Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
Le letture ci invitano a gioire per l’opera meravigliosa di Dio che incarnandosi in Gesù Cristo si fa a noi vicino, cammina lungo le nostre vie: Egli viene per non lasciarci mai più. Così tutte le letture si aprono con questo grande stupore: Dio mantiene le sue promesse, e dona gioia nei nostri cuori e senso alla ns vita.

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Cosa ti aspetti da questo Natale? E se davvero potesse cambiarti la vita?
I LETTURA
Dal libro del profeta Isaia (62,11-12)
Ecco ciò che il Signore fa sentire
all’estremità della terra:
«Dite alla figlia di Sion:
Ecco, arriva il tuo salvatore;
ecco, egli ha con sé il premio
e la sua ricompensa lo precede.
Li chiameranno Popolo santo,
Redenti del Signore.
E tu sarai chiamata Ricercata,
Città non abbandonata».
In queste settimane abbiamo visto come il profeta invocasse con insistenza l’intervento di Dio nella storia degli uomini in un periodo in cui gli israeliti vivevano la persecuzione feroce dei popoli confinanti. Insieme a loro, siamo stati testimoni di come il Signore non abbia tardato nell’intervenire promettendo il suo intervento efficace che avrebbe ristabilito una nuova era di pace e giustizia.
«Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede»
A Natale possiamo dire che avviene un po’ un paradosso nelle consuetudini: infatti colui che porta i doni è proprio il nascituro. Quali doni il Figlio di Dio, bambino a Betlemme, ha portato all’umanità? Sicuramente la salvezza, lo strapparci dalla mano della morte e del peccato, ma anche una nuova dignità: ci ha elevati dallo stato di creature a quello di figli di Dio, ammettendoci in una nuova relazione di particolare intimità con tutta la Trinità.
Ma non solo. Se c’è un ulteriore dono del Bambinello di Betlemme, è quello di aver inaugurato una nuova umanità fondata sulla fraternità, dove tutti siamo chiamati a riconoscerci figli di un unico Padre celeste: fratelli del Figlio di Dio, e fratelli tra noi.
Da questa consapevolezza deve sorgere per tutti noi questa provocazione: a me cosa ha portato questo Natale? Quale grazia mi è stata infusa nel cuore? Quale nuove crescita spirituale e relazionale ha comportato? Cosa è cambiato in me, nel mio cuore, nella mia anima, nel mio modo di approcciarmi al mondo, alla vita, agli altri?
SALMO RESPONSORIALE
Dal Salmo 96
Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
Annunciano i cieli la sua giustizia
e tutti i popoli vedono la sua gloria.
Una luce è spuntata per il giusto,
una gioia per i retti di cuore.
Gioite, giusti, nel Signore,
della sua santità celebrate il ricordo.
Il Salmo che la Chiesa oggi a scelto di proclamare nella liturgia della Parola del Santo Natale, parla di una sole che sorge dall’alto e con la cui luce rischiare i giusti che vivono nell’attesa della redenzione e del Messia.
Si tratta di una luca capace di fendere le fitte tenebre di un mondo, e una società, non trasparente, ottenebrata dagli egoismi e dalle idolatrie personali e comunitarie. Come questo raggio luminoso benefico, e foriero di nuove speranze, Cristo viene nella nostra vita rendendola luminosa, brillante, rendendo più vivaci i suoi colori, imbellendola di una nuova dignità. Il Figlio di Dio si fa uomo per strapparci via dagli artigli delle nostre tenebre e per riempirci del calore della tenerezza del Padre e riempiendo di beni spirituali la nostra anima.
Vivere costantemente sotto la luce di Cristo indica anche vivere sempre alla sua presenza, come il migliore degli amici, lasciarsi guidare e consigliare da lui nelle scelte, e vivere con un animo diverso anche le prove della vita.
Dalla lettera di San Paolo apostolo a Tito
Tt 3,4-7
Figlio mio,
quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro,
e il suo amore per gli uomini,
egli ci ha salvati,
non per opere giuste da noi compiute,
ma per la sua misericordia,
con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,
che Dio ha effuso su di noi in abbondanza
per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
affinché, giustificati per la sua grazia,
diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.
«Egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute»
Dio ci salva e il suo Figlio si fa uomo, non per i nostri meriti ma per la ricchezza della sua bontà. È a partire da questa gratuità di Dio, del suo forte amore per tutti noi, che ognuno può accedere alla salvezza. Così nessuno per quanto sia peccatore può sentirsi escluso dall’amore di Dio e allo stesso tempo questa affermazione ci dice che nessuno per quanto sia santo merita la salvezza. Cosa significa questo? Significa che è la coscienza che ci impone di amare Dio e il prossimo e spenderci per loro, quando ci scopriamo tanto immeritatamente amati da Dio. L’amore di Dio smuove sempre, ci scomoda, e obbliga la nostra coscienza alla conversione e al ricambiare anche in maniera imperfetta tutto quest’amore: qui si situa il segreto della santità del cristiano, la santità del quotidiano, non come utopia irraggiungibile e idealista, ma come realtà fondante la nostra vita di tutti i giorni.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,15-20
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Ieri nella Messa della Notte, abbiamo visto come i pastori siano stati spettatori di un evento prodigioso: l’annuncio dell’angelo che li invitava alla gioia e indicava la grotta di Betlemme come luogo della rivelazione del Dio fatto uomo, della compimento dei tempi messianici attesi da secoli.
Ecco allora che questi pastori appena hanno questo annuncio lasciano tutto e si mettono alla ricerca di Gesù, lui diventa la loro più grande preoccupazione. Ma non è tutto, loro saranno anche i primi testimoni che affermeranno come le promesse di Dio si siano realizzate.
C’è un parallelismo tra il primo annuncio dato alla nascita di Gesù e a quella dello sua risurrezione, che troviamo davvero interessante e che intendiamo condividere. Leggiamo infatti una annotazione particolare presente a tutti gli evangelisti:
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro (Lc 2,20).
L’angelo disse alle donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto”.
Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli (Mt 28,5-8).
Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno””. Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli (Lc 24,5-10).
Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa: “Maestro!”. Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro””. Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto (Gv 20,11-18).
Cosa accomuna l’annuncio dell’angelo ai pastori, e la loro accoglienza del Bambinello, alle donne al sepolcro di Gerusalemme? Tanto come i pastori di Natale o alle donne di Pasqua, sono i primi a cui viene concesso il privilegio di assistere alle primizie della salvezza: nascita e risurrezione del Figlio di Dio. I pastori e le donne sono le fasce più fragili della società dell’epoca, perciò il fatto essi diventino i primi testimoni dei misteri del cristo, rivela la predilezione di Dio per queste persone che restano un po’ schiacciate dalla vita e dalla società, ne restano ai margini a motivo dell’orgoglio e degli egoismi dei benpensanti e dei benestanti.
Ecco allora la nuova speranza instaurata dal Cristo fin dalla sua nascita: con lui nessun escluso, nessun gemito inascoltato, nessuna lacrima non asciugata. Lì dove l’uomo decide di non intervenire soccorrendo il fratello, Dio non lascia abbandonati alla loro sorte coloro che soffrono, ma se ne prende carico da subito finendo persino a immedesimarsi in essi, innestarsi prepotentemente nella loro vita. È un po’ questo il senso del suo insegnamento sul giudizio finale:
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,34-36.40).
Dio si fa carne nel segno dell’umiltà, già al suo nascere è stato disprezzato, nessuno gli ha voluto dare ospitalità nella sua casa, ecco che ora tocca a ni rimediare al peccato di quegli uomini e accoglierlo con gioia ed emozione nelle nostre case, nella nostra famiglia, nel nostro cuore, custodirlo gelosamente come fece Giuseppe, e donarlo al mondo generosamente come fece Maria.
Fame della Parola di Dio?
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