La quaresima come un cammino di ritorno a casa

La quaresima è un cammino. Un cammino di ritorno a casa. Lì dove la vita ci distrae, ci porta altrove con i suoi affanni, le sue gioie e le sue prove. Lì dove non sempre si riesce ad essere fedeli a Dio, alla famiglia, alla comunità a se stessi, la quaresima si situa come un forte scossone che c’impone la domanda: “Ma dove stai andando? Fermati, guardati intorno, ma cosa ne stai facendo della tua vita, delle tue relazioni? Dove ti sta portando la tua quotidianità? I tuoi ideali combaciano con i tuoi valori?
Ecco allora il forte scossone che oggi siamo chiamati a vivere aprendo questo tempo liturgico col digiuno, l’elemosina e la preghiera.

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È un ritorno a casa, per chi si è fatto prendere dal trantran della propria quotidianità. E i ritorni a casa sono sempre belli, perché ci riportano all’origine di noi stessi, nei luoghi confortevoli della nostra infanzia, nel calore dei nostri affetti più cari, ci ricordano il tepore dei nostri posti sicuri.
È questo, dopotutto, l’invito che Dio rivolge al popolo di Israele per mezzo del profeta Gioele:

Or dunque – oracolo del Signore -,
ritornate a me con tutto il cuore (Gl 2,12).

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È un invito a riportare a Dio, quello che si è perso strada facendo, perché troppo impegnato a lavoro, troppo ripiegato su te stesso.
La domanda, tuttavia è lecita: perché ritornare? Perché metterci in cammino, sui nostri passi, e tornare a Dio?  È sempre lui, YHWH, a dircelo, a rivelarci il motivo:

Perché egli è misericordioso e pietoso,
lento all’ira, di grande amore (Gl 2,13c-d).

Quante volte cerchiamo l’amore, ci affanniamo a trovarlo, ma inutilmente? Lo cerchiamo nei posti sbagliati, ma lui solo ha l’amore che cerchiamo, l’amore di cui abbiamo bisogno, perché è lui l’Amore.

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L’INTIMITÀ DEL CAMMINO
È sempre il profeta a rivelarci che questo ritorno a casa della quaresima, è un cammino interiore, di introspezione. Lo rivela nella prima parte di quel tredicesimo versetto che abbiamo citato poco sopra:

Laceratevi il cuore e non le vesti,
ritornate al Signore, vostro Dio (Gl 2,13a-b)
.

Cosa significa? Cosa ci sta dicendo? Qualcosa di molto serio: impara ad avere in odio quel peccato che ti schiavizza, che non ti rende libero, un vero figlio di Dio. Sappi provare sofferenza per quel peccato che ti rende la caricatura di te stesso.
Di qui, dunque, l’importanza del Sacramento della Riconciliazione, o Confessione, come opportunità di una seria e profonda revisione di vita (vedi approfondimento al nostro articolo raggiungibile al link in basso).

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UN CAMMINO COMUNITARIO
Se c’è una cosa sulla quale la sacra Scrittura conviene, fin dai primi libri redatti, è che Dio non ci salva come singoli, ma come popolo, come assemblea, come comunità.
È interessante come ogni volta che un profeta indichi la via della salvezza, questa non riguardi solo pochi privilegiati, ma tutto il popolo di Israele. Questo emerge anche nel brano tratto dal profeta Gioele, che abbiamo commentato proprio in questo articolo.
Ci troviamo di fronte a una forte provocazione per la nostra vita cristiana. L’autore sacro è come se ci dicesse: “Se pensi che basti a te stesso, che non hai bisogno di niente e di nessuno, ti stai illudendo”.
Non è un caso, infatti, che l’altro è così importante per la nostra vita cristiana e spirituale, che è la chiave di accesso per il regno dei cieli, la condizione perché possiamo godere della salvezza eterna (vedi approfondimento al link in basso).
Dopotutto, anche la stessa parola “conversione”, suppone un cambio di marcia, un nuovo vergere-con, cioè insieme a qualcun altro.

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LE INDICAZIONI PENITENZIALI DI CRISTO
Il brano evangelico che la Chiesa proclama nel giorno del mercoledì delle ceneri, è alquanto evocativo, perché fornisce ai cristiani di tutte le epoche i tre strumenti grazie ai quali è possibile intraprendere questo cammino di ritorno a casa, che è la quaresima. Leggiamo:

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,1-6.16-18).

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Al di là del contesto narrativo nel quale si inserisce questo brano, che adesso non rientra nell’interesse del nostro approfondimento, cerchiamo di capire il senso di questi tre strumenti individuati da Gesù: preghiera, digiuno ed elemosina.
Cerchiamo di approfondire singolarmente questi elementi.

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Preghiera
Come possiamo dirci cristiani se non preghiamo, se non riusciamo a trovare tempo tra gli impegni, gli hobby, il lavoro? Un cristiano che non prega, come può dirsi tale se non entra in dialogo col Padre? Si finisce per venerare se stessi, ma non Dio.
Pregare, è vero, è una gran perdita di tempo, significa sprecarlo. Tuttavia ogni vera relazione può durare nel tempo solo se si impara a sprecare il tempo per l’altro. Se un marito non impara a perdere tempo con la moglie, portandola a fare shopping, se non la ascolta, è chiaro che quella relazione non durerà parecchio nel tempo.
E lo stesso vale nella nostra relazione con Dio.

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Digiunare, perché?
Il digiuno ci aiuta ad essere padroni di noi stessi. Oggi viviamo una vita con lo sguardo sempre puntato sulla pancia: sulla nostre necessità! Non è inusuale che il cibo è il primo pensiero di una mamma di famiglia al mattino, e quello di un padre quando torna a casa. Eppure non moriremmo saltando un pasto.
Digiunare significa imparare ad alzare lo sguardo, tornare a guardarci dritti negli occhi, imparare a guardare tutto da un’altra angolazione, non più la mia, ma quella degli altri. Significa imparare a decentrarsi, per ricordarci che non è vero che tutto debba girare attorno a noi: piani, desideri, necessità, ambizioni.
Se internet e la tv diventano una dipendenza che ti impediscono di trovare tempo per Dio e per gli altri, ecco che quello diventa il più efficace dei digiuni. Impariamo, soprattutto, a digiunare dai pettegolezzi, dagli sfoghi su facebook, dai giudizi e pregiudizi. Digiuniamo dall’arroganza di crederci sempre nella ragione, superiore a tutti.

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L’elemosina
Essa è amare non dare spiccioli ai poveri per mettere a posto la coscienza. È la concretizzazione di una vita di preghiera e di digiuno, perché impari a riconoscere nel volto dell’altro quello di Cristo.
L’elemosina non è dare il superfluo, ma imparare a donarsi completamente agli altri, morire per loro, perché l’amore è tale solo se costa fatica, perché l’altro va perdonato e accolto anche quando non ne abbiamo voglia.
Imparare a dare in elemosina il tuo tempo per ascoltare chi ti è accanto, per fare visita a
chi vive nella solitudine, a chi magari ha qualcosa da dirti, spiegarti e tu non vuoi ascoltare

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

12 pensieri riguardo “La quaresima come un cammino di ritorno a casa

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