Che senso ha seguire Cristo, pregare Dio, solo per avere qualcosa in cambio?

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6,22-29).

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CONTESTO
Con la terza domenica di Pasqua, i toni della Liturgia della Parola cambiano, almeno per i giorni feriali. Non si leggono più i racconti delle apparizioni del Risorto ai discepoli, ma ci si focalizza su altri aspetti del suo insegnamento.
Per comprendere appieno il brano evangelico odierno, è necessario fare un passo indietro, e comprenderne i retroscena. L’intento è quello di chiederci: perché Gesù si sta rivolgendo in questo modo alla folla? Cerchiamo dunque di capire l’assetto narrativo di questo sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni. Occupa una consistente sezione, la moltiplicazione dei pani e dei pesci che si conclude il desiderio della folla di incoronarlo re e il suo ritirarsi in luogo solitario (Gv 6,1-15). A questa scena segue quella notturna sul mare di Tiberiade in tempesta e Gesù che raggiunge i discepoli in barca, camminando sulle acque (Gv 6,16-21). A chi avesse il desiderio di approfondire questi due brani, rimandiamo ai link in basso.

Avendo colto questo retroscena, possiamo comprendere come il brano evangelico odierno, sia strettamente collegato con quello della moltiplicazione dei pani e, in particolare, con quello che ha suscitato nel cuore dei presenti.

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TRASCENDERSI
È questa la parola chiave di Gesù, questo l’invito per la gente che lo seguiva e per tutti noi. Con queste battute, infatti, si conclude il brano evangelico odierno:

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà.

L’invito a elevarsi da una materialità immanentistica, pagana e ipocrita, è una costante negli inviti di Gesù. Su questo verte un importante dialogo con i farisei, prima di subire la passione:

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Di nuovo disse loro: “Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire”. Dicevano allora i Giudei: “Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?”. E diceva loro: “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”. Gli dissero allora: “Tu, chi sei?”. Gesù disse loro: “Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo”. Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite”.
A queste sue parole, molti credettero in lui (Gv 8,21-30).
 

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Commentando questo brano, avemmo modo di affermare:

«L’invito di Gesù è quello di vivere su questa terra non come padroni assoluti della nostra esistenza, del nostro destino e dei beni di questo mondo, ma come pellegrini. Uomini e donne in cammino, insieme, come comunità, come popolo, diretti verso un’unica meta.
Questa prospettiva trascendente della vita, in maniera davvero molto paradossale, fu persa di vista dai farisei al tempo di Gesù: uomini di fede che si facevano maestri di vita spirituale e morale, ma che alla fine vivevano da atei e da materialisti, contraddicendo di fatto tutta la loro teologia» (Uomini trascesi e trascendenti. L’esortazione di Gesù ai farisei)

DI COSA SIAMO DAVVERO AFFAMATI?
Tutti siamo alla ricerca di qualcosa che ci manca e di cui abbiamo assolutamente bisogno per sentirci bene e appagati. Gli israeliti sono alla ricerca di qualcosa che possa riempire il loro stomaco e per cercarlo non hanno paura di puntare i piedi e aizzarsi contro i suoi condottieri e contro Dio. La folla del Vangelo ha trovato nella figura di Gesù colui che può creare il cibo dal poco condiviso e donarlo in abbondanza a tutti, e non vogliono che si allontani da loro, tanto che lo vanno a cercare.
Molti di noi sono alla ricerca di una pace personale che vada oltre la semplice quiete, e lo cerca nei modi e nei luoghi sbagliati: nel riconoscimento della propria persona, nell’apparire, nel denaro, nei social networks, nelle affettività disordinate e così via. Talvolta, poi, si finisce per assolutizzare queste realtà, piegandoci a nuovo paganesimo dove si rende culto non più a Dio ma a un’altra persona, a una realtà effimera, a noi stessi.

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Sono cose buone e belle, ma se non ci ricordano la loro finitezza, se non ci rimandano a colui che ne è l’Autore, allora tutto viene svilito, paganizzato. Persino il Santo patrono della nostra città, può finire per diventare per alcuni, un feticcio portafortuna, e non un uomo che impone l’imitazione delle sue virtù, per arrivare lì dove lui è arrivato: alla santità di vita, alla gioia perenne, alla libertà di spirito, alla comunionalità fraterna e, infine, alla salvezza.

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DALLA TENEREZZA, LA CONVERSIONE
Il titolo di questo paragrafo, proviene da quello che accade alle folle alla reazione di Gesù. Egli sa che loro lo seguono non perché credono che sia il Figlio di Dio e nemmeno per i suoi miracoli, lo seguono perché ha saziato la loro fame. Gesù non ha paura di svelare questa loro ipocrisia, lo fa con carità e unitamente a questo, quale buon maestro a imitazione dell’atteggiamento di Dio nella prima lettura, li esorta a un cambio di prospettiva, a una conversione per godere di una fede più matura.
Come con le folle, come con i farisei, i capi religiosi e civili della sua epoca, Gesù non si scandalizza della grettezza d’animo dei suoi interlocutori, ma indica loro una strada per vivere meglio la loro relazione interpersonale e con Dio. Lo stesso atteggiamento paziente e premuroso adotta nei nostri riguardi: desiderosi di fare grandi cose per lui e per la Chiesa, ma poi finiamo per ripetere sempre gli stessi stupidi peccati.
Dall’atteggiamento di Gesù ne consegue la reazione della folla che decide di cambiare stile di vita, convertirsi:

«Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?»

Per quanto pagani nel cuore, perché cercavano Gesù non perché credevano in lui, ma solo per un tornaconto personale, quelle persone colgono nelle sue parole e nei suoi gesti qualcosa che li aiuta a fare un cammino spirituale che li rinnovi interiormente.
Quelle parole che Gesù aveva rivolto ai discepoli, dopo che la folla si fu saziata dei pani moltiplicati miracolosamente, finalmente trova un senso:

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E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto” (Gv 6,12).

Nulla vada perduto: né i pezzi di pane avanzato, né la minima possibilità che quella gente si converta. L’amore, la provvidenza, la pazienza di Gesù ha sortito il suo effetto e la gente non se l’è lasciato scivolare addosso, anche se ha avuto bisogno di un po’ di tempo per capirlo.
Questo atteggiamento non può non metterci in crisi, perché allo stesso modo Dio viene nelle nostra vita riempiendola di doni in attesi, del pane quotidiano, delle grazie immeritate, dei tanti nostri talenti. E noi? Cosa ne facciamo? Non raramente questo nostra società così intorpidita spiritualmente e incattivita moralmente, dà per scontato tutto questo. Dà per scontato Dio, ritenendolo innecessario alla propria esistenza.

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Tuttavia, per i cristiani che si reputano tali, e intendono fare sul serio col proprio battesimo, l’atteggiamento della folla del Vangelo non può lasciare indifferenti, al contrario impone alle coscienze il mettere in moto quel sano discernimento che permetto lo scovare costante ed entusiasta della presenza di Dio nella propria esistenza, perché essa si tramuti in una lode continua.

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COSA SI ASPETTA DIO DA TE?
Arriviamo alla conclusione di questo brano evangelico. Lo facciamo con la risposta che il rabbì di Nazareth dà alle folle quando colgono l’opportunità di una seria revisione di vita.

Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato»

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Rispondendo ai suoi interlocutori, Gesù non propone una serie di norme comportamentali, di comandamenti da seguire, ma semplicemente invita a un’adesione del cuore: credere in lui. Peri noi cristiani, la fede non è l’aderire irrazionale a una serie di dogmi più o meno astratti, ma un vero e proprio atto di fede che coinvolge tutte le facoltà dell’uomo. Credere impone il fidarsi e l’affidarsi a un Dio che è Padre e ama con cuore di Madre e che di per se stesso si identifica con l’Amore. Per questa ragione, Gesù paragona il credente a un bambino che fidandosi ciecamente del genitore, si lascia guidare da lui, tenendo ben salda la mano stretta nella sua (Mc 9,30-37; vedi approfondimento in basso).

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Sembra che Gesù dica alle folle che lo cercavano, e a tutti noi oggi: «Fidati. Fidati di me che non posso volere il male per te, lasciati condurre, ci penso io a te». Ma la fede, per esistere ed essere tale, necessita da parte del credente la mansuetudine, proprio come quella di Cristo.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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