Dannarsi per non essersi accorti dell’altro. La parabola di Gesù

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”» (Lc 16,19-31). 

CONTESTO
In queste settimane stiamo avendo modo di vedere come la liturgia della Parola offra alla nostra meditazione, non una lettura continua di un Vangelo, come lo era per l’opera di San Marco durante il tempo ordinario, ma un’unità tematica che ci permetta di approfondire la nostra vita cristiana e spirituale, alla luce di questo tempo di grazia e conversione, che è la quaresima.
In questo modo, il tema dell’umiltà emerso dal Vangelo che abbiamo letto due giorni fa (Mt 23,1-12; vedi approfondimento al link in basso), si riagganciava a quello che abbiamo proclamato ieri, con la pretesa e le ambizioni di superiorità che non riguardavano i soli Giovanni e Giacomo, ma tutta la comunità dei discepoli (Mt 20, 17-28; vedi anche approfondimento al link in basso).

Se dunque negli ultimi due giorni, la liturgia della parola ci proponeva una riflessione tematica sul Vangelo secondo Matteo, ecco che oggi cambiamo, per così dire, registro e siamo chiamati ad approfondire un brano proveniente dal terzo evangelista: Luca.
Ci troviamo, in particolar modo, al sedicesimo capitolo dell’opera lucana: uno spazio narrativo davvero interessante, perché raccoglie una serie di insegnamenti e parabole di Gesù legate alla corretta relazione dell’uomo con le cose, con la materialità di oggetti e realtà con la quale quotidianamente si interfaccia. Infatti, il capitolo si apre con due insegnamenti sul buon rapporto che bisognerebbe avere col denaro (Lc 16,1-8; 9-13) a cui segue la polemica di alcuni farisei particolarmente attenti, per così dire, al portafoglio (Lc 16,14-15). A questa segue due brevi insegnamenti sul rapporto dell’uomo di fede con la Legge di Dio (Lc 16,16; 16,17) e uno sull’indissolubilità del matrimonio (Lc 16,18).

Mantenere attivo un blog, comporta delle spese, purtroppo non è gratuito. Sostieni gioiacondivisa.com e la divulgazione della gioia della Parola di Dio. Farlo è semplice: basta una piccola donazione cliccando qui, o sul bottoncino a sinistra. Sii estensione di quella Provvidenza di cui abbiamo bisogno per continuare.

Ultimo insegnamento di Gesù circa il rapporto dell’uomo con la materialità, riguarda il cibo. Un insegnamento che conclude il capitolo e che è proprio il nostro brano evangelico odierno.
Perché, allora, è importante questo capitolo del Vangelo secondo Luca? Perché ci provoca profondamente nel nostro tempo di quaresima. Abbiamo visto, infatti, come questo tempo liturgico imponga all’uomo che voglia viverlo fedelmente, una sorta di apertura, nella verità su se stesso (digiuno), su Dio (preghiera) e sul prossimo (elemosina).

DUE PERSONAGGI A CONFRONTO
Gesù inizia la sua parabola, descrivendo i tratti caratteristici dei due protagonisti a confronto:

C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Da un lato abbiamo un uomo coperto da tessuti lussuosi che mangia prelibatezze, dall’altro un uomo coperto di piaghe, stesso per terra, proteso a raccogliere i minimi scarti che cadevano dalla tavola del ricco.
È interessante come il primo uomo resti anonimo, senza un nome, a differenza del primo che si chiama Lazzaro. Un nome certamente non casuale, infatti in ebraico significa: “Dio ha aiutato”. Perché resta anonimo il primo personaggio? Non è casuale nemmeno questo, abbiamo avuto modo di dirlo nei nostri precedenti approfondimenti. Quando Gesù omette di menzionare il nome di un personaggio all’interno dei suoi insegnamenti (cosa che faranno anche gli evangelisti nelle loro narrazioni), ci sta esortando a porre attenzione su di lui, perché quel personaggio senza nome potrebbero essere i suoi stessi uditori, o anche noi stessi. Il lettore, dunque, è chiamato a immedesimarsi e, in questo caso, a vigilare perché non cada nel suo errore.

Gesù, sempre nel vangelo secondo Luca, aveva accompagnato le sue Beatitudini con dei “Guai”, dei veri e propri avvertimenti, per coloro che ricchi, sono causa di oppressione per i poveri in spirito, per coloro che sono nel pianto, che sono affamati o perseguitati e così via (vedi approfondimenti ai link in basso).

Perché vigilare tenendo lo sguardo fisso sull’uomo che veste abiti lussuosi e si ingozza alla sua mensa? Perché la fine di quell’uomo sarà tragica: mangia a sazietà senza guardare chi sta a pochi passi da lui, sfinito dai morsi della fame, senza un vestito per coprire le sue nudità e per di più malato e prostrato al suolo.

LE SORTI CHE SI INVERTONO
Dopo la breve introduzione circa i due personaggi, Gesù va subito al nodo della questione. La vita terrena dei due personaggi termina, e inizia quella eterna, in cui però le sorti si invertono. Ora quello prostrato è il ricco, mentre l’esaltato è Lazzaro.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.

La domanda che dobbiamo porci guardando l’uomo ricco e pasciuto è: a cosa ha portato il suo lusso? In termini di tempo, quanto ha goduto dei suoi beni, delle sue ricchezze e dei suoi banchetti? Per quanto lunga possa essere una vita, alla fine, volenti o nolenti, questa termina con la morte. Ma non solo. Di fronte all’eternità, anche l’esistenza più longeva non è che un momento. Ben lo dice il Salmista:

Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte (Sal 90,4).

La provocazione che emerge per noi oggi, in questo tempo di quaresima, è quello di essere uomini e donne capaci di “contestualizzazione”. Di riconoscere, cioè, che tutto in questa vita, gioie e godimenti, sofferenze e prove, non sono che un momento. Tutto passa, ma la nostra meta è l’eternità. È lì che dobbiamo tendere e puntare, non sull’oggi, per quanto sia importante. Che senso avrebbe vivere una vita avendo come unico punto cruciale i godimenti: il denaro, il successo, la carriera, il cibo, il lusso, la sessualità? Queste cose non riempiranno mai l’enorme vuoto che ci portiamo dentro, che è un vuoto di senso e di pienezza. È il vuoto dell’eternità, della bellezza inconfutabile di Dio e della sua relazione con lui che passa attraverso il nostro prossimo. Solo quello potrà darci quella quiete che stiamo cercando e che spesso siamo tentati di credere che risieda in cose transitorie.

Guardando per un attimo il secondo personaggio della parabola di Gesù, siamo chiamati a riconoscere che Lazzaro non si salva per i suoi meriti: egli non voleva che mettere qualcosa nel suo stomaco, non per gola, ma per necessità. Alla fine viene salvato e condotto in paradiso perché si è fatto aiutare da Dio, come il suo nome significa. Guardando lui anche noi siamo chiamati a riconoscere che non saranno i godimenti a salvarci l’anima, tutt’altro essi ce l’appesantiranno.

IL DIALOGO CON ABRAMO
Il brano evangelico odierno continua con un dialogo che si instaura tra il ricco dannato e Abramo in paradiso:

Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.

L’inferno, come anche nel nostro immaginario cristiano, viene descritto come un luogo di fiamme perenni che investono le anime dannate. Quello è diventato il posto del ricco, perché non aveva vissuto che solo per se stesso. Prima di dannarsi per l’idolatria che ne aveva fatto dei lussi e del cibo, egli si danna perché ha vissuto nella solitudine, escludendo dalla sua vita gli altri, i bisognosi, Lazzaro appunto. Egli chiede per sé la consolazione di un dito intinto nell’acqua per le sue labbra, che non gli verrà dato. Perché? Perché ha avuto tutta una vita per donare amore e attenzione agli altri, e non l’ha data. Ora, improvvisamente, si ricorda che esiste un Lazzaro. È l’ironia degli uomini ipocriti che vivono in qualche modo anche le cinque vergini stolte di un’altra parabola di Gesù (Cfr. Mt 25,1-13; vedi approfondimento al link in basso).

Compreso che davanti a sé non ha che il frutto delle sue azioni, il ricco prova a convincere Abramo di intervenire convertendo coloro che nel mondo vivono ancora come lui:

E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”

La richiesta che fa il ricco dannato è davvero molto attuale. Egli afferma che i suoi parenti vivono da atei, perché ripetono i suoi stessi errori, e chiede che con una apparizione Lazzaro riesca a fare in modo che si convertano. La risposta di Abramo è molto saggia: i parenti in vita del ricco hanno già di per se stessi tutti gli strumenti necessari non solo per credere, ma anche per vivere da uomini credenti, nell’attenzione del prossimo e del bisognoso e nel giusto rapporto con il cibo e i lussi.

Questa è la seconda provocazione per noi oggi. Non possiamo pretendere di avere dei segni per credere, semplicemente perché in Gesù il Padre ci ha detto tutto ciò che aveva da dirci, ora sta a noi accogliere il mistero e l’insegnamento del Maestro per farlo nostro, interiorizzarlo e incarnarlo nella nostra quotidianità. Perché questo possiamo farlo, non dobbiamo dimenticare il nostro rapporto con la Sacra Scrittura, il meditarla costantemente, come esorta più volte Papa Francesco, lì c’è tutta quella volontà di Dio per noi che vogliamo compiere, promettendolo appunto nella recita del Padre nostro.

Mantenere attivo un blog, comporta delle spese, purtroppo non è gratuito. Sostieni gioiacondivisa.com e la divulgazione della gioia della Parola di Dio. Farlo è semplice: basta una piccola donazione cliccando qui, o sul bottoncino a sinistra. Sii estensione di quella Provvidenza di cui abbiamo bisogno per continuare.

Fame della Parola di Dio?
Cerca altri articoli catalogati nelle sezioni qui in basso

Ultimi articoli inseriti.

Ultimi articoli inseriti.

Ultimi articoli inseriti.

Annunci
Pubblicità

Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

6 pensieri riguardo “Dannarsi per non essersi accorti dell’altro. La parabola di Gesù

Rispondi

Effettua il login con uno di questi metodi per inviare il tuo commento:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: