebrare il Sacramento della domenica. Egli viene nella nostra vita per donarci quella pace che con tanto ardore cerchiamo anche senza saperlo. È la pace che cerchiamo quando sperimentiamo le prove della vita, alla stessa aneliamo quando desidereremmo essere uomini e donne realizzati con un minimo di sicurezza economica ed affettiva. Spesso cerchiamo la pace in posti o persone che non potranno mai saziare questa sete di infinito che può provenire dal solo Cristo alla condizione da lui dettata: avere un animo riconciliato e riconciliante. (La risurrezione spirituale di Tommaso. La riscoperta della comunità come condizione d’incontro con Cristo)

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CONCLUSIONE
Ci avviciniamo rapidamente alla solennità delle Pentecoste, giorno in cui celebriamo la discesa dello Spirito Santo sui discepoli riuniti nel nome di Cristo. È una delle domeniche più importanti all’interno dell’anno liturgico, perché si fa il memoriale, si riattualizza, la promessa di Gesù per tutta la cristianità, quella di un Consolatore che rinnova il mondo intero, cominciando dai nostri cuori. Non perdiamo l’occasione di arrivare a questa solennità impreparati, facciamo in modo che le parole di Gesù sortiscano in noi un serio desiderio di rinnovamento, non perdiamo l’opportunità di cogliere e usufruire di una grazia così grande, permettiamo che il nostro cuore sia una casa accogliente per tutta la Trinità.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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