Discepoli, prima che maestri. La via dell’umiltà tracciata da Gesù

VIII domenica del tempo ordinario – anno C

Sir 27,4-7; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45

Vangelo
Dal Vangelo secondo san Luca (Lc 6,39-45)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro. 
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. 
Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. 

L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore».

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Prima di pensare di poter insegnare, sappi farti discepolo
Una cosa è chiara: Gesù ha riunito attorno a sé una comunità non di maestri, teologi o guru, ma discepoli. Non si è attorniato di scribi, dottori della legge o farisei, ma uomini e donne comuni, peccatori, fragili e talvolta anche un po’ zucconi come Pietro.
È una verità che non dobbiamo mai perdere di vista, perché la vera santità nasce dall’umiltà e non raramente coloro che frequentano le sacrestie od occupano sempre gli stessi banchi in chiesa, hanno l’intima presunzione di dover insegnare agli altri quello che devono fare e come lo devono fare. Ecco, oggi Gesù lo dice chiaramente:

Può forse un cieco guidare un altro cieco?

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La tentazione del fariseismo è qualcosa con la quale costantemente dobbiamo avere a che fare: talvolta lottando con noi stessi, con la nostra fragilità, talvolta incrociandola nelle nostre comunità parrocchiali. L’umiltà del silenzio, e un sano discernimento che proviene da un’anima strettamente unita a Dio attraverso l’esercizio quotidiano della preghiera e della meditazione della Parola di Dio, ci permetteranno di fronteggiare queste difficoltà, senza creare troppi strappi o divisioni.

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Imparare a spostare lo sguardo dai difetti altrui ai propri
Il successivo invito di Gesù, riguarda quello di prestar attenzione a non star sempre a giudicare la vita degli altri.

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. 

Ci troviamo di fronte a un atteggiamento tanto comune nelle nostre realtà ecclesiali, quanto triste: il frequentare la Chiesa, talvolta prestandone anche un servizio, per poi cadere nel più banale, e anche pericoloso, degli errori: star lì per spettegolare sugli altri fedeli, mormorare sulle scelte del parroco, sentenziare sullo spessore morale di chi entra in Chiesa, e così via. Non è un caso che alcuni degli esorcismi di Gesù siano avventi all’interno di contesti liturgici (vedi approfondimenti ai link in basso).

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Se le nostre relazioni non sono fondate sulla carità, non saranno mai secondo il vangelo e la volontà di Dio. Anche nel riprendere l’altro quando si avvia per i sentieri tortuosi del peccato, perde di credibilità quando la nostra vita non è conforme al Vangelo, quando scendiamo a compromessi con la fede, quando ci facciamo una morale su misura o ci crediamo perfetti interpreti del pensiero di Dio.
Prima o poi dobbiamo comprendere che la verità senza carità è solo una grande menzogna, e chi vive di essa altro non si rivela che discepolo di satana. Dopotutto è Gesù stesso a dirlo:

Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna (Gv 8,44). 

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Viviamo in un’epoca ambigua e vigliacca, dove i leoni da tastiera lanciano improperi insensati e ottengono consensi, like e followers, ma non sarà la nostra popolarità su facebook o instagram a salvarci.
Al contrario, solo l’amore è degno di credibilità, anche quando risulta impopolare, anche quando costringe a nuotare controcorrente.

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Cosa ne stai facendo della tua vita?
Il titolo di questo paragrafo proviene dalla successiva provocazione che Gesù lancia ai suoi uditori:

Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. 

La domanda che Gesù suggerisce di porci è: cosa ne sto facendo della mia vita? Delle mie relazioni? Del mio essere all’interno della comunità? Quali sono i frutti che sto portando, posto che lo stia facendo?
Perché è importante porsi queste domande? perché ci permetteranno d fare una sorta di revisione di vita, raddrizzare il tiro, convertirci, farci santi e salvarci. Se sto facendo il vuoto attorno a me, se entro in chiesa e faccio il mio gruppetto di adepti con il quale sparlare con gli altri, forse non si stanno portando frutti buoni. Se riempio i miei dialoghi di parole di disprezzo per gli altri, se creo fazioni, sparlo, mormoro, giudico, manipolo, complotto. Beh, allora c’è davvero di che convertirsi, e farlo prima che questi peccati diventino cronici, finiscano per avvelenare la mia anima, corrompermi al punto tale da non poter più cambiare.

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Giusto alcuni giorni fa, abbiamo avuto modo di approfondire come ci siano luoghi, spazi vitali, tanto compromessi che Gesù non ci mette nemmeno piede e impone ai suoi discepoli di fare altrettanto. È il caso, per esempio, della città di Betsàida, ma anche quella di Gerasa: luoghi malsani, infestati di negatività e spiriti impuri, in cui non è il caso frequentare per non restarne avvelenati (vedi approfondimento al link in basso).

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Di fronte alla provocazione di Gesù, non possiamo non domandarci: le persone che si avvicinano a noi, quali frutti raccolgono? Il frutto della superbia, dell’ira, della chiusura, del pettegolezzo, o quello dell’amore, dell’accoglienza e della riconciliazione?
La verità di noi stessi, la qualità della nostra vita cristiana, ciò che ci definisce come discepoli o ciarlatani e millantatori, non siamo noi a dirlo, ma la nostra vita. Potremmo dire molte menzogne su di noi, metterci molte maschere, ma alla fine, le scelte che facciamo quotidianamente, le tante parole inopportune che pronunciamo ogni giorno, parlano per noi, rivelano chi veramente siamo, prima ancora di fare tanti panegirici sulla nostra presunta umiltà.

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Se vuoi sapere se il tuo albero da spine o uva, devi chiederlo agli altri, alla comunità, a quel terreno che ti è accanto a cui parla con la tua stessa vita, perché spesso con noi stessi non siamo affatto obiettivi. Guardati intorno, abbi il coraggio di guardare negli occhi quel fratello che ti ha ferito, che non ti è simpatico, che sembra avere più successo di te e osa chiedergli di te, cosa dice la tua vita circa il suo discepolato.
C’è una frase molto bella di San Giovanni Bosco ed è incisa sul cancello di un oratorio dei salesiani nella città di Taranto, che recita:

Se non hai un amico che corregga i tuoi difetti, paga un nemico che ti renda tale servizio

San Giovanni Bosco
Cancello dell’oratorio salesiano nella città di Taranto. Nel pannello a destra, la citazione del santo.

In un’era in cui l’amor proprio viene esaltato e sembra quasi un’assurdità potersi permettere di dire a qualcuno che si sta sbagliando e che il suo atteggiamento è tutt’altro che cristiano, le parole di don Bosco non possono che far riflettere sull’importanza di farci santi, crescere nella perfezione delle virtù, come una revisione di vita urgente e continuata.

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«La bocca parla dalla pienezza del cuore»
C’è una relazione strettissima tra il cuore e il modo in cui ci relazioniamo agli altri, tra i nostri sentimenti e i nostri pensieri e le nostre scelte, le nostre parole.
Per Gesù non esiste il parlare per il parlare, perché anche quello proviene in qualche modo da una certa superficialità di pensiero, una immaturità personale. Così da un cuore arrogante e superbo, non usciranno che parole dure, incapaci di creare vere relazioni di amicizia e di rispetto.
Per questo è possibile conoscere la vera indole delle persone, prestando attenzione non solo alle sue parole, ma anche al senso di quello che vuole dire. Nella sua vita, per esempio, Gesù ha intessuto molte relazioni, a tutti ha permesso di parlare con lui, persino ai suoi avversari non ha tolto la parola quando volevano tirargli qualche trabocchetto. Ma c’è solo a una categoria di persone che non permetteva di parlare e imponeva il silenzio con autorità: ai posseduti.

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È interessante, infatti, che il primo esorcismo di Gesù, nel Vangelo secondo Marco, avvenga in un contesto liturgico all’interno di un luogo sacro, la sinagoga, per un uomo di fede che come suo solito si recava lì. Questo voleva parlare, ma Gesù glielo impedisce:

E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!” (Mc 1,25).

Approfondendo questo brano del Vangelo, abbiamo avuto modo di affermare come ci siano persone a cui non solo non si deve dare ascolto, ma persino impedire di parlare, perché come l’uomo posseduto dallo spirito impuro, anch’essi danno fiato alla loro voce solo per creare danni, divisione, pettegolezzi e maldicenze:

Quello che accade in questa sinagoga di Cafarnao è qualcosa di davvero molto attuale, dal quale come cristiani dobbiamo guardarci bene. Non sarà la nostra professione di fede a salvarci, ma l’adesione del nostro cuore a Cristo e ai fratelli.
Dopotutto a Satana e ai suoi amici, Gesù non permette di dire nemmeno una parola, non gli viene concesso diritto di replica, perché hanno ferma la loro volontà contro Dio.
Oggi nei nostri ambienti ecclesiali urge una seria presa di posizione, un serio rinnovamento che ci spinga a rivedere le nostre relazioni. Chi ancora oggi è avvezzo al pettegolezzo, alla mormorazione, al giudizio, al pregiudizio, non è adatto per la vita comunitaria e gli altri, a imitazione di Cristo, non devono permettergli di parlare, semplicemente perché altrimenti rivelano di essere dalla sua parte.

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L’invito che Gesù fa ai suoi uditori, e a noi oggi, è quello di fare una sorta di revisione di vita partendo dalla qualità delle nostre relazioni. In prossimità, poi, della Quaresima questo non può che farci bene, per crescere bene, ma soprattutto santi, nella grazia, così come Dio si aspetta da noi. Ma non solo. Non possiamo non esimerci da un sano, e forse anche faticoso, discernimento su quali debbano essere le persone a cui prestare ascolto, e chi invece mettere a tacere perché hanno il solo intento di distruggere persone e relazioni, e dividere… proprio come satana.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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