Se vuoi tenerti Cristo vicino, impara a tenere la lingua a freno

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito, la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte (Mc 1,40-45).

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CONTESTO
Ci troviamo ancora all’interno del primo capitolo del Vangelo secondo Marco. Nei due giorni precedenti la liturgia della Parola, ci ha permesso di riflettere su come fosse strutturata una giornata “tipo” di Gesù. Lo abbiamo visto agli inizi della sua predicazione itinerante. Luogo di partenza non è la prestigiosa, e religiosissima, Gerusalemme, ma un villaggio di periferia, un popolo poco apprezzato dagli ambienti dell’Israele-bene: Cafarnao.

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Abbiamo avuto modo di condividere, per così dire, una giornata con Gesù. Grazie all’evangelista, ci siamo inseriti tra primi membri della comunità di Gesù, due coppie di fratelli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. Con loro, due giorni fa, lo abbiamo ascoltato mentre predicava nella sinagoga ed esorcizzava un uomo di fede che lì era solito recarvisi.

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Dopo questo evento Gesù viene invitato a casa di Simon Pietro e lì gli viene presentata la suocera malata. Egli spontaneamente la guarisce, semplicemente tenendola per mano, indice di una tenerezza divina che raggiunge concretamente, e sensibilmente, la nostra esistenza.

In quel contesto, abbiamo avuto modo di vedere come Gesù si spende per tutto il resto della giornata a guarire i malati e liberare gli ossessi della città. Egli infatti si prolunga così fino alla fine della giornata. L’annotazione finale con il quale il brano si concludeva, riguardava il giorno dopo. Infatti l’evangelista annotava come al mattino presto, prima del sorgere dell’alba, Gesù aveva lasciato la casa in cui era ospite per recarsi in un luogo appartato e isolato per pregare: atteggiamento rivelatore di come ogni sua parola e ogni suo gesto siano l’incarnazione di quello che lui vive nei momenti di unione col Padre.

Arriviamo, così, al brano evangelico di oggi: perfetta prosecuzione narrativa di quanto fino a questo momento abbiamo meditato e approfondito.
Il contesto geografico nel quale Gesù si trova annotato vagamente dall’evangelista nel versetto precedente, quando aveva comunicato ai discepoli che non si sarebbe trattenuto oltre a Cafarnao, per permettere anche ad altri di poter ascoltare quanto aveva da rivelare.

E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni (Mc 1,39).

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Benché dunque non sappiamo propriamente in quale città o villaggio si situi il brano evangelico odierno, tuttavia ci viene fatto notare che Gesù diriga le primizie del suo insegnamento lungo la regione nord di Israele. Perché? In quanto zona confinante con altre popolazioni pagane, non di rado i cittadini di quelle città si univano in matrimonio con i confinanti. Questo comportava, inevitabilmente, a una sorta di sincretismo religioso, dove le usanze cultuali e morali dell’ebraismo si fondevano con quelle pagane.

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Gesù, dunque, inizia proprio da qui, preferisce queste periferie religiose e cultuali per parlare del vero volto di Dio, allo stesso modo rivela che YHWH non disprezza nessuno e il suo amore è incondizionato per tutti. L’atteggiamento di Dio rivelato da Cristo, in qualche modo, è quello di un genitore premuroso che spende maggiori energie per il figlio più fragile o più bisognoso di attenzioni.

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GESÙ, L’ANTICONFORMISTA
Gli evangelisti sono tutti concordi sul rivelare la particolare attenzione di Gesù verso le persone affette da lebbra. Essi, infatti, oltre alla sofferenza della malattia, erano costretti a vivere da reietti sociali (per paura di contagiare gli altri) e da religiosamente scomunicati (perché veniva ritenuta una malattia che rendeva impuri agli occhi di YHWH, punizione divina per i peccati del lebbroso). Non solo sarà lui personalmente a occuparsi di loro (Cfr. Mt 8,1-4; Mc 1,40-45; Lc 17,12-19), rendendo la loro guarigione un atto rivelatorio della sua messianicità (Cfr. Mt 11,2-6; Lc 4,16-27; 7,18-23), ma darà mandato anche ai discepoli perché facciano lo stesso (Cfr. Mt 10,5-8).

Questa particolare attenzione di Gesù verso coloro che vivono in uno stato di totale degrado e abbandono, ricorda a noi cristiani che nessuno per quanto solo si senta, per quanti fallimenti può aver collezionato nella vita, per quanto sia stato tradito, viene abbandonato da Dio. Al contrario: è proprio quando sperimentiamo la prostrazione della sofferenza, possiamo fare esperienza di come diventiamo noi stessi la priorità del Padre.

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Questa predilezione di Gesù, la riscontriamo anche nel coraggio che rivela. All’epoca infatti non era consentito che un lebbroso si avvicinasse ai centri abitati, e men che meno agli altri cittadini. Quest’uomo, tuttavia, come anche altri in realtà, sfideranno questa convenzione religiosa, il nostro distanziamento sociale, per prostrarsi ai piedi di Gesù. Questi a sua volta, sfida un’altra convenzione sociale. Era infatti proibito per i sani toccare un lebbroso, non solo perché sarebbe incorso nel serio rischio di un contagio, ma anche perché sarebbe diventato automaticamente impuro, cioè scomunicato. Poiché a Gesù le regole dell’epoca (e sicuramente anche le nostre) stavano strette, non teme il contatto. Lui vede chiaramente che non ha dinanzi una fonte di contagio, ma un uomo con il suo carico di sofferenze.

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LA FEDE DEL LEBBROSO
Dopo aver chiarito lo spessore spirituale e umano di Gesù, cerchiamo di capire qualcosa del lebbroso che gli si è prostrato dinanzi.

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!».

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Ci troviamo dinanzi a una delle più belle espressioni di fede. Ne cogliamo due aspetti. Innanzitutto il lebbroso si prostra dinanzi a Gesù, nell’atteggiamento di colui che riconosce la divinità di colui che ha dinanzi. Un gesto che poi trova eco nella sua supplica: «Se vuoi, puoi».

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Nell’atteggiamento del lebbroso, troviamo condensato tutto il modo di porsi del cristiano dinanzi a Dio. Innanzitutto l’invito a riconoscerne la grandezza e l’importanza, ponendosi in ginocchio, gesto di colui che adora, e poi il riconoscere che la preghiera non può essere confusa con una pretesa nei riguardi di Dio.

Nella supplica del lebbroso, non possiamo non vedere quella che sarà la preghiera di Gesù, pochi momenti prima del suo arresto, nell’orto degli ulivi:

Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mt 14,32-36). 

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Se è pur vero che da Dio non vengono i mali, perché lui è buono e nel suo progetto verso l’uomo non è contemplato he l’amore e la salvezza eterna, d’altro canto il lebbroso e Gesù ci invitano a un giusto approccio con lui nella preghiera, riconoscendo che la sofferenza resta sempre un mistero. Esso, tuttavia, se ben accolto nella vita del cristiano può diventare un’opportunità di salvezza eterna.

LA SOLA COSA DA FARE
Una volta che Gesù concede al lebbroso, la guarigione richiesta, non gli dà che un ordine molto semplice da rispettare:

E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Gesù non permette al lebbroso di restare con lui, ma da subito lo invia al sacerdote perché venga conclamata la sua guarigione e tolto dalle sue spalle il peso della scomunica religiosa e sociale. Così, infatti, legifera il libro del Levitico in caso di guarigione di un lebbroso:

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Il Signore parlò a Mosè e disse: “Questa è la legge che si riferisce al lebbroso per il giorno della sua purificazione. Egli sarà condotto al sacerdote. Il sacerdote uscirà dall’accampamento e lo esaminerà: se riscontrerà che la piaga della lebbra è guarita nel lebbroso, ordinerà che si prendano, per la persona da purificare, due uccelli vivi, puri, legno di cedro, panno scarlatto e issòpo. Il sacerdote ordinerà di immolare uno degli uccelli in un vaso di terracotta con acqua corrente. Poi prenderà l’uccello vivo, il legno di cedro, il panno scarlatto e l’issòpo e li immergerà, con l’uccello vivo, nel sangue dell’uccello sgozzato sopra l’acqua corrente. Ne aspergerà sette volte colui che deve essere purificato dalla lebbra; lo dichiarerà puro e lascerà andare libero per i campi l’uccello vivo. Colui che è purificato si laverà le vesti, si raderà tutti i peli, si laverà nell’acqua e sarà puro. Dopo questo potrà entrare nell’accampamento, ma per sette giorni resterà fuori della sua tenda. Il settimo giorno si raderà tutti i peli, il capo, la barba, le ciglia, insomma tutti i peli; si laverà le vesti e si bagnerà il corpo nell’acqua e sarà puro (Lv 14,1-9).

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Tuttavia lungo il percorso all’uomo guarito non viene chiesto di fare che una cosa, una sola: mantenere il riserbo di quello che gli è accaduto per le mani del rabbì di Nazaret.
Che a Gesù non piacesse avere i riflettori puntati, questo lo abbiamo visto nei due precedenti approfondimenti. Per di più non permetteva agli spiriti impuri di parlare, imponeva loro il silenzio perché a lui non interessavano le confessioni di fede di coloro che non hanno fissato in lui la loro volontà.

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Allo stesso modo, l’ordine perentorio imposto vale per il lebbroso guarito. Non gli viene dato che un ordine, facile da realizzare, e lui per tutta risposta non aspetta che pochi istanti per fare l’esatto opposto.:

Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto.

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TENERE LA LINGUA A FRENO
A causa del suo egocentrismo, del suo mettere al centro quello che gli è capitato, Gesù sarà costretto ad allontanarsi da quella città e tanti altri ammalati e oppressi, non potranno godere della sua opera guaritrice. Infatti il brano evangelico si conclude con questa annotazione:

Tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

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Quella del lebbroso guarito non è da intendersi come una semplice esuberanza, una gioia incontenibile che necessita di essere condivisa. Tutt’altro, ci troviamo di fronte a un grave gesto di insubordinazione satanica che comporterà un grave danno alle persone che avrebbero potuto godere dell’opera salvifica di Gesù che si vede costretto a restare nei luoghi deserti e non nelle città a predicare.

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L’atteggiamento del lebbroso guarito risulta essere molto attuale nella nostra vita cristiana: Gesù non risiede lì dove ci sono “lingue lunghe”, pettegolezzi, giudizi, mormorazioni. Lui non solo non vi risiede, ma fugge da posti simili. Siamo chiamati a riconoscere la veridicità delle parole del saggio autore del libro dei Proverbi, che afferma:

Nel molto parlare non manca la colpa,
chi frena le labbra è saggio (Pr 10,19).

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Ci troviamo di fronte a una provocazione molto importante: custodire il silenzio è un atto di giustizia per il nostro fratello, molto gradito a Dio.
Se da un lato facciamo bene a indignarci per l’atteggiamento del lebbroso il quale, nonostante abbia avuto una grazia immensa, tradisce la richiesta di Gesù e in maniera indiretta crea una situazione di ingiustizia verso i suoi fratelli, allo stesso modo anche noi siamo chiamati a vigliare sui nostri comportamenti, sulla nostra vita spirituale e cristiana, perché davvero facciamo fruttare le grazie ricevute, senza mai deviare dal sentiero luminoso di una grazia che per essere tale necessita del rispetto dell’altro.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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