Le parabole del Regno e l’autorivelazione di un Dio discreto

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene semi­nato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4,26-34).

DOVE ERAVAMO RIMASTI?
Dopo la breve pausa dettata dalle commemorazioni della conversione di San Paolo e di quella legata ai santi Tito e Timoteo (vedi link in basso), la liturgia della Parola ci fa tornare su quel sentiero che abbiamo battuto insieme, seguendo le orme del Maestro agli inizi del suo ministero, con la lettura continua del Vangelo secondo Marco.

CONTESTO
Il brano del vangelo di oggi ci offre uno spaccato sulla strategia predicatoria di Cristo. Il suo ministero di rabbì è ormai avviato e oggi la liturgia della Parola ci permette di affacciarci al modo con cui egli insegna le verità del Padre, quelle eterne, a un uditorio che non è propriamente quello erudito di Gerusalemme o dei teologi dell’epoca, scribi, farisei e sacerdoti.

Allora, in cosa consiste la strategia di Gesù? Parlare delle grandi cose di Dio, con il linguaggio spicciolo della vita quotidiana di coloro che lo ascoltano. Non si mette a fare Sermoni teologici, ma usa un linguaggio semplice perché i destinatari del suo insegnamento possano comprendere pienamente le sue parole.

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Quello di Gesù è un grande atto di umiltà che oggi si pone a noi come la prima provocazione del vangelo. Non raramente, infatti, abbiamo l’intima presunzione che per sentirci realizzati dobbiamo manifestare agli altri quanti li siamo superiori. E lì a sciorinare tutti i nostri successi, i nostri traguardi, i titoli accademici e quelli professionali.

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No, Gesù non si è comportato così e smantella ogni stupida credenza di chi si comporta così. Non saranno i titoli o un linguaggio forbito a renderti una persona migliore. Questo il Nazareno lo sapeva bene, lui che a soli dodici anni teneva grandi discorsi teologici con i Maestri della Legge a Gerusalemme (Cfr. Lc 2,41-52).

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Dopotutto, che ci siano molti modi di parlare alla gente (non tutti cristiani), lo sappiamo benissimo, tanto da aver dedicato un paragrafo del nostro articolo, allegato qui sotto.

Per questa ragione Gesù insegna e predica usando un linguaggio, simboli e situazioni tratte dalla vita quotidiana dei suoi uditori. Non è la prima volta, poi, che si serve della mentalità agricola e contadina di Israele per annunciare il Regno di Dio: vedi approfondimenti ai link in basso.

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LA FORZA DELLA VITA
Dell’insegnamento di Gesù, riteniamo essere interessante il fatto che protagonista di questa narrazione parabolica, non sia il contadino, ma la forza vitale di un seme, piccolissimo, fragilissimo, che germoglia in maniera prepotente nel terreno dove viene piantato.

Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 

Lo spuntare del seme, e poi il suo portare un frutto così abbondante, non dipende dal contadino. Lui ha soltanto seminato, il resto lo fa il seme nel terreno che innesca una reazione vitale tanto potente che il suo primo, fragilissimo germoglio, riuscirà a bucare anche il terreno più duro.

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IL RUOLO INDISPENSABILE DEL CONTADINO
Gesù lo dice chiaramente: il Regno di Dio è come quel seme. Allora chi rappresenta il contadino? È qui che si situa la provocazione di Gesù ai suoi uditori. È vero che Dio è grande, onnipotente e rinnova il mondo, tuttavia, però, gli uomini di fede devono fare la loro parte. Giustamente l’apostolo Pietro nella sua seconda lettera invita i cristiani della comunità da lui fondata, con queste parole:

Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia (2Pt 3,11-13).

Spiegando ai suoi uditori quale sia il compito del contadino, il suo dovere, Gesù si rivolge non solo ai suoi uditori, ma a ognuno di noi. Egli oggi non chiede altro che guardare al tuo terreno, ciò che ti circonda e favorire un mutamento: essere strumento di Colui che può cambiare la sterilità arida di un terreno, in un florido campo di grano. E tu cosa devi fare? Renderti strumento di fertilità, l’innesco che permette al seme di portare vita nuova lì dove prima regnava il nulla. Il Signore non pretende da te grandi sforzi e non ti chiede nemmeno di prenderti cura di quel seme che hai seminato. Come al contadino della parabola, non ti viene chiesto di arare quel terreno né di annaffiarlo. Il seme è così potente, così portatore di vita che basta a se stesso per germogliare e crescere.

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Cosa siamo chiamati a seminare? Di cosa il nostro prossimo, la nostra comunità, la nostra famiglia ha bisogno? Cosa si aspettano da noi? Ecco quello è il seme che dobbiamo dare e tutto si sintetizza nell’amore. In questa nostra epoca così votata all’edonismo, al piacere fatuo, siamo chiamati a riportare senso ed eternità. Lì dove c’è solitudine e abbandono, dobbiamo riportare l’autenticità di una presenza discreta, di un abbraccio. Lì dove c’è la sterilità di un terreno arido e infruttuoso, dobbiamo esser capaci di portare vita attraverso la nostra vita, la donazione del nostro amore. Dopotutto, ben diceva il mistico carmelitano San Giovanni della Croce:

Dove non c’è amore, semina amore e raccoglierai amore

San Giovanni della Croce, lettere

Siamo così pieni di capacità e di desiderio di amare, ma poi facciamo che questo muoia, resti sterile perché abbiamo paura di donare e di donarci, come se poi avessimo davvero qualcosa da perdere. Allo stesso modo, come non spetta al contadino giudicare la qualità del terreno, così non spetta a noi decidere se una persona sia degna del nostro affetto, del nostro perdono, delle nostre fatiche. A te non spetta nemmeno sapere quanto frutterà il tuo sforzo. Tuttavia dobbiamo ricordare che quel seme d’amore che seminiamo è già esso stesso il Regno di Dio, e Lui non ci lascia mai a mani vuote.
Sembra che in qualche modo Gesù stia dicendo ai suoi discepoli e a noi oggi: “Vuoi entrare nel regno dei cieli? Vuoi avere la vita eterna e godere della gloria dei santi? Bene, ama, al resto ci penso io“. E non è che il minimo sindacale che ci viene chiesto. Ci basta solo questo per avere la vita eterna. Il problema è che talvolta ci impigriamo e ci ostiniamo a tal punto, che nemmeno questo vogliamo fare.

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SPER ATTENDERE
È il secondo insegnamento che traiamo da questo brano del vangelo.

Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura

Viviamo nell’era del tutto e subito, e questo, nostro malgrado spesso lo pretendiamo dagli altri e anche da Dio. Quasi come se tutto il mondo fosse al nostro servizio. È un invito a rifuggire dall’efficientismo, dalla pretesa di voler vedere subito il frutto dei nostri sforzi, che una persona sappia ben ringraziarci per un nostro gesto. A noi, come al contadino della parabola, compete solo seminare. Quello è il nostro lavoro, ai frutti ci penserà il Signore al tempo opportuno.

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Imparando ad attendere l’intervento di Dio nella nostra vita e nella nostra società, faremo nostra quella virtù teologale che è la speranza, da cui nasce, come conseguenza, la pace nel cuore del credente e la gioia del sapersi salvati, amati e protetti da un Dio silenzioso ma non inerme.

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IL NOSTRO È UN DIO DISCRETO
L’azione salvifica di Dio avviene nella massima discrezione, come quel seme che rigenera vita e porta frutto cominciando all’interno del terreno. Gesù lo ripeterà in altre circostanze, come nella parabola del lievito nella massa, invitando anche i suoi discepoli a essere come il sale: discreti, ma ricchi di significatività.

L’amore di Dio per noi è tale da rispettare i nostri tempi, la nostra vita. Così lo possiamo riconoscere solo nella misura in cui lo cerchiamo presente nelle situazioni quotidiane della nostra vita, tra le strade del nostro quartiere, nei soliti volti che incrociamo per via o troviamo sul posto di lavoro, tra i banchi di scuola, in comunità o in famiglia.
Bisogna fare attenzione a questo, perché solo Satana è sfacciato, grida e si esalta. Lo abbiamo visto nei giorni passati, durante i primi esorcismi di Gesù (vedi approfondimenti ai link in basso), e allo stesso tempo il nostro modo di comportarci nei luoghi della nostra vita potrebbe rivelare da che parte stiamo.

Se cerchiamo i primi posti, i riconoscimenti, gli applausi, evidentemente, non cerchiamo Dio, cerchiamo altro, e dovremmo stare molto attenti, perché come abbiamo detto in un nostro precedente articolo, persino da come si sta tra i banchi di una chiesa, come tra le sedie della nostra casa, può dipendere la nostra salvezza.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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