Perché i magi hanno portato la mirra in dono? Di cosa si tratta?

Epifania del Signore

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

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La parola epifania ha radici greche e significa rivelazione. In questo caso, quello che solennemente celebriamo in questo giorno è la tenerezza di Dio che, nella sua magnanimità, si rivela alle genti, immeritatamente, per ammetterle a una nuova dignità personale e comunitaria: all’amicizia con lui.
Schiavi di una mentalità consumistica che ci ha fatto il lavaggio del cervello, e noi glielo abbiamo permesso rendendoci acritici di fronte al marasma di informazioni veicolate e fuorvianti, abbiamo fatto della solennità della bellezza divina, che si china l’uomo per comunicarsi, farsi conoscere, stringere legami di amicizia e ammetterlo alla sua stessa bellezza, la festa di una strega che porta dolcetti. Abbiamo pervertito l’epifania in befana. E pensare che a portare i doni al Bambino, non è una strega, anziana e malvestita, che vola sopra una scopra, ma uomini saggi che vengono da lontano per adorare il Re, portando quanto di più prezioso anno: in primis la loro stessa esistenza.
Ecco, dunque, che tutte le letture di oggi ci permettono di meditare sui modi in cui Dio, nella sua grande libertà e tenerezza, abbia voluto rivelarsi ai popoli, donando ad essi la possibilità di un’Alleanza unilaterale (nel senso che l’unico che si impegna nel vincolo contrattuale è Dio).

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I LETTURA
Dal libro del profeta Isaia (60,1-6)

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.

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Tutto il brano è un grande invito alla gioia. Israele che vive oppresso in terra Babilonese è chiamato a non disperare perché Dio sta per intervenire, per liberarlo e ridonargli lo splendore di un tempo.
Se il popolo andò incontro alla sua rovina perché non volle ascoltare l’invito dei profeti ad adottare politiche sociali più eque, giuste e secondo Dio (risultato fu una vita da schiavi in terra pagana), YHWH però non li abbandona al loro destino, ma rivela la sua grandezza soprattutto nella sua misericordia. Ed è quello che accade propriamente in questo brano.

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DIO VIENE COME LUCE CHE SI COMUNICA E VINCE LE TENEBRE
Il simbolismo che il profeta Isaia utilizza è quanto mai evocativo. Ricorda infatti il prologo del Vangelo di Giovanni:

In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta (Gv 1,4-5).

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Ora al di là di quanto il profeta e l’evangelista concordino il modo in cui Dio si rivela agli uomini, come luce che spezza le tenebre del peccato, della morte, di quanto di brutto l’uomo possa concepire e attuare, ciò che riteniamo importante evidenziare è l’intuizione di Isaia: la luce di Dio, e che è Dio, rinnova intimamente l’uomo, lo riveste della sua gloria, infatti dice:

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Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.

La rivelazione amorevole di Dio, non lascia l’uomo indifferente, ma al contrario per colui che lo accoglie sortisce una vera e propria rivoluzione esistenziale: una conversione di cui ne partecipa anche l’aspetto esteriore fino ai suoi comportamenti.

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L’uomo toccato da Dio, per il profeta Isaia, liberato dalle tenebre del peccato può risplendere di luce riflessa, imitando così l’atteggiamento del suo Dio e rivelando la sua intima e primigenia vocazione, quella conferitagli durante la sua creazione: l’essere immagine e somiglianza di Dio (Cfr. Gen 1,26).

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Lo splendere di Israele è tutt’altro che l’emergere superbo di un popolo, ma il lasciar riflettere la luce di Dio, accogliendola e donandola al mondo intero. Allo stesso modo, anche noi cristiani, dobbiamo imparare a fuggire da una falsa modestia e riconoscere quando è il momento di rivelare ai fratelli, le meraviglie che Dio ha compiuto per noi. Questo, non di certo per montare in superbia e mostrare agli altri la nostra superiorità di eletti, quanto piuttosto come un invito perché anche il nostro prossimo possa fare la stessa esperienza trasformante di Dio.

IL CORAGGIO DELLA LEADERSHIP
L’abbiamo detto in passato e cogliamo l’occasione di ripeterlo, visto l’importanza del tema: ogni dono di Dio, comporta l’accoglienza responsabile di una vocazione e una missione. Infatti Israele, facendo esperienza della misericordia di Dio che lo redime, nonostante il suo peccato, e lo libera con mano potente dall’esperienza opprimente e schiavizzante all’interno dell’immenso e potentissimo impero babilonese, deve cogliere con responsabilità la pro-vocazione di essere un popolo che trascini altre nazioni a Dio, perché possano anch’essi camminare alla sua luce, nella gioia e nella redenzione. Rileggiamo:

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Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.

Grazie all’accoglienza di Dio, e alla capacità di saper riflettere, comunicare, la sua grazia salvifica, Israele sarà come un faro che guiderà gli altri popoli alla consapevolezza dell’esistenza di un solo Dio, perché a tutto il mondo è concessa l’amicizia con lui.

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Risulta, ancora una volta, chiara per noi la provocazione a riconoscere che se la nostra vita cristiana e sacramentale non ci rende missionari verso i nostri fratelli, se non riconosciamo la bellezza di Dio nella nostra vita e non la doniamo agli altri, allora tutta la nostra vita cristiana volge inesorabilmente a un fallimento preannunciato, cui conseguenza è la dannazione.

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DALLA MISSIONE, LA GIOIA
Il brano si conclude con un’annotazione davvero interessante, secondo la quale Israele potrà davvero gioire della salvezza di Dio, non quando verrà effettivamente liberato da lui dall’oppressione babilonese, ma quando avrà realizzato la vocazione missionaria alla quale Dio lo chiama. Infatti abbiamo letto:

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Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore

Il profeta rivela qualcosa di davvero interessante, che risulta per noi cristiani che ci diciamo praticanti e ci sforziamo di fare un cammino di fede: saremo uomini e donne davvero realizzati e felici solo quando riconosceremo che questa risiede in una santità che mi spinge all’accoglienza dell’altro e nella collaborazione con Dio nella redenzione del mondo.

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Purtroppo viviamo in un’epoca consumistica che impone di chiuderci in noi stessi, in piccoli e ristretti circoli di amici e famigliari per essere felici. Il profeta, ispirato da Dio, rivela una verità completamente diversa dicendo che nella chiusura agli altri non troveremo che frustrazione e oppressione. Dopotutto fu quella la pretesa, fallimentare, del potente impero babilonese: l’appiattimento di tutte le culture e religiosità, all’interno delle proprie mura e della propria cultura e religiosità. Pertanto la felicità dell’uomo resta custodita nel cuore del fratello, e vi si può accedere solo nella misura in cui ci si approssima all’altro, aprendoci alle sollecitazioni divine.

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Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (2,1-12)

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

CONTESTO
Queste ultime settimane per noi cristiani sono state davvero evocative. Non solo per l’importanza del Natale e di quello che suscita nei nostri cuori, con un nuovo slancio nell’amore fraterno e nell’importanza che torniamo a dare alle nostre famiglie; ma anche a livello biblico. Tanti sono stati, infatti, gli spunti per la nostra vita cristiana e spirituale che sono emersi in questi giorni. Abbiamo, infatti, avuto modo di vedere come il Natale sia tutt’altro che una festicciola per bambini, di come implichi un impellente cambio di vita, che possa comportare davvero, fin da subito frutti di vita eterna.

Contemplando i primi passi della vita domestica della Sacra Famiglia, abbiamo visto che anche Maria e Giuseppe abbiano preso qualche abbaglia. Da loro, poi, i genitori hanno potuto cogliere il segreto di come sopperire agli errori di una genitorialità mai scontata, ma che implichi una continua scoperta e una continua crescita.

Questo brano, dunque, precede quello che abbiamo potuto meditare qualche giorno fa, quando a ridosso della celebrazione natalizia la Chiesa ci ha fatto celebrare la solennità dei Santi Martiri innocenti.

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LA RIVELAZIONE AI PAGANI
Se c’è una cosa che dobbiamo cogliere dal brano biblico di oggi, è che quel Figlio di Dio, a cui i betlemiti non hanno dato posto che a un luogo per bestie (tanto doveva valer agli occhi loro, la sua vita), viene cercato con passione, tenacia ed entusiasmo a dei Magi (saggi e non re), che in realtà sono pagani: dotti astronomi alla ricerca di un senso, di una luce fioca che brilla nel buio e che per niente al mondo vogliono perdere.

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È paradossale, perché Gesù non viene riconosciuto da comodi benpensanti, ma da dei poveri pastori che vivevano situazione di precarietà (passavano la notte all’addiaccio) e nemmeno a degli uomini pii dell’epoca, ma da dei pagani.

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Guardando i magi, oggi siamo chiamati a prendere come esempio il loro non arrendersi mai. Essi pur non avendo conosciuto Dio, pur non avendo una tradizione spirituale alle spalle, si sono fatti bastare quella fioca stella nel cielo, per comprendere che si trattasse di un’opportunità fondamentale per la loro vita, qualcosa che stravolgerà le loro esistenze, le riempirà di senso. Essi hanno compreso che benché gli studi siano una cosa importante, e con essi anche le comodità e le ricchezze, la fonte della gioia non risieda in essi, ma nella novità di Dio che brilla nel cielo per loro e in maniera più o meno consapevole a un incontro, a un’esperienza trasformante.

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È davvero interessante che in questo giorno noi celebriamo Dio che nel Figlio ancora in fasce, si manifesta ai pagani, perché ci rivela che per lui tutti siamo importanti al di là della nostra provenienza, della nostra storia personale, del nostro passato. Ma non solo. Oggi siamo chiamati a farci stupire da Dio che, per fortuna, non agisce secondo i criteri e i piani dell’uomo. Non si rivela infatti nella fastosa fortezza di Erode il grande, e men che meno nella religiosissima Gerusalemme, ma in una stalla poco oltre le case comode della piccola città di Betlemme.

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Da qui dunque la provocazione per noi oggi: quale stella stiamo seguendo? È davvero quella giusta che conduce a Dio? Sentiamo in noi l’entusiasmo e il desiderio di incontrare Dio che si fa fragile nelle nostre mani la domenica? Quali doni gli portiamo? Siamo aperti alla novità di Dio? Ci facciamo stupire da lui o lo diamo per scontato facendoci maestri dei suoi pensieri?

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I DONI DEI MAGI
Se c’è una cosa che i magi hanno capito è che la stella indichi loro il luogo dove potranno trovare Dio, quale nuovo re di Israele. Ma non solo. Hanno anche ben chiaro nella loro mente, che a Dio non si va a mani vuote. Questa, è la lezione che dovranno imparare le vergini stolte della parabola che Gesù insegnerà ai suoi discepoli:

L’oro, l’incenso e la mirra, dunque, sono tutt’altro che casuali, ma simboli che richiamano l’identità del Figlio di Dio che i magi stanno per incontrare.
L’oro, infatti, è proprio dei re ed è simbolo della regalità di Cristo, re di Israele, appunto.

L’incenso, invece, poiché utilizzato in ambito cultuale, simbolo della preghiera che si eleva a Dio con profumo soave, richiama il sacerdozio di Cristo, che sull’altare della croce non offrì in libazione un animale, ma tutto se stesso come sacrificio espiatorio di un peccato non solo uomo, ma dell’intera umanità. Riteniamo interessante come l’autore della lettera agli Ebrei, descriva così la novità del sacerdozio di Cristo:

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Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso (Eb 7,23-27).

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La mirra, invece, è un olio profumato con il quale, talvolta insieme anche all’aloe, serviva per ungere il corpo dei defunti perché limitassero il cattivo odore della decomposizione. Questo dono portato dai magi, rivela ancora una volta quello che abbiamo avuto modo di scrivere nel nostro approfondimento sul Natale, il forte rimando di Betlemme al Golgota. L’uno rimanda all’altro, perché entrambi hanno il sapore del rifiuto di Dio, dai suoi primi vagiti fino all’ultimo respiro.

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I doni che i magi portano, dunque, rivelano il mistero di questo Figlio di Dio e di come il Natale, come l’epifania, non sia una festicciola per bambini, ma necessiti una fede adulta per essere compresa fino in fondo, celebrata da una comunità che loda Dio per il suo sacrificio, per essersi messo in gioco mostrandoci il suo volto e morendo pur di salvarci.

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«PER UN’ALTRA STRADA FECERO RITORNO AL LORO PAESE»
Il brano evangelico di oggi si chiude con questa annotazione. Il cambiare strada dei magi indica certo l’avvenimento di una sorta di conversione non solo religiosa, ma anche esistenziale. L’incontro con Cristo ha cambiato la loro vita, e deve cambiare anche la nostra.
Da loro impariamo che anche noi nel nostro cammino di fede possiamo prendere delle clamorose cantonate e pensare di poter incontrare Dio nei luoghi del potere, nei castelli comodi delle nostre ristrette e asfissianti amicizie. Tuttavia impariamo pure a non arrenderci ai nostri fallimenti, ai nostri peccati, ma a rialzarci con lo stesso entusiasmo e riprendere il cammino verso Dio illuminati dalla stella dello Spirito di Dio.
Egli sorge nella nostra vita e si propone alla nostra vita, non di certo per caso, e si propone come guida per la via della bellezza, del Bello in assoluto che è Dio.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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