INTRODUZIONE
Con questo incontro cercheremo di capire meglio l’identità del terziario alla luce del Carisma carmelitano, per comprendere cosa la Chiesa si aspetti da voi, così che la vostra appartenenza a un Ordine mendicante di tradizione quasi millenaria sia più proficua, consapevole e bella.
Voi sapete che il Carisma di un Ordine religioso è il suo DNA, un dono che proviene direttamente dallo Spirito Santo, a servizio della Chiesa, ma un dono anche che identifica intimamente l’Ordine religioso e i suoi appartenenti.
DALLA CONTEMPLAZIONE, L’IDENTITÀ DEL CARMELITANO
Per noi carmelitani il Carisma è uno solo, la contemplazione, espressa attraverso tre forme: fraternità, preghiera e servizio. La contemplazione è l’elemento dinamico e unificante del Carisma del Carmelo. Il cammino di santificazione che i Carmelitani scelgono per sé, comunitariamente, e propongono agli uomini di tutti i tempi, è una sequela radicale a Cristo, cercandone con entusiasmo la presenza nella propria quotidianità. Per poterlo raggiungere, e godere della sua presenza già in questa vita, essi non hanno paura di inoltrarsi in un cammino di trasformazione personale, simboleggiato nel deserto, dove ci si spoglia del nostro uomo vecchio e ci si riveste sempre più di Cristo. Si tratta di decentrarsi da noi stessi, non cercare i nostri gusti e aspirazioni, per dare sempre più spazio a Dio e riempirci di lui. L’obiettivo è quello indicato dalle nostre Costituzioni:
La contemplazione è, quindi, il viaggio interiore dei carmelitani, che nasce dalla libera iniziativa di Dio, la quale ci tocca e ci trasforma, conducendoci verso l’unione con Dio nell’amore, elevandoci in modo tale da poter godere di questo amore gratuito e vivere in quella presenza amorosa. Questo amore prorompente di Dio ci fa fare un’esperienza trasformante: ci svuota dei nostri modi umani, limitati e imperfetti di pensare, amare e comportarci, rendendoli divini.
Ordine dei fratelli della beata vergine maria del monte carmelo, costituzioni, n. 16
A questa contemplazione sono invitati anche i laici carmelitani. Vediamo cosa dice la Regola.
Anche i laici carmelitani sono chiamati a vivere alla presenza di Dio vivo e vero, che in Cristo ha abitato in mezzo a noi, e cercano ogni possibilità e occasione per giungere fino alla sua divina intimità. Lasciandosi guidare dall’azione dello Spirito Santo, i laici carmelitani accettano di essere trasformati nella mente e nel cuore, nello sguardo e nei gesti. [Essi] cercano l’impronta nascosta di Dio, la riconoscono e fanno germogliare il seme della salvezza secondo lo spirito delle beatitudini, con l’umile e costante esercizio di quelle virtù di probità, spirito di giustizia, sincerità, cortesia, fortezza d’animo, senza le quali non può esserci vera vita umana e cristiana.
Regola del Terz’Ordine carmelitano, nn. 32-33
La Regola, poi, individua nella famigliarità con la Parola di Dio, lo strumento più valido per vivere da contemplativi. Per prima cosa, invita a guardare Maria e a prenderla come modello sulla quale riconfigurare la nostra nuova esistenza.
Come Maria […] i laici carmelitani si scoprono chiamati a magnificare le meraviglie compiute dal Signore nella propria esistenza; con lei […] imparano a confrontare le vicende spesso tormentate della vita quotidiana con la Parola di Dio. Da lei imparano ad accogliere con disponibilità la Parola, ad aderirvi pienamente. Maria, in cui la Parola si fa carne e vita, li ispira alla fedeltà alla missione, all’azione animata dalla carità e dallo spirito di servizio e alla fattiva collaborazione all’opera della salvezza
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, NN. 34
Successivamente, la Regola, individua nella meditazione della Bibbia l’eccellenza della preghiera del carmelitano, perché trasforma in vita nuova quello che ha letto, meditato e pregato
I laici carmelitani, secondo la costante tradizione del Carmelo, coltivano in massimo grado l’orazione nelle sue varie forme. In grande considerazione va posto l’ascolto orante e obbediente della Parola di Dio: la lectio divina coinvolge e trasforma l’intera esistenza del credente.
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, NN. 39
Questa dimensione contemplativa che si esprime nella lettura orante e trasformante della Parola di Dio è quello che la Chiesa si aspetta dai laici carmelitani.
VIVERE DA FRATELLI: L’OBBLIGO DELL’AMORE
Il primo elemento del Carisma da cui voglio iniziare è la fraternità, perché sicuramente il più difficile degli altri. Amare non è mai facile e ancor meno lo è quando bisogna amare non Dio, ma gli altri. Dopo una breve introduzione generale, la Regola del TOC si apre con queste parole:
Perciò tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, N. 2
Cosa si intende per “carità perfetta”? Significa vivere in maniera totale e incondizionato, il comandamento dell’amore proposto da Gesù: «con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» e il prossimo, tutto il prossimo, come noi stessi. Si tratta di far morire il nostro amor proprio perché Dio non solo venga amato come gli si convenga, ma perché a un certo punto noi possiamo amare gli altri con l’amore stesso di Dio. Questa fu anche l’intuizione di Teresa di Lisieux nei suoi manoscritti autobiografici:
Ora capisco che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti altrui, non stupirsi assolutamente delle loro debolezze, edificarsi dei minimi atti di virtù che si vedono praticare; ma soprattutto ho capito che la carità non deve affatto restare chiusa in fondo al cuore.
S. Teresa di Lisieux, Manoscritti autobiografici, n. 289
La fraternità è il banco di prova del nostro cammino contemplativo: possiamo capire a che punto siamo nella nostra vita carmelitana, semplicemente facendo una revisione delle nostre relazioni comunitarie. Ben a ragione dunque il teologo carmelitano p. Giovanni Brenninger, nella sua opera “Dottrina spirituale del Carmelo”, chiamava la fraternità come palestra di santità. Riusciamo a crescere nella fraternità nella misura in cui cerchiamo di vivere la virtù dell’umiltà, seguendo l’invito di Gesù ai discepoli:
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato (Mt 23,8.11-12).
San Paolo, poi, invita a non lasciare nulla di irrisolto tra noi, nessun peccato che non sia riconciliato, e dice:
Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge (Rm 13,8).
La Regola del TOC ci invita ad essere focolari di fraternità: capaci, cioè, di dare luce e calore con la nostra carità. Leggiamo il n. 43
La vita associativa dei laici del Carmelo deve risplendere per semplicità e autenticità; ogni comunità dev’essere un focolare di fraternità, in cui ciascuno si sente a casa propria, accolto, conosciuto, apprezzato, incoraggiato nel cammino, eventualmente corretto con carità e attenzione.
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, N. 43
Un focolare, però, che non sia chiuso nei recinti della comunità, ma che sia di per se stesso missionario, coinvolgente, testimone del vostro battesimo e della vita consacrata che avete scelto. Per questo al numero subito successivo afferma:
Ogni laico carmelitano è come una scintilla di amore fraterno lanciata nel bosco della vita: dev’essere in grado di incendiare chiunque avvicini. La vita familiare, l’ambiente di lavoro o professionale, gli ambiti ecclesiali frequentati dai laici carmelitani devono ricevere da loro il calore che nasce da un cuore contemplativo, capace di riconoscere in ciascuno i tratti della somiglianza col volto di Dio. La comunità dei laici carmelitani diventa così un centro di vita autenticamente umana, perché autenticamente cristiana. Dall’esperienza di riconoscersi fratelli e sorelle nasce l’esigenza di coinvolgere altri nell’affascinante avventura umano-divina della costruzione del Regno di Dio.
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, N. 44
Ora, perché queste non restino solo belle parole, dobbiamo davvero cogliere la sfida di imparare a non dirci più le cose alle spalle, a smetterla con la mormorazione e il pettegolezzo, semplicemente perché questo non solo non è da carmelitani, ma men che meno è da cristiani. Un cristiano pettegolo, mormoratore, criticone, non è un cristiano!

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VITA SACRAMENTALE E DI PREGHIERA
Arriviamo al secondo elemento del carisma carmelitano: la preghiera. Preghiera e contemplazione non sono la stessa cosa, ma la prima conduce alla seconda.
Per noi carmelitani la preghiera non è una domanda a Dio, ma la risposta dell’uomo che si scopre infinitamente amato da lui: lo loda e lo ringrazia. Cosa chiede a voi l’Ordine? Cosa si aspetta la Chiesa dalla preghiera dei terziari carmelitani? Lo vediamo nella Regola. Innanzitutto viene chiesto non che preghiate una volta, ogni tanto, ma di rendere tutta la vostra vita una preghiera, un contatto affettivo e aspirativo con il Signore. Leggiamo:
I laici carmelitani vivono un’intensa vita di preghiera centrata sul dialogo personale con il Signore
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, N. 36
Cosa si intende per intensa vita di preghiera? Significa che non basta pregare quando si ha tempo, e non basta nemmeno pregare in Chiesa con quello che si riesce a fare. Qui si tratta di trovare spazi e tempi quotidiani per la preghiera personale. Fate attenzione a questo. Non pregare significa venire meno alla vostra vocazione carmelitana, fallire quello per cui avete accettato di consacrarvi.
Che tipo di preghiera? Quando la preghiera è vera, questa diventa sempre missionaria, va oltre quello che a me serve oggi, va oltre il mio semplice rapporto con Dio, ma si estende alle necessità di tutta l’umanità. E vedete questo paradosso così utile, la Chiesa vuole così tanto da noi che ha scelto una giovane monaca di clausura vissuta in un piccolo paesello francese, come patrona dei missionari: Teresa di Lisieux. Cosa fece questa donna, tra l’altro molto giovane (morta all’età di 24 anni), per diventare patrona delle missioni? Se ne prese cura, pregò per esse e dove possibile sosteneva i giovani missionari facendo loro da guida spirituale.
In che modo, allora, il terziario carmelitano rende la sua preghiera missionaria? Soprattutto attraverso la liturgia delle ore per questo la Regola afferma:
La Liturgia delle Ore costituisce il richiamo durante la giornata della grazia scaturita dall’eucaristia e alimenta l’autentico incontro con Dio. I laici carmelitani possono, secondo le condizioni di ciascuno, celebrare almeno le Lodi mattutine, i Vespri e la Compieta.
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, N. 38
L’Ordine non vi chiede di seguire tutto il ritmo di preghiera dei frati, ma si aspetta da voi almeno questi tre momenti.
Perché è così importante? Perché non ci troviamo di fronte a normali preghiere da recitare a memoria, ma un vero e proprio atto liturgico, infatti si chiama liturgia delle ore, in cui il cristiano si unisce a tutta la Chiesa che prega e prega per la salvezza delle anime. La liturgia delle ore, diventa partecipazione all’atto salvifico della Chiesa.
Tengo a precisare che questo negli statuti dei Terz’Ordini della Provincia Italiana dei Carmelitani la liturgia delle ore non viene menzionata, ma altre fraternità l’hanno voluta accogliere come un impegno personale e comunitario. Vista la loro importanza, il porsi a un livello qualitativo nettamente diverso rispetto ad altre forme di preghiera, potreste cominciare ad assumervi come impegno personale quello di cominciare a pregare qualche momento della liturgia delle ore a casa, o in Chiesa i vespri.
Come per la vita di preghiera, i Terziari Carmelitani sono anche invitati a un’intensa vita sacramentale. Leggiamo infatti nella Regola
La vita sacramentale centrata nell’eucaristia costituisce la fonte della vita spirituale. I laici carmelitani sono chiamati ad un’intensa partecipazione ai sacramenti: possibilmente ogni giorno si accostino al sacrificio dell’altare […] ricevano regolarmente il perdono dei peccati.
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, N. 37

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SERVIZIO: PER UN AMORE CONCRETO
Arriviamo all’ultimo elemento del carisma carmelitano: il servizio. Per esso si intende la maniera di incarnare il carisma nella vita quotidiana del carmelitano: frate, monaca, suora o laico che sia.
Si tratta di tradurre in gesti concreti quello che si è potuto contemplare, mettere a frutto quello che si è pregato. Eppure questo non resta mai l’azione del singolo. Qui si tratta di tutta una comunità che accoglie un servizio, o che si pone al servizio. Bisogna stare davvero attenti a non cadere nell’individualismo, nel voler emergere, perché alla fine si falsificherebbe il servizio stesso. Ricordiamoci sempre quel passo dove Gesù manda i discepoli in missione: li manda a due a due, come comunità (Cfr. Lc 10,1-12). Ma non solo. Gesù Risorto appare ai discepoli sempre quando sono insieme, mai quando sono da soli. Ancora di più egli stesso affermò:
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,19-20).
Qualsiasi servizio il terziario è chiamato a svolgere, lo fa sempre a nome di tutta la comunità, dalla quale viene inviato a compierlo.

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Qual è il servizio che un terziario carmelitano può dare all’Ordine e alla Chiesa? La Regola quando parla di questo tema vi invita ad essere lievito nel mondo, nelle situazioni quotidiane che vi trovate a vivere: in casa, per le strade del vostro quartiere, sul posto di lavoro, tra i banchi di scuola. Leggiamo:
Siccome è proprio dei laici vivere nel mondo e in mezzo agli affari secolari, qui sono chiamati da Dio a svolgere la missione della Chiesa e ad essere fermento cristiano per le attività temporali nelle quali sono profondamente impegnati
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, N. 46
Si tratta, cioè, di essere capaci di un rinnovamento tanto efficace quanto silenzioso, del tessuto della società, divenendo strumenti per riaccendere la fede nei cuori delle persone, attraverso le scelte della vostra vita e la vostra testimonianza.
I laici carmelitani, pronti a testimoniare la propria fede con le opere, ricevono la forza di attirare gli uomini alla fede in Dio, divenendo così “lode di gloria di Dio”. […] Si sforzano di creare le occasioni opportune per poter annunciare Cristo, riproponendo il messaggio sempre nuovo del Signore della vita e della storia, unico, sicuro punto di riferimento d’ogni esistenza e vicenda umana.
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, N. 47
Sono affermazioni forti, talvolta già sentite, ma che comunque ci impongono una riflessione, una revisione di vita. Qui si stanno ponendo le basi per il rinnovamento della società dal suo interno, cominciando da piccoli gesti di giustizia e legalità, di amore e riconciliazione, di condivisione del proprio incontro gioioso con Cristo. Si tratta, in ultima analisi, di portare Dio lì da dove lo si è tolto, perché lì dove non c’è Dio c’è solo morte, frustrazione, rabbia, odio, invidia, pettegolezzo, giudizio e calunnia. E purtroppo la cronaca nera di questi giorni non fa altro che ricordarcelo.
Il fallimento della società consumistica, tecnocrata, edonistica risiede proprio in questo: nell’illusione di voler dare un bene, svuotandolo da ogni etica e moralità. E noi cristiani del terzo millennio, uomini e donne consacrate che frequentiamo la Messa domenicale dove eravamo? Abbiamo avuto il coraggio di opporci e testimoniare la fede, andando contro corrente, o ci siamo assuefatti?
CONCLUSIONE
L’epilogo della Regola, il suo ultimo paragrafetto, tende a sintetizzare tutto quello che ci siamo detti fino a qui:
[I laici carmelitani] intraprendano il breve ed unico viaggio della vita terrena come una colonia di cittadini la cui patria è il cielo, cercando di comprendere con l’ausilio dei santi, tutte le dimensioni della carità di Cristo che supera ogni scienza; affrettandosi, con ferventi aspirazioni e vivo desiderio, a raggiungere quel luogo che il Signore, alla sua partenza, promise di prepararci. Radicati e fondati nella Carità, sempre vigili e tenendo in mano le lanterne accese, consapevoli che “nella sera saranno esaminati sull’amore”, moltiplichino i propri talenti, affinché nell’ora della morte, meritino di sentire dal Signore l’invito a entrare nella sua gioia.
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, Epilogo
Ci troviamo di fronte a un vero e proprio collage di citazioni bibliche, a sottolineare l’importanza della Parola di Dio per il laico carmelitano. Essa infatti è l’unico strumento attraverso il quale possiamo fare della nostra preghiera un vero dialogo con Dio, e non un monologo dove noi stiamo lì a sciorinargli parole, necessità e richieste. Afferma infatti la Regola:
I terziari carmelitani dovranno riunirsi periodicamente, secondo i tempi e i modi opportunamente stabiliti dagli Statuti, per formare insieme una comunità in mezzo alla quale la parola di Cristo abiti abbondantemente; per esortarsi maggiormente all’assimilazione del carisma proprio dell’Ordine
REGOLA DEL TERZ’ORDINE CARMELITANO, n. 91
Ai terziari viene chiesto di vivere in questa vita come pellegrini, uomini in cammino verso quella meta che è la vita vera. Questo di per sé comporta il non assolutizzare il presente, riconoscere che tutto è di passaggio: dalle prove della vita, ai suoi godimenti, al denaro e così via. Ma non solo. Viene chiesto di vivere «tenendo in mano le lanterne accese».
Questo è un chiaro riferimento alla parabola delle dieci vergini (Cfr. Mt 25,1-13): tutte era destinate allo sposo perché di tutte lui era innamorato, delle buone come delle cattive, delle sagge come delle stolte. Eppure alla fine solo il cinquanta percento di esse accederà alle nozze, quelle che non si sono fatte vincere dal lassismo, come per dire «Se Dio mi vuole, io sono qua». Esse, infatti, a differenza delle altre portando con loro una riserva di olio, rivelavano che anche loro erano innamorate dello sposo, e vogliono accoglierlo in maniera dignitosa.
Allo stesso modo Dio viene alla nostra vita come uno sposo, ma per poter godere della sua gioia, del suo amore, occorre metterci del nostro.

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