Avrai il coraggio di rispondere alle provocazioni della prima comunità di cristiani?

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.
Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.
Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levìta originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli (At 4,32-37). 

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CONTESTO
Corroborati dalla grazia pasquale e dalla meditazione della Parola di Dio, che in questi ultimi giorni ci ha fatto riflettere sulle apparizioni del Risorto e sulla modalità che sceglie per farlo, indice di un intimo desiderio divino che gli uomini si amino d’affetto fraterno (vedi approfondimento al link in basso), in questo articolo desideriamo approfondire un brano molto suggestivo, tratto dal libro degli Atti degli apostoli, a motivo dell’unità tematica offertaci dalla liturgia della Parola.
L’evangelista Luca, delinea gli aspetti salienti della primitiva comunità di cristiani: battezzati nel nome del Signore Gesù Cristo e riempiti dello Spirito Santo effuso su tutti loro nel giorno di Pentecoste.

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LA CREDIBILITÀ DELL’ANNUNCIO CRISTIANO
Il primo aspetto che siamo chiamati a comprendere nella sua pienezza, indica la qualità della comunione dei primi cristiani. L’evangelista la descrive con queste parole:

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola

Il cuore per la mentalità ebraica, antecedente alla letteratura del Romanticismo, non era considerato come la sede dei sentimenti, ma della coscienza. Per questo esso è strettamente collegato con l’anima, che secondo la mentalità classica greca, di cui era intriso Israele, era la sede della mente dell’uomo, della sua psiche, della sua capacità raziocinante. Per questo l’avere «un cuore solo e un ‘anima sola», indica che i primi cristiani erano tra loro uniti per avere un medesimo progetto di vita. Uno stile che li accomunava, che li faceva camminare uniti avendo ben in mente la meta dell’eternità alla quale tendevano e alla quale invitavano il mondo intero.

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Ad essere così uniti tra loro, si noti bene, non era il primitivo gruppo di discepoli e apostoli che avevano seguito Gesù negli anni della sua predicazione itinerante, e poi erano stati testimoni della risurrezione. Infatti l’evangelista parla della «moltitudine». Questo comporta che apparteneva proprio allo stile di vita di tutti i credenti in Cristo, una particolare comunione, come conseguenza diretta del Battesimo.
Per questa ragione, l’annuncio delle prime comunità cristiane, attecchivano in tutto il mondo e nelle diverse culture e religiosità, proprio perché alla sua base c’era la credibilità degli annunciatori.

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Per i ricettori del messaggio cristiano, lo stile di vita della comunità dei battezzati, parlava ancora prima che i singoli membri testimoniassero a voce la loro fede. La gente aderiva, quindi, non a una dottrina, a una tesi filosofica; ma a una verità religiosa su Dio, che vedeva riflessa nella vita degli annunciatori, e per questo tutti desideravano fare la loro stessa esperienza.
L’attrattiva della cristianità è proprio l’unione della comunità, come espressione visibile della presenza di Cristo in mezzo a loro. Per questa ragione, gli apostoli godevano di credibilità e favore da parte di tutti.

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LA FORZA DELLA CONDIVISIONE
Ciò che univa i primi cristiani, non era un mero sentimentalismo romantico, un tenerume a buon mercato; ma quella condivisione che è possibile solo nella misura in cui qualcuno cede qualcosa di sé, all’altro. Si tratta di fuggire dalla logica dell’accaparramento. E se ci sembra strano questa logica, o fuori dal nostro modo di vivere, perché in qualche modo mettiamo a posto la nostra coscienza con qualche spicciolo dato a chi la domenica siede fuori i portoni delle nostre chiese, la provocazione vera che ad esso soggiace è davvero molto attuale, basta cambiare prospettiva.

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Oggi nelle nostre comunità si ha molta difficoltà a lasciare spazio e visibilità all’altro. Così si finisce per contare quante volte una persona viene invitata a proclamare la Parola di Dio durante la Messa, si cronometra il tempo del sacerdote se passato più tempo con un gruppo di fedeli, o con un altro. In altri casi si pervertono il servizio a Cristo e alla comunità, rendendolo opportunità per emergere, e quindi si si comincia a sgomitare tra chi vuole sentirsi più importante dell’altro.
La provocazione della prima comunità di cristiani, quella che permise una rivoluzione culturale e sociale in tutto il mondo, è per noi oggi qui riuniti, è proprio questa: cosa sono in grado di lasciare di me, del mio tempo, dello spazio che voglio occupare agli altri?

IL RUOLO DEGLI APOSTOLI
Nella prima comunità dei cristiani nessuno era nel bisogno, perché tutti fuggivano dalla logica dell’accaparramento, dell’autopreservazione, dell’apparire, della necessità di sentirsi migliori degli altri. Garanti di questa comunionalità c’erano gli apostoli. E qui scatta la seconda provocazione: in che modo penso di poter essere un cuore solo e un’anima sola con quelli che stanno seduti dall’atra parte della chiesa? In che modo sostengo l’impegno dei pastori della Chiesa?

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All’inizio della novena al martire carmelitano S. Angelo, non possiamo non riflettere sulla sua testimonianza. Egli, dopo il lungo viaggio da Gerusalemme a Roma, e dà lì in Sicilia, quindi a Licata, portò proprio questo modello di vita apostolico, che viveva sul monte Carmelo insieme agli altri eremiti. Pur venendo, infatti, nel nome di Cristo, egli era accompagnato da una piccola comunità di frati a cui si aggiunse Goffredo, vescovo di Palermo. Morendo martire per un signorotto del posto, invitò tutti i licatesi a perseverare in questa logica di amore fraterno, invitando a perdonare il suo aggressore. Cosa ne stiamo facendo di questa eredità?

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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