Città e locali infestati. Gesù a Betsàida

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo.
Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano».
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio» (Mc 8,22-26). 

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CONTESTO
I brani evangelici che nelle ultime settimane stiamo proclamando all’interno della liturgia della Parola, sono una lettura continua del Vangelo secondo Marco. In particolar modo, in questo tempo liturgico chiamato ordinario, siamo chiamati a meditare sul ministero pubblico di Gesù.

Negli ultimi giorni, poi, siamo arrivati all’ottavo capitolo dell’opera di San Marco, quindi ormai alla sua metà. Si tratta di pagine cruciali perché preparano a quel grande evento che è la Confessione di Pietro, snodo fondamentale per comprendere gli intenti dell’autore sacro. Egli, infatti, ispirato da Dio intende far sorgere nel lettore la domanda: ma tu chi sei Gesù di Nazaret? È interessante il fatto che una prima, vacillante risposta, sarà data da Pietro, ma poi in maniera definitiva da uno degli aguzzini di Gesù mentre lo vede spirare (Cfr. Mc 15,39).

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Entrando nel vivo del brano odierno, ci rendiamo conto che è quello che capita a Gesù e alla sua comunità di discepoli, subito dopo essere sbarcati, seguendo appunto il racconto evangelico di ieri (Cfr. Mc 8,14-21; vedi approfondimento raggiungibile al link in basso).

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LA CECITÀ NEI VANGELI
All’interno dei racconti biblici, e soprattutto nei Vangeli, la cecità è indice di una mancanza di vista spirituale, di prospettive fiduciose in Dio e nella vita. Il fatto che i ciechi vengono guariti è secondo la rivelazione divina, inizio dei tempi messianici inaugurati da Cristo. Emblematica è la risposta che Gesù dà ai discepoli del Battista ormai in carcere:

Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Mt 11,3-6).

È interessante notare come, allo stesso modo, Gesù chiami i farisei ciechi che hanno la pretesa di guidare altri ciechi:

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Allora i discepoli si avvicinarono per dirgli: “Sai che i farisei, a sentire questa parola, si sono scandalizzati?”. Ed egli rispose: “Ogni pianta, che non è stata piantata dal Padre mio celeste, verrà sradicata. Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!” (Mt 15,1214).

Al contrario lui Gesù riconosciuto come la luce vera che illumina il mondo. È un elemento chiave non solo della cristologia dell’evangelista Giovanni, ma anche di Zaccaria padre del Battista, che trova riscontro nella rivelazione veterotestamentaria:

In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta

(Gv 1,4-5).

Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace” (Lc 1,78-79).

È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce

(Sal 36,10)

Lo stesso San Paolo, lungo il suo cammino verso la città di Damasco, resta abbagliato dalla luce di Cristo che lo costringe a un periodo di cecità, per comprendere quanto realmente tale lo fosse prima, mentre così ostinatamente rifiutava di riconoscerlo come Messia e perseguitava i cristiani. In effetti subito dopo l’incontro con una delle prime comunità cristiane, potrà tornare a vedere sul serio, non solo con gli occhi corporali, m anche con quelli della fede.

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DECONTESTUALIZZARSI COME CRITERIO FONDANTE DELLA VERITÀ
Lungo le narrazioni dei quattro evangelisti, possiamo notare la grande sensibilità di Gesù verso tutti coloro che soffrono, e anche verso i ciechi. Ogni evangelista annota almeno una guarigione dalla cecità. Nei nostri articoli, abbiamo avuto modo di approfondire la guarigione del cieco di Gerico, secondo la narrazione di San Luca (Cfr. Lc 18,35-43; vedi articolo al link in basso).

Non è un caso che questo miracolo accada a Betsàida. In effetti Gesù la cita spesso come luogo di uomini che pur avendo assistito alla sua predicazione e ai suoi miracoli, per la loro cecità spirituale, non hanno voluto credere:

Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite (Mt 11,21). 

Forse è anche per questo che Gesù per poter compiere la guarigione, deve condurre il cieco fuori le mura corrotte dall’incredulità di quella città:

Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio

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Questa è per noi oggi una forte provocazione: abbiamo tutti bisogno di essere “decontestualizzati”, tirati fuori da una cultura dei provincialismi, delle bassezze, dei tiri mancini, di consuetudini antievangeliche, di contesti di peccato condivisi e radicati. Ben a ragione il filosofo John Dewey dedicò grande spazio allo studio dell’ambiente culturale come condizionamento dell’agire umano e del progettarsi dell’uomo come tale.

Possiamo dire che Gesù anticipa questa acquisizione filosofica e sociale, per questo invita il cieco ad uscire dal suo habitat naturale. Quanto è importante questo per noi? Talvolta dagli ambienti della nostra famiglia, ma anche dal contesto cittadino, acquisiamo valori, ma anche tanti disvalori. Essi possono essere superati nella misura in cui entra in un’ottica di decontestualizzazione, o potremmo anche dire cattolica, universale. Se in un contesto cittadino si vive di pettegolezzi, è normale che questo peccato, molto grave, finisce per non essere percepito come tale.

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Lo compresero bene anche gli apostoli di Gesù. Essi, dopo la sua morte e risurrezione, li troviamo sempre chiusi all’interno di una abitazione di Gerusalemme, eppure, dopo l’effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste, essi comprenderanno questa importantissima lezione, e diverranno missionari portando in tutto il mondo la bella notizia del Risorto.

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IL MIRACOLO DI GESÙ
A ben vedere, poi, il miracolo di guarigione che Gesù compie sul cieco del brano evangelico odierno, risulta essere particolarmente impegnativo. Infatti perché l’uomo torni a vedere, Gesù deve operare per ben due volte con l’imposizione delle sue mani, azione che implica l’effusione dello Spirito Santo.

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Il cieco non si dirige spontaneamente da Gesù, ma viene condotto. Ricorda quello che capitò col paralitico a Cafarnao, che venne calato dal tetto scoperchiato (Cfr. Lc 5,17-26; vedi approfondimento al link in basso).

Gesù non si sottrae alla richiesta di queste persone anonime. Ricordiamo che sono molto importanti questi personaggi senza nomi né volto, perché spesso nei racconti evangelici sono coloro che fanno la differenza e in cui il lettore è chiamato a identificarsi.
Perché il cieco venga guarito, oltre ad essere portato fuori dal suo contesto cittadino di incredulità, deve essere toccato da Cristo, percepirne il calore, il profumo, la tenerezza.

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Questo vale anche per noi oggi. La fede non può basarsi su concetti astratti, su dei dogmi che altri ti presentano e tu devi impararli a memoria. La fede implica un incontro trasformante con Cristo, così come Papa Francesco ripete in diverse occasioni:

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La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù.
Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?

Papa Francesco, Evangelii Gaudium, nn. 1.8

Un dato interessante è quello che accade dopo la guarigione del cieco: l’imperativo di Gesù all’uomo che ha ritrovato la vista fisica e spirituale. Leggiamo:

«Non entrare nemmeno nel villaggio»

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Che vogliamo accettarlo oppure no, ci sono luoghi di peccato, apparentemente innocui, che dobbiamo rifuggire. Se c’è uno spazio umano all’interno del quale non si fa che coltivare il pettegolezzo, il sospetto, il complotto, l’ordire macchinazioni contro l’altro, o qualsiasi altro tipo di peccato, quel luogo è spiritualmente infetto e va abbandonato, e successivamente quando quelli che lo occupavano avranno fatto un cammino penitenziale di riscoperta della vera fede, allora esorcizzato e purificato. Non è un caso che il noto esorcista, il compianto don Gabriele Amorth, nella sua opera “Un esorcista si racconta”, dedica un intero capitolo, non potendone dedicare più spazio suo malgrado, all’esorcismo delle case (pp. 147-153).

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Non molto diverso fu quello che capitò a Gesù presso la città pagana di Gerasa. Un luogo così impregnato di male che trovò espressione nell’uomo posseduto da una legione di spiriti impuri. In quella città dove il male mise saldamente radici, non fu concesso a Gesù di entrare. Il brano è raccontato sempre all’interno del Vangelo di Marco (Cfr. Mc 5,1-20) e rimandiamo al nostro approfondimento (qui al link in basso) per un approfondimento quanto mai proficuo e utile per cogliere l’importanza di questo argomento.

Occhio a dove mettiamo i piedi, dunque, ma occhio anche a quello di cui riempiamo i nostri luoghi vitali.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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