In quel tempo, disse Gesù a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò» (Gv 14,6-14).
CONTESTO
Il brano evangelico di oggi, si apre con un’affermazione di Gesù a Tommaso, circa la sua identità. Letto così come ci viene proposto dalla Liturgia della Parola, questa affermazione sembrerebbe immotivata, priva di senso. Per questo necessita di essere contestualizzata.
In effetti, ci troviamo di fronte a una sezione narrativa, davvero importante per il Vangelo secondo Giovanni. è il discorso di addio di Gesù ai discepoli (Gv 13,31-14,31). Gesù annuncia la sua passione e la separazione, soltanto fisica, dai suoi discepoli: un evento necessario, perché permetterà loro di avere un posto preparato da Cristo stesso, nel Regno dei cieli. Leggiamo:
Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via”.
Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” (Gv 14,1-5)
Solo a partire da questa prospettiva, dunque, possiamo comprendere meglio il senso dell’affermazione di Gesù a Tommaso: non si tratta di parole al vento, decontestualizzate, ma una risposta precisa alla domanda del discepolo claudicante nella fede e che solo dopo l’evento pasquale del Figlio di Dio, potrà sperimentare una sorta di risurrezione spirituale (vedi link in basso).

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GESÙ È VIA, VERITÀ E VITA
Come abbiamo visto nei tanti nostri approfondimenti biblici, la pedagogia divina è quella di rifuggire da formule matematiche e scientifiche. Di fronte alle domande dell’uomo, Dio risponde con ulteriori domande, perché la risposta è nell’uomo stesso, nel discernimento legato alla sua quotidianità, al suo discepolato, alla scoperta dell’identità di Dio che non cede all’esibizionismo, ma impone una scoperta graduale in base alle capacità del fedele (rimandiamo ad alcuni nostri articoli, per chi desiderasse approfondire questa logica divina, ai link in basso.


Gesù è la via, il percorso sicuro che ti porta a Dio… ma il cammino, lo devi fare tu. Lui è la verità di Dio, lo rivela al mondo come Padre, come Amore tenero e misericordioso, ma per comprenderla questa verità, coglierla, farla tua, è necessario che tu ti sforzi di accoglierla e viverla. Lui, ancora, è la vita, ma per poterne godere devi cercare di meritarla, perché la salvezza è per tutti e alla portata di tutti, ma almeno il minimo sindacale per poterne godere, dobbiamo pur farlo.
Scegliere Gesù come via, significa dare un indirizzo chiaro, definito, senza ambiguità, alla nostra vita. Se la nostra fede non si concretizza nelle scelte di vita per la giustizia, la legalità, la fraternità allora, lo accettiamo oppure no, viviamo da sbandati, da senza Dio!
Se la Verità che è Cristo non la annuncio perché ho paura di essere etichettato, emarginato, perseguitato, allora anche quello non è cristianesimo, è una religione prêt-à-porter, fatta su misura per noi, piena di compromessi. Ma comunque non è cristianesimo.
Se Dio per noi resta una teoria, una dottrina, un complesso di dogmi e comandamenti, e non è vita concreta, vissuta, se non lo riconosco nella mia quotidianità, all’interno della mia comunità, della Chiesa, allora anche lì, siamo molto lontani dall’essere discepoli di Cristo.
Ecco, dunque, la provocazione che Gesù lancia a Tommaso, l’uomo della razionalità assoluta, e a ognuno di noi costantemente imbevuti di una nuova religiosità neo-pagana, in cui l’Io dell’individuo è elevato a divinità assoluta.
Tutta la seconda parte della risposta di Gesù a Tommaso, ricalca questa necessità di intraprendere un cammino, attraverso di lui, per giungere a Dio, alla sua verità:
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
«CHI HA VISTO ME, HA VISTO IL PADRE»
L’Apostolo Filippo, si pone sulla stessa scia di Tommaso. Non contento della risposta di Gesù, torna a chiedere risposte chiare, formule certe, matematiche, circa l’identità del rabbì Nazareno.
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
La questione di fondo che Gesù fa emergere, nel rispondere a Filippo, riguarda quella cecità che molte volte nella Bibbia è indice di mancanza di fede. Lo abbiamo visto non solo nelle guarigioni del Signore, ma operare persino durante la sua Risurrezione perché i discepoli aprendo davvero gli occhi, lo riconoscano accanto a loro. Giusto per fare un esempio, è il caso di Maria di Magdala al sepolcro e dei discepoli diretti ad Emmaus: la prima crede di interloquire con il proprietario del terreno dove era sistemata la tomba di Gesù (Cfr. Gv 20,11-18; vedi link in basso), gli altri invece di avere a che fare con un pellegrino ignaro di quello che succedeva nel mondo (Cfr. Lc 24,13-35; vedi link in basso).


Durante gli anni in compagnia del Maestro, Filippo chi ha visto? Cosa ha visto in lui? Gesù se l’era posta questa domanda, quando ai discepoli prima chiese chi la gente pensasse che egli fosse, e poi pose la stessa domanda alla comunità degli apostoli (Cfr. Mc 8,27-33; vedi link in basso). A quella domanda, solo uno tra i dodici riuscì a dare una risposta: Simon Pietro. Perché? Perché egli camminava accanto a Gesù, non smettendo di porsi domande sul suo conto, permettendo che le sue parole, i suoi gesti, i suoi miracoli, lo interpellassero personalmente e non gli scivolassero addosso.

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Oggi questa provocazione di Gesù, ci interpella personalmente. Cosa vediamo, quale esperienza facciamo durante l’Eucaristia domenicale? In che maniera la mia presenza all’interno di un cammino di fede, di un’esperienza ecclesiale, di un servizio all’interno della comunità, mi plasma interiormente? Cosa colgo, cosa imparo da queste esperienze? Dove e come riesco a riconoscere il volto di Cristo, a fare esperienza della sua presenza? Quale aspetto di lui colgo di nuovo?
Sono domande dalle quali non ci si può sottrarre, per non incorrere nello stesso problema di Filippo e Tommaso: camminare accanto a Gesù, avere il privilegio di essere testimoni diretti dei suoi insegnamenti, della Provvidenza divina, della misericordia del Padre, per poi farci scivolare tutto addosso, vanificare ogni cosa.
Fame della Parola di Dio?
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