In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo» (Mc 7,14-23).
CONTESTO
Il tempo liturgico che da ormai stiamo vivendo da qualche settimana, è quello ordinario, durante il quale la liturgia della Parola ci permette di riflettere e meditare sul ministero itinerante di Gesù. In particolare, stiamo approfondendo quella sezione narrativa che appartiene al Vangelo secondo Marco, il primo tra gli evangelisti a redigere uno scritto sulle opere e le parole del Messia Nazareno.

Ci troviamo quasi a metà dell’opera marciana. Essa, infatti, troverà il suo spartiacque, per così dire, nella confessione di fede di Simon Pietro (Cfr. Mc 8,29). E, in effetti, tutto il Vangelo di San Marco si realizza come un’opera rivelatoria della persona di Cristo. Il lettore, secondo preciso intento del redattore, versetto dopo versetto, capitolo dopo capitolo, è chiamato a porsi la domanda: “Ma tu chi sei Gesù di Nazareth?”. La risposta di Pietro a metà opera, verrà poi confermata inequivocabilmente, da uno degli esecutori della sua morte, ai piedi della croce:
Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39).
Tra coloro che si interrogano sulla figura e l’identità del rabbì di Nazaret, ci sono le folle e i discepoli. Coloro che domande non se ne pongono, invece, sono i suoi avversari: farisei, scribi, sacerdoti, sadducei, erodiani e chi più ne ha più ne metta. Per loro Gesù è un farabutto, un pericolo, una mina vagante che rompe gli equilibri delle loro consuetudini, del loro imporsi, più o meno violentemente, con la loro dottrina sulle masse. E, infatti, quello che stiamo leggendo in questi giorni, riguarda proprio gli avversari di Gesù, quelle loro tradizioni che hanno elevato a una dignità superiore al bene comune, superiore persino alla Parola di Dio e alla sua rivelazione.
Per questa ragione, per comprendere bene il brano evangelico odierno, dobbiamo tener conto di quello che era successo poco prima, della polemica innescata dagli avversari di Gesù e della sua risposta che svela l’ipocrisia del loro cuore. Leggiamo:
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte» (Mc 7,1-13).
QUANTA BRIGA SI PRENDONO PUR DI MORMORARE

La prima cosa che colpisce di questo brano è che gli avversari di Gesù, non appartengono agli ambienti della regione a nord di Israele, dove egli predica, della Galilea, ma vengono addirittura da Gerusalemme.
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme (Mc 7,1).
Un cammino che dista circa 170 km, a cui si aggiungono tutte le difficoltà di un viaggio tanto lungo in una terra così climaticamente instabile di Israele. Per non contare il grave, e reale, pericolo di incappare nei briganti.
E tutto per cosa? Per mormorare alle sue spalle, per cercare di screditarlo… dovevano certo trovarci gusto.
Il loro impegno nel fare il male, nel disgregare la comunità di Gesù da un lato ha del ridicolo, basti vedere come il Maestro li sistema in poche battute, dall’altro ci fa davvero preoccupare per come certi atteggiamenti si ripetano ancora oggi, ben oltre due millenni dopo, nelle nostre comunità parrocchiali ed ecclesiali. Un’emergenza così grave, che Papa Francesco non ha temuto di denunciare con toni forti in diverse circostanze del suo ministero.
Ma non solo. Se al tempo di Gesù i suoi avversari non avevano altro rimedio che mettersi in cammino per parlargli alle spalle, oggi questo tipo di atteggiamento diventa ancora più subdolo attraverso i social networks, luoghi virtuali dove ognuno si sente in diritto di dire qualsiasi cosa riuscendo persino a strappare qualche “like”. È un atteggiamento che appartiene alla perversione del nostro millennio, così come avemmo modo di dire in diverse occasioni nei nostri precedente articolo:
Lì dove avremmo dovuto parlare di Cristo, abbiamo preferito metterci un bel selfie con una faccia buffa.
Come parlare al cuore della gente? Le indicazioni di Dio al profeta Isaia
Perché una cosa è certa: molti sfoghi sulle bacheche di facebook non solo non hanno nulla di cristiano, ma indicano una vera e propria perversione d’animo, rivelano l’aver abdicato la possibilità di un ragionamento sano e santo, in favore di altre forze che lì per lì danno un senso di appagamento, ma restano sempre illusioni sataniche.
Il male attecchisce lì dove c’è terreno fertile per lui
Non meno problematico è il fatto che i primi esorcismi di Gesù riguardino proprio persone inserite in un cammino di fede. Gente che aveva la consuetudine di recarsi alla sinagoga (ma chissà con quale animo) o di andare nei pellegrinaggi. A questi esorcismi, abbiamo dedicato due distinti articoli, raggiungibili nei link sottostanti.
IL PROBLEMA DEL PECCATO
Gli ortodossissimi scribi venuti dalla religiosissima Gerusalemme, carichi delle loro presunzioni, della vuota teologia e delle consuetudini che vogliono mantenere intatte, cosa fanno? Parlano alle spalle di Gesù al vedere che i discepoli prendendo i pasti, non fanno le solite abluzioni. Tutto questo lungo viaggio, per sparlottare alle spalle per una cosa davvero futile. Davvero, si finisce per diventare ridicoli.
Qual era il problema? Secondo la mentalità antica, il peccato era una realtà esterna che si appiccicava all’uomo nel momento in cui questi entra in contatto con realtà impure: fossero oggetti, animali o persone.
Ci troviamo di fronte a qualcosa d davvero importante e molto attuale. Per gli scribi e i farisei il peccato non riguarda loro stessi, ma gli altri. Gli altri sono peccatori e bisogna starne alla larga, perché nulla di essi resti attaccato alla tua pelle, alla tua persona. Per questo le lunghe abluzioni prima dei pasti.
È un atteggiamento molto attuale dal quale non possiamo esimerci: quello di pensare che ad essere in errore siano sempre gli altri, che il peccato non riguardi noi ma il prossimo, che ad essere persone negative, con negative influenze e influssi, siano gli altri. Si ripete ancora una volta lo scarica barile dei progenitori, colti in fallo nel loro peccato:
Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato“. Il Signore Dio disse alla donna: “Che hai fatto?”. Rispose la donna: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato” (Gen 3,9-13).
La colpa è sempre di qualcun altro. Per Adamo i colpevoli sono la donna e Dio, perché è stato lui a crearla, per la donna, invece, il serpente.
Atteggiamenti di deresponsabilizzazione tali sono sempre omicidi. Caino, infatti, erede di questa cultura dei suoi genitori, vedrà in Abele un impedimento alla sua realizzazione personale e lo ucciderà… finendo per diventare ancora più infelice.
Gesù elimina alla radici questo modo di pensare ipocrita e farisaico e rivela che a portare l’uomo in una situazione di peccato non è l’altro, quello che dice o fa, ma i sentimenti del cuore ai quali si da spazio. Lo abbiamo letto nel Vangelo di ieri e, ancor più approfonditamente, in quello odierno:
Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo.
LASCIAR ANDARE NELLA FOGNA LA CATTIVERIA ALTRUI
Se c’è una cosa che Gesù non ha mai sopportato, è il rispondere alla violenza. Il suo grande insegnamento programmatico, mirabile sintesi di tutta la sua dottrina, contenuto nel cosiddetto discorso della montagna, esprime a diverse tonalità questo concetto:
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,21-22. 38-48).
La sua “politica” pacifista e mite al punto tale di sopportare con mitezza la cattiveria altrui, e che è stata spunto persino per il Mahatma Gandhi, viene ulteriormente specificata nel brano evangelico odierno:
Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?
Ecco, oggi dobbiamo cominciare a prendere il serio impegno a far scivolare nel luogo giusto, tutti gli improperi, i tiri mancini, gli sgambetti, le mormorazioni, i pettegolezzi, le critiche, gli sgambetti dei tanti nostri fratelli che si divertono a dare il peggio di loro stessi. Si tratta, in ultima analisi, di dare la giusta collocazione alla gratuità del male ricevuto, buttarlo proprio lì, nel luogo che è propriamente il suo, nel suo habitat naturale: la fogna.
Ecco dunque la politica pacifista di Cristo che si prefigge di essere non un subire passivamente il male altrui, ma di dare a ogni cosa il giusto nome e la giusta collocazione. Solo partendo da questa prospettiva, sarà possibile rispondere al male col bene, o come dice San Paolo:
La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità.
Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite.
Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Rm 12,9-14.17-21).
I PECCATI CHE RENDONO IMPURO L’UOMO
Una volta spiegato ai discepoli come confrontarsi di fronte all’ipocrita dottrina dei benpensanti della sua epoca, ecco che fa una lista di peccati ai quali bisogna fare attenzione. Si tratta di una serie di sentimenti i quali, per quanto umanissimi, se non li si combatte ci rendono impuri agli occhi di Dio. E l’impurità è una vera e propria scomunica: un impedimento, richiesto, voluto e accettato, alla salvezza eterna. Leggiamo di nuovo:
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Cerchiamo di cogliere il significato di alcuni di questi gravi peccati che pongono l’uomo in una condizione di inimicizia con Dio. Oltre ai peccati contro la bellezza del nostro corpo, impurità e adulteri, che Gesù riprenderà in un successivo insegnamento, spiccano i peccati contro il fratello. Per lui i comandamenti cardini sui quali poter inserire una vera vita di grazia, riguardano proprio la nostra relazione col prossimo. È un dato che emergerà chiaramente nell’esortazione che farà al giovane ricco:
Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre” (Mc 10,17-19).
Quella brutta bestia dell’invidia
Come è facile notare, Gesù non menziona tutti e dieci i comandamenti impartiti da Dio a Mosè sul monte Sinai, ma solo quelli riguardanti i doveri verso il prossimo. Tra questi peccati evidenziamo, giusto per non confonderlo, l’invidia. Spesso pensiamo che essa consisti nel desiderare quello che altro anno: beni materiali, affettivi, culturali. In realtà la parola stessa invidia, è composta da un prefisso in e il verbo video. Per questa ragione essa non implica il desiderio dei beni altrui, ma l’impossibilità di vedere l’altro. Quando diciamo che una persona non la possiamo vedere, perché la detestiamo, perché fa emergere in noi sentimenti contrastanti, ecco che stiamo invidiando. Ben a ragione Dante Alighieri nel XIII canto del Purgatorio, immagina gli invidiosi vestiti di panni ruvidi e pungenti e con gli occhi cuciti, perché appunto non furono capaci di vedere i fratelli, amandoli, promuovendone il bene e il bello.
L’invidioso è sempre un omicida. Basti pensare a Caino: egli uccide il fratello perché la sua offerta è riuscita ad essere più gradita a Dio. Quest’ultimo prova a farlo ragionare prima che commetta l’irreparabile, ma di tutta risposta non ha che silenzi, perché chi si chiude al fratello, ha già chiuso con Dio. Leggiamo:
Il Signore disse allora a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai”.
Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise (Gen 4,6-8).
Lo stesso intento omicida, motivato dall’invidia, fu quello dei fratelli maggiori di Giuseppe, figlio di Giacobbe. Leggiamo infatti nel trentasettesimo capitolo di Genesi:
I suoi fratelli perciò divennero invidiosi di lui.
Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan.
Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. Si dissero l’un l’altro: “Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!”. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!” (Gen 37,11a. 17b-20).
Conseguenze dell’invidia, e in qualche modo sue parenti, sono gli altri peccati menzionati da Gesù: malvagità, inganno e calunnia. Sono collegate all’invidia perché nascono in qualche modo dal nutrire l’odio nei confronti dell’altro, dall’incapacità di porre freno a questi sentimenti negativi, dando invece loro spazio. Questi tre peccati sono intesi come realizzazione pratica dell’invidia. Tra essi evidenziamo l’inganno che si realizza come atteggiamento subdolo di chi intende fare del male all’altro ordendo complotti, mettere in atto macchinazioni alle spalle degli altri.
Per Gesù persino la stoltezza è causa di scomunica. Qui non si tratta di un essere sciocchi, o con difficoltà di apprendimento, ma di una vero e proprio atteggiamento leggero e superficiale nei riguardi dell’altro. Gesù ne parla con tonalità piuttosto accese nella parabola delle dieci vergini (Cfr. Mt 25,1-13; vedi approfondimento al link in basso).
Siamo stolti e meritiamo il biasimo di Cristo ogni volta che avremmo potuto amare il prossimo e l’abbiamo evitato (il cosiddetto peccato di omissione), quando avremmo dovuto esortare un fratello al cambiamento di vita, o denunciare una situazione di ingiustizia sociale e ci siamo detti che era meglio farsi gli affari propri. Viviamo da stolti e meritiamo di non essere accolti nel regno dei cieli ogni volta che potremmo dare testimonianza della nostra fede e ci facciamo prendere dalla paura di essere giudicati, quando ci uniamo agli altri nello schernire il prossimo, quando anziché mettere in atto gesti di distensione fraterna, di riconciliazione, e invece aizziamo gli altri alla guerra fratricida.
Per Gesù i superficiali, i “rimandatari” dei propri doveri sociali e fraterni, non sono ammessi a godere con lui nella gloria eterna. E tu? Da che parte stai? In che modo stai conducendo la tua vita? Cosa ne stai facendo delle tue relazioni affettive, fraterne, comunitarie?

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