La famiglia carmelitana. Prospettive comunionali per una fraternità ad ampio raggio

INTRODUZIONE
Le provocazioni formative per quest’anno pastorale, sarà la fraternità. Dopotutto Papa Francesco, con il suo magistero, segna il cammino di tutta la Chiesa, e anche la nostra. Il suo ultimo documento, infatti è l’enciclica “Fratelli tutti”, la quale esorta a una fraternità universale e che non resti chiusa all’interno dei gruppi ecclesiali. Una fraternità che ci interpella anche all’interno della società e oltre le disuguaglianze di lingua, nazionalità, razza e religione.
A partire da questa sollecitazione, si pone anche il nostro cammino formativo di quest’anno: l’universalità della fraternità carmelitana che si realizza a partire dalla comprensione della Famiglia Carmelitana. Leggiamo nella Regola del Terz’Ordine:

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«L’Ordine Carmelitano si sente arricchito dai fedeli che sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, in risposta ad una particolare chiamata di Dio, liberamente e deliberatamente promettono di vivere la loro vita secondo le norme del Vangelo nello spirito del Carmelo. Il Terz’ Ordine Carmelitano, così come le altre forme del laicato carmelitano, ha il suo influsso sulla struttura e sullo spirito di tutta la Famiglia carmelitana. L’Ordine si impegna ad aiutarli raggiungere lo scopo che si è prefisso: risanare e sviluppare la società umana con il lievito del Vangelo.
Il Terz’Ordine Carmelitano, oppure Ordine Carmelitano Secolare, assieme agli altri gruppi comunitari di persone che si ispirano alla Regola del Carmelo, alla sua tradizione e ai valori espressi nella spiritualità carmelitana, costituisce nella Chiesa la Famiglia Carmelitana» (RTOC nn. 51-52)

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Riteniamo particolarmente interessante il concetto di famiglia carmelitana, riconosciuta dalla Regola del TOC e, quindi, dall’Ordine tutto: «Il Terz’Ordine Carmelitano […] assieme agli altri gruppi comunitari di persone che si ispirano alla Regola del Carmelo, alla sua tradizione e ai valori espressi nella spiritualità carmelitana, costituisce nella Chiesa la Famiglia Carmelitana».
Ci troviamo di fronte a un passaggio cruciale che determina la costituzione della grande famiglia del Carmelo. In essa rientrano non solo i frati, le monache, le suore di vita attiva e gli appartenenti ai Terz’Ordini, ma tutti coloro che finiscono per condividere i valori e il carisma del Carmelo: per appartenenza a una confraternita (o congrega) carmelitana, per indossare l’abitino (o scapolare) o semplicemente per frequentare le comunità ecclesiali carmelitane, che siano parrocchie, santuari, rettorie o chiese. Lì dove c’è un’animazione pastorale carmelitana, lì c’è la Famiglia Carmelitana!

Da qui, dunque, la prima provocazione. Se una fraternità carmelitana è chiusa in se stessa perché ritiene che così facendo riesce a mantenere una sorta di serenità, quella fraternità non ha più nulla di carmelitano, al contrario, tradisce lo stesso carisma carmelitano che si identifica in una fraternità universale, accogliente, inclusiva (e non esclusiva come una piccola setta).

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Per comprendere quanto qui si sta affermando, bisogna tenere conto la grande attenzione che la Regola dà all’esplicazione della fraternità come elemento carismatico dell’Ordine (nn. 43-45) e che abbiamo approfondito nella nostra precedente catechesi intitolata “Identità carismatica del Terziario Carmelitano” (raggiungibile cliccando qui o sul link in basso). Evitando, dunque, di ripeterci citiamo il solo numero 43 della Regola del TOC:

«La vita associativa dei laici del Carmelo deve risplendere per semplicità e autenticità; ogni comunità dev’essere un focolare di fraternità, in cui ciascuno si sente a casa propria, accolto, conosciuto, apprezzato, incoraggiato nel cammino, eventualmente corretto con carità e attenzione. I laici carmelitani s’impegnano perciò a collaborare con gli altri membri della Famiglia Carmelitana e con la Chiesa tutta, perché essa realizzi la propria chiamata missionaria in ogni situazione e condizione» (RTOC n. 43).

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Parafrasando quanto affermato, potremmo dire che a fondamento della fraternità carmelitana deve esserci quell’accoglienza che caratterizza l’identità del Carmelitano fin dagli arbori della sua storia e di cui parleremo nel successivo paragrafo (Cfr. Regola dei Carmelitani n. 9).

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UN ORDINE DI FRATELLI
1. I frati
Come appartenenti a un Ordine religioso di tradizione plurisecolare, non dobbiamo dimenticare che il nostro nome non è semplicemente Carmelitani, ma Fratelli della Beata Vergine Maria del monte Carmelo. È una cosa chiara che quel gruppo di persone (penitenti, laici, sacerdoti, ex crociati) che si stabilirono sul monte Carmelo ebbero chiaro fin dall’inizio: volevano essere riconosciuti fratelli.
Ci troviamo intorno alla seconda metà del XII secolo e scelsero quel luogo per l’alto valore biblico (c’era vissuto Elia, considerato modello della vita monastica), e alcune leggende dell’epoca raccontavano che persino la Vergine Maria vi si recò trasportata dall’angelo Gabriele ancora bambina, e lì fece il suo voto di verginità a Dio.
Questo piccolo gruppo venne riconosciuto nel 1214, circa, grazie al Patriarca di Gerusalemme che donò loro un documento, chiamato Formula di vita che è alla base e precede la nostra Regola.
La fraternità che identificava questo gruppo di eremiti non riguardava solo la comunità, ma si estendeva a tutti. Infatti già nella Formula di vita era presente l’attenzione all’accoglienza:

«La cella del Priore sia presso l’ingresso dell’abitazione perché venga incontro per primo ai venienti alla stessa abitazione» (Regola dei Carmelitani, 9).

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Ma non solo. Lungo il percorso storico dell’Ordine, fino a qualche decennio fa, ei conventi venivano accolti laici che pur non emettendo voti, facevano vita comunitaria con i frati. Era il caso degli oblati, o donati, persone, cioè, che si donavano, consegnavano la loro vita a Cristo nel servizio dei fratelli.
Quando poi qualche anno dopo furono costretti a lasciare il monte Carmelo a causa delle persecuzioni dei musulmani, tornarono nei loro paesi di origine e lì, un po’ per volta edificarono conventi e fraternità poco fuori le porte della città, per vivere non più da eremiti, ma unendosi agli Ordini mendicanti che nel frattempo si erano sviluppati in Europa. Perché costruivano fuori città? Perché cercavano di mantenere un certo stile di vita eremitico adattato alle esigenze pastorali dell’epoca.

Con queste parole, si esprime la Regola del Terz’Ordine Carmelitano:

«I terziari riconoscono nei carmelitani consacrati nella vita religiosa una valida guida spirituale. Vengono da loro accompagnati nel cammino per diventare contemplativi e attivi in un mondo sempre più complesso ed esigente, che allo stesso tempo cerca avidamente i valori spirituali. Perciò i laici devono essere accompagnati a vivere il carisma del Carmelo in spirito e verità, aperti all’opera dello Spirito Santo, e tendendo a una piena partecipazione e comunione nel carisma e nella spiritualità del Carmelo, per una nuova lettura carismatica della loro laicità e per una piena corresponsabilità nel compito della evangelizzazione e dei ministeri specifici del Carmelo. In questo modo i terziari carmelitani secolari diventano effettivamente e a pieno diritto membri della Famiglia Carmelitana» (RTOC n. 15)

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La cosiddetta Regola del Terz’Ordine, in realtà sono delle Costituzioni perché la Regola è la stessa per tutta la Famiglia carmelitana, esprime il rapporto tra i frati e il movimento secolare all’interno di una dialettica di riconoscimento e accompagnamento tesa a permettere ai laici di vivere più pienamente la loro vocazione carmelitana all’interno della vita quotidiana e secolare. È la qualità di questa relazione che permette ai laici carmelitani, di far parte della grande famiglia del Carmelo, di cui abbiamo parlato nell’introduzione.

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2. La genesi del Secondo Ordine
Il mondo laicale si rivelò sempre molto attento e affascinato dall’ideale contemplativo dei carmelitani. Non è un caso che il secondo Ordine, ovvero le monache, nacque dal desiderio di alcune donne che decisero di fare vita comune e insieme vivere da carmelitane, pur non professando nessun voto. Questo gruppo, generalmente chiamato beghine, cioè devote vennero poi istituzionalizzate all’interno dell’Ordine e divennero monache di clausura, grazie a un generale particolarmente illuminato, il beato Giovanni Soreth (1384-1472).

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3. Il mondo laicale
Ma non solo. A partire dal XIV secolo, il mondo laicale che ruotava attorno agli Ordini religiosi, prendeva il nome di con-fraternita o con-grega. Quelle carmelitane furono particolarmente importanti perché permisero la diffusione capillare della devozione dell’abitino del Carmelo.
Successiva è l’esperienza del Terz’Ordine che nasce come esigenza di una consacrazione laicale all’interno dell’Ordine religioso. Intento è quello di vivere la vocazione contemplativa nel tessuto secolare della società, per esserne lievito appunto.
Oggi a far parte della Famiglia Carmelitana non sono più soltanto i frati, le monache e il terz’Ordine, ma tutto quel movimento laicale più o meno indipendente che ruota attorno alle nostre chiese e ai nostri santuari. Vi rientrano coloro che portano l’abitino e si consacrano alla Vergine Maria del monte Carmelo, senza l’emissione di voti, e ne entrano tutti quei fedeli che partecipano alla vita delle nostre comunità parrocchiali e santuariali.

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CONTEMPLATIVI PER LE STRADE DEI NOSTRI QUARTIERI
Quando parliamo di terz’Ordine dobbiamo sempre tenere presente che si tratti di una affiliazione istituzionalizzata ed ecclesiastica all’interno di un Ordine religioso. Per questo dobbiamo tenere presente che i Terz’Ordini non sono semplicemente un gruppo di preghiera, una confraternita o un movimento ecclesiale come ce ne sono tanti nelle diverse parrocchie.
I Terz’Ordini, siano essi francescani, domenicani o carmelitani, sono una realtà ecclesiale completamente diversa da tutte le altre, perché si inseriscono all’interno di un tessuto canonico, ecclesiastico ed istituzionale completamente diverso dalle altre realtà. Qui si parla di una profonda comunione di vita con l’Ordine religioso di appartenenza, una condivisione del DNA. La storia plurisecolare di un Ordine religioso, diventa la storia dei frati, delle monache, dei terziari e di tutti gli appartenenti alla Famiglia Carmelitana.
Questo è quello che fonda ulteriormente la nostra fraternità. Noi cristiani siamo tutti fratelli a motivo del Battesimo, ma l’appartenenza a un Ordine religioso per mezzo dei voti, fonda ulteriormente i nostri legami, perché finiamo per parlare tutti una stessa lingua che è quella della storia dell’Ordine, del suo carisma e della sua spiritualità.

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Afferma, infatti, l’ormai Santo Tito Brandsma, martire e giornalista carmelitano:

«Il nostro Ordine somiglia a una scuola nella quale conseguiamo la pratica della virtù, o a una famiglia i cui membri tendono insieme verso un fine comune, con maggior facilità che dipendesse da sforzi individuali. […]
[Il Signore] nella sua prescienza ha chiamato l’Ordine del Carmelo all’esistenza e lo ha ricolmato di doni perché formasse una scuola di vita mistica» (T. Brandsma, La bellezza del Carmelo, pp. 99-100).

Le parole di San Tito, non possono lasciarci indifferenti. Benché egli scriva prima che ci fosse una seria riforma del mondo laicale ecclesiale e carmelitano, quello che dice è quanto mai attuale, perché rivela quello che la Chiesa si aspetta dai Carmelitani (siano essi frati, monache o laici): che siano una famiglia e, allo stesso tempo, formatori di vita mistica per il mondo intero.

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«I Carmelitani e le Carmelitane consacrati nella vita religiosa riconoscono i vantaggi spirituali e l’arricchimento che derivano alla famiglia tutta del Carmelo dai fedeli laici che, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, in risposta ad una particolare chiamata di Dio, liberamente e deliberatamente promettono di vivere il Vangelo secondo lo spirito del Carmelo. Infatti la loro partecipazione può portare, come esperienze passate insegnano, fecondi approfondimenti ad alcuni aspetti del carisma, rinnovandone l’interpretazione e spingendo a nuovi dinamismi apostolici anche mediante il “prezioso contributo della loro secolarità e del loro specifico servizio» (RTOC n. 16).

La Regola afferma qualcosa che viene solennemente detto durante il rito di imposizione dell’abitino. Infatti il sacerdote, una volta posto lo scapolare sulle spalle del fedele, afferma:

«Ricevendo questo Scapolare siete stati accolti nella Famiglia del Carmelo, consacrata in special modo all’imitazione e al servizio della Vergine Madre di Dio, perché possiate vivere per Cristo e la sua Chiesa con il medesimo spirito contemplativo e apostolico dell’Ordine del Carmelo. E perché possiate conseguire perfettamente questo ideale, con le facoltà che mi sono concesse, io vi ammetto alla partecipazione di tutti i beni spirituali dell’Ordine del Carmelo» (Rito imposizione abitino).

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Viene, dunque, riconosciuta una certa grazia di stato che si impone sul fedele che nei diversi modi riesce ad entrare a far parte della Famiglia Carmelitana. Tuttavia per riuscire a usufruire di questa grazia, al fedele viene chiesto, usando le parole della Regola del TOC sopracitata, «di vivere il Vangelo secondo lo spirito del Carmelo».
Ci troviamo di fronte a qualcosa di così’ importante per cui la Regola torna a sottolineare più avanti, nel numero 30:

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«L’Ordine del Carmelo è presente nella Chiesa con i frati e le suore di vita claustrale, quelle di vita attiva, e i laici, che partecipano in maniera diversa e graduale al carisma e alla spiritualità propri dell’Ordine. Anche i laici, infatti, possono essere partecipi della medesima chiamata alla santità e della stessa missione del Carmelo. L’Ordine, riconoscendo la loro chiamata, li accoglie, li organizza nelle forme e nelle modalità loro proprie, comunica le ricchezze della propria spiritualità e tradizione, rendendoli altresì partecipi di tutti i benefici spirituali e delle opere buone compiute da tutti i membri della Famiglia Carmelitana. Per i laici la forma più completa e organica di aggregazione è costituita dalla professione nel Terz’Ordine Carmelitano, per la quale si partecipa, nel modo proprio e specifico dei laici, al carisma dell’Ordine. Il Carmelo favorisce l’appartenenza di coppie, famiglie e giovani che desiderano conoscere e vivere la spiritualità carmelitana anche in forme nuove, prospettando il Terz’Ordine Carmelitano come forma stabile e riconosciuta di aggregazione, che può ricevere nuova linfa vitale dal confronto con queste nuove iniziative. Il carisma carmelitano, sperimentato da secoli e in svariate culture e tradizioni, offre una via sicura per il raggiungimento della santità, intesa come “”misura alta” della vita cristiana ordinaria”» (RTOC n. 30).

In questo numero della Regola, tuttavia, cogliamo un’ulteriore sfumatura che riteniamo essere davvero interessante per poter vivere dignitosamente la propria vocazione all’interno del Carmelo. Non solo si afferma che al laica carmelitano vengono concessi tutti i beni spirituali derivanti dalla carisma e dalla tradizione plurisecolare del Carmelo, ma che essi partecipano anche alle «opere buone compiute da tutti i membri della Famiglia Carmelitana».
Cosa significa? Significa non solo che della santità del singolo ne godono tutti, ma l’opera buona di uno, diventa motivo di gaudio per tutti. Come in una famiglia se a un membro di essa ne viene riconosciuta un’opera meritoria, tutti se ne sentono inorgogliti, allo stesso modo restano inadeguati e immotivati le piccoli e grandi gelosie all’interno dei sodalizi Carmelitani.

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IL RUOLO DEI TERZIARI ALL’INTERNO DELL’ORDINE CARMELITANO
Introduciamo questo paragrafo, leggendo il n. 10 della Regola del TOC:

«Già nei secoli XIX e XX si era cercato di favorire l’aspetto “secolare” dei terziari. Questa dimensione ha raggiunto il suo apice nella Regola approvata dopo il Concilio Vaticano II. Oggi dunque i terziari sono chiamati nel compito che loro spetta, cioè di illuminare e dare il giusto valore a tutte le realtà temporali in maniera tale che siano realizzate secondo i valori proclamati da Cristo e siano a lode del Creatore, del Redentore e del Santificatore in un mondo tanto secolarizzato che sembra vivere e agire come se Dio non esistesse. Dai laici carmelitani si aspetta la collaborazione per la nuova evangelizzazione che permea la Chiesa intera: per questo essi cercano di superare in se stessi la rottura tra il Vangelo e la vita. Facciano ogni sforzo nella loro variegata attività quotidiana in famiglia, nel lavoro, nella società, per ricomporre l’unità di una vita che trova nel Vangelo l’ispirazione e la forza per essere realizzata in pienezza» (RTOC n.10).

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Cerchiamo di capire il senso di questa affermazione: «si era cercato di favorire l’aspetto secolare dei carmelitani dei terziari». Prima del Concilio Vaticano II, che ha reso la Chiesa e la liturgia così come la conosciamo, i terziari erano ritenuti alla stregua dei frati e delle monache, tanto che venivano appellati col titolo di fra’ o suor e, non raramente, anche a loro veniva dato il cognome spirituale (della Croce, di Gesù bambino e così via).
Il Concilio ecumenico Vaticano II ha lavorato alacremente circa il ruolo dei laici nella Chiesa, riconoscendo che essi non sono meno favoriti nella santificazione personale, rispetto a preti, frati e suore.
Tra le affermazioni dei Padri Conciliari, all’interno della revisione ecclesiale, spicca un documento particolarmente illuminato: la Costituzione dogmatica Lumen Gentium. Riguardo il vitale ruolo dei laici all’interno della Chiesa, afferma:

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«Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali» (Concilio ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium n. 31).

Illuminata da questa Costituzione dogmatica, la Regola del Terz’Ordine afferma:

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«”Tutti i carmelitani sono in qualche modo nel mondo, ma la vocazione dei laici è quella di trasformare il mondo secolare”. Dunque, i terziari poiché laici impegnati, sono caratterizzati dalla nota di secolarità, onde sono chiamati a trattare correttamente le cose del mondo e a ordinarle secondo Dio. La loro vita è vissuta nel secolo in mezzo al popolo, dedita alle occupazioni e uffici del mondo, nelle ordinarie condizioni e vicende della famiglia e della società. Sono dunque invitati da Dio a contribuire alla santificazione del mondo, impegnandosi nel loro lavoro con lo spirito del Vangelo e animati dalla spiritualità carmelitana quale loro guida. E’ loro vocazione illuminare e ordinare le attività del mondo, in modo che si compiano secondo Cristo e così siano la lode della gloria del Creatore» (RTOC n. 28).

Ci troviamo di fronte ad affermazioni forti, che andrebbero approfondite. Innanzitutto, al laico carmelitano viene chiesto di assumere un ruolo attivo e partecipativo all’interno della Chiesa e della comunità. Non semplici membri passivi e ricettivi. Facilitati dal carisma contemplativo che hanno abbracciato, per i terziari carmelitani, cercare il regno di Dio nelle cose temporali, diventa pane quotidiano. Ma non solo. Il loro impegno di santificazione si realizza nel riorientare le realtà del mondo verso Dio quando queste non sono indirizzate a lui.

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Soprattutto la Chiesa, come abbiamo visto nella citazione della Lumen Gentium, si aspetta che i laici cristiani splendano per la loro fede, speranza e carità. Allo stesso mondo l’Ordine Carmelitano, secondo quanto espresso nel brano della Regola sopracitata, si aspetta che i terziari carmelitano, illuminino il mondo. Sono parole che ricordano un particolare insegnamento di Gesù:

Voi siete la luce del mondo; non può restare una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro padre che è nei cieli (Mt 5,14-16).

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Ci avviamo alla conclusione, con una provocazione. Molte volte nella vita del cristiano capita di essere tentati da pensieri del tipo: “Ma chi me la fa fare”, oppure “preferisco non mettermi in mostra”.
Si tratta, senza ombra di dubbio, di una falsa umiltà. È chiaro che Gesù fosse un uomo che non andava alla ricerca di riflettori accesi sulla sua persona, e men che meno si aspettava questo atteggiamento dei discepoli. Al contrario, egli chiedeva ai discepoli, e quindi soprattutto al mondo laicale cristiano e carmelitano, di essere come lievito della massa: agenti invisibili, ma efficaci al punto da provocare una trasformazione totale dall’interno.
Eppure arriva un momento nella vita di tutti in cui bisogna dare uno stacco, andare controcorrente, divenire faro di luce perché gli altri possano trovare un porto sicuro, una via retta da raggiungere abbandonando le tenebre del peccato. Giunge il momento in cui splendere diventa necessario. E si diventa luce non per se stessi, ma perché altri godano di quella luce, altri vengano illuminati. Allora, e solo allora, la nostra luce avrà senso.
Afferma il profeta Ezechiele:

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Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato (Ez 33,8-9).

A partire da questa considerazione, si comprende anche quanto affermato nella Regola del TOC a quel numero 28 che abbiamo poco sopra citato. In esso si afferma:

«[I terziari poiché laici impegnati…] sono dunque invitati da Dio a contribuire alla santificazione del mondo» (RTOC n. 28).

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Se grazie al coraggio di professare la nostra fede, anche una sola persona torna a interrogarsi sul senso della sua vita, sulla sua fede, sul suo rapporto con Dio e torna alla Chiesa, a un vero cammino di fede, noi avremo contribuito alla salvezza di quell’anima, divenendo davvero soci e alleato di Cristo nella redenzione del mondo. Nel caso in cui, invece, decidiamo, per paura o pigrizia, di non esporci con quella persona, non è che non succede niente. L’alternativa non è semplicemente un’occasione perduta per cui dall’alto Dio fa spallucce, come per dire: “Peccato, quella persona ha perso l’occasione di aiutare quell’anima”. No, il contrario di un’opera buona non compiuta vale il biasimo di Dio. Qualcosa per cui alla fine della nostra vita dovremo dare conto.
Giusto per fare un esempio, quando Gesù parla del giudizio universale, afferma che la condanna delle anime verterà non sul male compiuto, ma sul bene che avrebbero potuto fare e che invece hanno tralasciato. Leggiamo infatti nel capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo (rimandiamo anche agli approfondimenti in basso):

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Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,41-45).

CONCLUSIONE
Concludiamo questo approfondimento catechetico con alcune domande utili a suscitare tanto una sorta di condivisione comunitaria, quanto anche una riflessione personale, una revisione di vita utile per il proprio cammino di fede e per la propria vocazione all’interno di un sodalizio carmelitano.
Innanzitutto rileggiamo il n. 10 della Regola del Terz’Ordine Carmelitano:

«Già nei secoli XIX e XX si era cercato di favorire l’aspetto “secolare” dei terziari. Questa dimensione ha raggiunto il suo apice nella Regola approvata dopo il Concilio Vaticano II. Oggi dunque i terziari sono chiamati nel compito che loro spetta, cioè di illuminare e dare il giusto valore a tutte le realtà temporali in maniera tale che siano realizzate secondo i valori proclamati da Cristo e siano a lode del Creatore, del Redentore e del Santificatore in un mondo tanto secolarizzato che sembra vivere e agire come se Dio non esistesse. Dai laici carmelitani si aspetta la collaborazione per la nuova evangelizzazione che permea la Chiesa intera: per questo essi cercano di superare in se stessi la rottura tra il Vangelo e la vita. Facciano ogni sforzo nella loro variegata attività quotidiana in famiglia, nel lavoro, nella società, per ricomporre l’unità di una vita che trova nel Vangelo l’ispirazione e la forza per essere realizzata in pienezza» (RTOC n.10).

In che modo riusciamo a incarnare quella vocazione cristiana di essere collaboratori di Cristo nella redenzione del mondo? Riusciamo ad essere veramente «lode del Creatore»? Rendiamo fiero Cristo di noi col nostro atteggiamento?
La Chiesa e l’Ordine intero si aspetta dai laici carmelitani una certa collaborazione «per la nuova evangelizzazione»: che tipo di aiuto do in questo senso. Oggi uno dei mezzi di comunicazione più potente sono i social networks. Che uso faccio di facebook? Lo uso per i miei scopi, sempre troppo poco evangelici, o per parlare di Cristo? Lo uso per mettere in risalto la mia persona, e acciuffare una manciata di like, o per passare un messaggio cristiano?

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In che modo cerco di superare «la rottura tra il Vangelo e la vita»
Percepisco l’appartenenza a un Ordine religioso mendicante e contemplativo, di una storia plurisecolare? Mi sento parte di una famiglia religiosa che abbraccia realtà tanto diverse – frati, suore, monache, mondo laicale – nella sua diversità internazionale?

Sono un carmelitano, o una carmelitana, accogliente? Riconosco il valore carismatico di una fraternità che sia veramente cattolica, universale e che non resti chiusa all’interno di un ambiente chiuso e dall’aria stantia? Riconosco e accetto tutti gli appartenenti della realtà ecclesiale della parrocchia di appartenenza, come Famiglia Carmelitana?
Secondo le intuizioni del Concilio Vaticano II, la mia fede, speranza e carità, splendono a favore del mondo intero?
Riconosco negli assistenti spirituali una valida guida che mi aiutino a incarnare il carisma carmelitano nella specificità della mia vita laicale, secondo le indicazioni del n. 15 della Regola del TOC?

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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