E se non sapessimo tutto del Natale? Tutto fuorché una festicciola romantica

INTRODUZIONE
Dopo la prima parte della nostra catechesi dove abbiamo sottolineato lo spessore storico e teologico di questa solennità, in questo articolo approfondiremo altri aspetti cardini del Natale. Lo studieremo, infatti, nel suo aspetto biblico inserendolo in quel grande contesto teologico che è la rivelazione Scritturistica secondo la quale l’incarnazione e nascita del Bambino divino a Betlemme, realizza le antiche profezie anticotestamentarie, si situa in stretto contatto con un altro evento cruciale della vita del Messia, la Pasqua, e proietta l’umanità verso un rinnovamento totale che stravolge l’intero corso della storia degli uomini.
Per questa ragione, invitiamo a tenere a mente un concetto cruciale che abbiamo condiviso nella prima parte di questo nostro approfondimento:

Se a Natale non festeggiamo il compleanno di Gesù, è altrettanto vero che dobbiamo smontare quelle frasi tanto melense e false, secondo le quali a Natale Gesù bambino nasce di nuovo. Lo ripetiamo: Gesù non compie 2021 anni, né nasce ogni anno. Consolidare queste dicerie bigotte e tipiche di una visione romanticheggiante della fede, obbligherà le nuove generazioni a una imprescindibile ribellione col dato della fede all’entrare nell’adolescenza, rimproverando, e a ben vedere, che la fede cristiana si basi su favole fantasiose, astruse e contrarie al dato scientifico.

E se non sapessimo tutto del Natale? Cose che non sapevi ed errori da evitare

Ricordiamo infatti che si tratta solo di una mera, fasulla e vigliacca, mistificazione quella che ritiene che scienza e fede siano antitetiche, contrastanti, conflittuali. Questo non solo perché i grandi scienziati di tutti i tempi sono stati credenti (da Keplero a Galileo Galilei, giusto per fare qualche esempio), ma anche perché la Chiesa ha sempre chiesto aiuto ai lumi della scienza per approfondire il suo dato di fede. Giusto per citare due personaggi, riportiamo le parole del Santo Papa Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica Fides et Ratio, che uno dei più importanti scienziati europei degli ultimi decenni: Antonino Zichichi.

La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso

Giovanni Paolo II, Fides et ratio, introduzione
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In nessun caso mi sono trovato dinanzi al dubbio che la mia attività scientifica potesse essere in contrasto con la mia fede

A. zichichi, Perché io credo in colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore, 1999 Milano, p. 55

Precisato questo dato che è al cuore di tante polemiche inutili circa la fede dei cristiani, come adesione irrazionale a verità astratte e dogmatiche, possiamo tornare al nostro tema centrale. In questo secondo e ultimo approfondimento sul Santo Natale, svilupperemo i seguenti temi: 1) Betlemme e il Golgota – distanti geograficamente ma uniti nel rifiuto di Dio –; 2) La mangiatoia e l’altare: un connubio non affatto scontato; 3) Il Natale come inizio di una nuova umanità; 4) La dimensione mistica del Santo Natale; 5) Il Natale e la gioia del cristiano.
Buona lettura!

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BETLEMME E IL GOLGOTA
Quando ci approcciamo alla lettura e all’approfondimento dei Vangeli, c’è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare: il contesto nel quale sono stati redatti. Infatti si tratta di redazioni della vita, delle parole e delle opere di Gesù, scritte dopo la sua Risurrezione. Quest’ultimo è un evento che ha sconvolto la vita, e il cuore, degli evangelisti che scrivono tutta la vita del Maestro avendo l’evento pasquale come costante punto di riferimento. La Passione, morte e risurrezione del Cristo, diventa per essi il filtro attraverso il quale guardare tutta la sua vicenda umana, criterio interpretativo della sua vita, delle sue parole e dei suoi gesti. Per questo la Risurrezione permea tutti gli scritti degli evangelisti.
Questo riguarda anche i cosiddetti vangeli dell’infanzia, quei brani cioè, redatti da Matteo e Luca, che descrivono l’incarnazione del Figlio di Dio, la sua nascita e la sua vita prima dell’inizio del suo ministero itinerante.

Che Gesù bambino venga avvolto in fasce alla nascita, non è un dato casuale. Le bende che avvolgono il corpo del Messia bambino, rimanda al lenzuolo sindonico che copriranno il crocifisso esanime. Leggiamo:

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio (Lc 2,6-7).

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto (Lc 23,50-53)

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Ma non è il solo elemento della nascita che ci riporta alla passione e morte. Gesù viene crocifisso sul Golgota, fuori le porte di Gerusalemme, allo stesso modo di come fu fatto volontariamente nascere fuori la città di Betlemme. Leggiamo:

Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio (Lc 2,7).

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. (Lc 23,26.33)

La condanna alla crocifissione di Pilato, suggella in qualche modo la pena di morte che anni prima, il re Erode il grande aveva decretato per lui, non appena nato. Leggiamo infatti nel Vangelo secondo Matteo:

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Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi (Mt 2,16).

Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: “Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!”. E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”.  Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso (Mt 27,24-26).

La stessa mirra che i Magi donano al fanciullo divino, rimanda agli unguenti con il quale sarà unto il corpo esanime di Cristo deposto dalla croce.

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra (Mt 2,11).

Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe (Gv 15,38-39)

Anche la presentazione del neonato Gesù al tempio di Gerusalemme, ha il sapore della contraddizione della croce: rivelazione del suo mistero salvifico che passa attraverso la donazione della vita. Leggiamo infatti le parole dell’anziano Simeone alla Vergine Maria:

Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35).

A ben vedere, dunque, quella grotta di Betlemme che vede venire al mondo il Salvatore degli uomini, non ha nulla di romantico, non ha il sapore dell’intimità di un focolare domestico, ma l’asprezza di coloro che rigettano Dio fin dal suo primo apparire… fin dai suoi primi vagiti.

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LA MANGIATOIA E L’ALTARE
Il secondo elemento che vogliamo sottolineare, per una celebrazione più adulta e consapevole della festività del Natale, è di natura, potremmo dire, sacramentale. Di fatto, la città, o meglio la periferia di essa, dove Gesù nasce si chiama Betlemme, che in ebraico significa “casa del pane”. Riteniamo altresì importante che Gesù venga adagiato non in una culla, né in un letto (a motivo del rifiuto di un alloggio dignitoso), ma in una mangiatoia, cioè in un luogo predisposto al cibo.
Nel libro dedicato all’infanzia di Gesù, Papa Benedetto XVI scrisse delle affermazioni illuminanti. Leggiamo:

La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo – come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini.

J. Ratzinger, L’infanzia di Gesù, Rizzoli – LEV, 2012 Milano, p. 82

Celebrando, dunque, la solennità del Natale siamo chiamati a rinnovare il nostro animo nel ricevere con devozione, e dignitosamente, quel Corpo di Cristo che, in qualche modo, torna a farsi bambino, cioè fragile, nella mangiatoia delle nostre mani ogni domenica. Da qui, dunque, un’ulteriore provocazione per la nostra vita cristiana: quante volte abbiamo mortificato il Sacramento dell’Eucaristia approcciandoci ad essa come se fosse un nostro diritto e non un dono? Quante volte abbiamo comunicato al Corpo di Cristo con un animo non riconciliato? Quante volte abbiamo accolto l’Ostia nelle nostre mani e magari eravamo distratti, disattenti della sacralità del momento, arrivati in ritardo a Messa, non pentiti dei nostri peccati, chiusi ai fratelli?
Ci troviamo di fronte a un problema molto grave che riguarda tanti nostri fratelli nella fede, dalla quale ci dobbiamo guardare con attenzione. Lo affermammo in un nostro precedente articolo:

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Se non accediamo frequentemente al Sacramento della Riconciliazione, se viviamo in peccato grave, se non ci pentiamo dei nostri peccati e non siamo cristiani di comunione, accogliamo in maniera illecita l’Eucaristia. E vedete, anche un apostolo di Gesù fece lo stesso e si dannò: Giuda.  È interessante che una delle preghiere silenziose che il sacerdote può recitare prima della comunione afferma proprio questo: 
«La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia, sia rimedio di difesa dell’anima e del corpo» (Messale Romano).
L’accogliere il corpo di Cristo in un cuore non riconciliato e non pentito, sortisce per il cristiano una vera e propria condanna, dalla quale dobbiamo guardarci.

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L’INIZIO DI UNA NUOVA UMANITÀ
Se c’è una cosa che l’Apostolo Paolo ha chiaro, circa la figura di Gesù, è che egli è il nuovo Adamo, principio di una umanità rinnovata. Leggiamo dalla prima lettera ai cristiani di Corinto:

Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita (1Cor 15,21-22).

Che Cristo sia l’alba di una nuova era per l’umanità tutta, lo si evince anche dalle lunghe genealogie riportate dagli evangelisti Matteo (cfr. Mt 1,1-16) e Luca (cfr. Lc 3,23-38).

La genealogia di Cristo. Un approfondimento necessario
Sai che è possibile rileggere la storia della tua famiglia in chiave teologica?

Entrambi, infatti, ammettono che al momento dell’incarnazione del Figlio di Dio, qualcosa cambia nel corso della storia degli uomini. Leggiamo:

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo (Mt 1,16).

Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli, […] figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio (Lc 3,23.38)

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Nella genealogia di Matteo la novità apportata dal Figlio di Dio che si incarna, si situa in uno spezzare la linea genealogica. Infatti Gesù è l’unico che non viene generato per il contributo di un uomo, ma di una donna.
L’evangelista Luca, dal canto suo, riprende l’intuizione di Matteo, affermando che Gesù non viene concepito per l’intervento di un uomo, ma poi rimanda la sua genealogia verso l’eternità primigenia, riportando al Padre la generazione del Figlio di Dio.
Per entrambi gli evangelisti la nascita di Gesù costituisce l’inizio di qualcosa di estremamente nuovo. In particolare la genealogia di Luca è composta da 11 blocchi di nomi, ognuno composto di 7 nomi e Gesù appare il primo nome della dodicesima serie: l’inizio di qualcosa di nuovo. Scrive a riguardo papa Benedetto XVI nell’opera succitata:

In Gesù l’umanità comincia nuovamente. La genealogia è espressione di una promessa che riguarda tutta l’umanità

J. Ratzinger, L’infanzia di Gesù, Rizzoli – LEV, 2012 Milano, p. 18

Anche per l’evangelista Giovanni, l’irrompere del Figlio di Dio nel mondo, comporta un rinnovamento radicale. Lo cogliamo dal suo poetico prologo:

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità (Gv 1,1-14).

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Giovanni riporta nell’eternità la generazione del Verbo di Dio e afferma che con la sua incarnazione e la sua nascita, inaugura un’umanità rinnovata, di fratelli non necessariamente legati da vincoli di sangue, ma generati dal Padre, al pari del Figlio. Ci troviamo di fronte a qualcosa di veramente molto grande, inaudito, e a farci attenzione, fa persino difficoltà a credere che sia vero: è il mistero della tenerezza divina che pur di riconquistarci non teme di consegnare alla morte il Figlio e ci eleva dallo stato di creature, votate alla morte e al peccato, a figli nel Figlio, figli suoi, sua progenie ed eredità.
Ecco allora che, grazie proprio al Natale che ci apprestiamo a celebrare, i cristiani rinnovati dalla battesimo e dalla fede, vengono innestatati in una nuova generazione che è quella di Cristo, finendo, potremmo dire, per condividerne lo stesso divino DNA.
Si realizzano così le parole del Salmo 82, che Gesù stesso confermerà nella sua polemica con i giudei. Leggiamo:

Io ho detto: “Voi siete dèi,
siete tutti figli dell’Altissimo (Sal 82,6)

Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: “Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?”. Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”. Disse loro Gesù: “Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata -, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre” (Gv 10, 31-38)

Per i carmelitani, poi, questa nuova generazione in Dio, ha un significato particolarmente intenso, così come esorta il beato Tito Brandsma:

La nostra devozione a Maria deve tendere a far di noi quasi delle altre madri di Dio, in modo che Dio sia concepito anche in noi e generato da noi. Il mistero dell’incarnazione ci ha rivelato che l’uomo vale molto per Dio e che Dio vuole essere intimamente unito all’uomo. La generazione eterna del Figlio dal Padre è la ragione più profonda di questo mistero d’amore

T. Brandsma, Bellezza del Carmelo. Appunti storici di mistica carmelitana, Edizioni Carmelitane, Roma 1984, p. 54
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LA DIMENSIONE MISTICA DEL NATALE
Il Figlio di Dio si incarna e si fa uomo non solo per redimere l’umanità, ma anche per sposarla a sé. È un dato che cogliamo, per esempio, da una rilettura spirituale del Cantico dei Cantici, lì dove la mirra, e il suo profumo, indicano la prossimità dell’amato. Leggiamo:

Mentre il re è sul suo divano,
il mio nardo effonde il suo profumo.
L’amato mio è per me un sacchetto di mirra,
passa la notte tra i miei seni.
L’amato mio è per me un grappolo di cipro
nelle vigne di Engàddi (Ct 1,12-14).

Chi sta salendo dal deserto
come una colonna di fumo,
esalando profumo di mirra e d’incenso
e d’ogni polvere di mercanti?
Ecco, la lettiga di Salomone:
sessanta uomini prodi le stanno intorno,
tra i più valorosi d’Israele (Ct 3,6-7)
.

Questa dimensione mistica è particolarmente cara ai carmelitani. il mistico dottore della Chiesa, San Giovanni della Croce, in uno dei suoi poemi sul Natale, presenta Maria come modello della Chiesa, in cui siamo chiamati a riconoscerci, e quindi sposa del Figlio di Dio.

Or che il tempo era arrivato
in cui nascere doveva,
così come uno sposo
dal suo talamo usciva
abbracciato alla sua sposa,
che sulle braccia lo portava;
la cui graziosa Madre nel suo presepe lo deponeva
tra alcuni animali
che c’erano lì proprio in quel momento.
Gli uomini pronunciavano cantici,
gli angeli melodie,
festeggiando le nozze
che tra i due avvenivan.
Però Dio nel presepe
lì piangeva e gemeva,
che erano gioielli che la sposa
alle nozze portava.
E la Madre era stupita
per quello scambio che vedeva:
il pianto dell’uomo in Dio,
e nell’uomo l’allegria;
il quale tanto per l’uno come per l’altro tanto strano soleva essere

Giovanni della Croce
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LA VERA FONTE DELLA GIOIA NATALIZIA
Solo a partire da tutto questo importante bagaglio spirituale, teologico e biblico, si può comprendere il senso, la qualità e lo spessore della gioia che promana dalla celebrazione del Natale, e che nulla ha a che vedere con l’effimera felicità che possono dare i festeggiamenti di un compleanno. Qui si parla di una virtù alimentata dalla fede, qualcosa di paradossale e di incomprensibile per chi non la nutre veramente con dedizione, serietà e spirito di sacrificio.
Lo esprime in maniera sintetica papa Francesco, in un passaggio della sua enciclica Evangelii Gaudium:

Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia.

Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 5.

La gioia del Natale inizia già con l’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria, la giovane promessa sposa di Giuseppe. Ella, insieme a una vocazione altissima, viene invitata a rallegrarsi perché Dio anche quando scombina i nostri piani, è portatore di una felicità intima, imperitura, che proviene da chi allena la propria anima alla virtù teologale della speranza.
Cogliendo la gioia di Maria, che da annunziata diviene annunciatrice, da rallegrata a rallegrante, siamo chiamati anche noi a riconoscere che la gioia del Natale, e della nostra vita cristiana in genere, risieda proprio qui: in un Dio che non resta confinato nel suo Olimpo a gozzovigliare, crogiolandosi nella sua onnipotenza, ma profondamente compromesso, inserito, nella storia degli uomini e nella nostra stessa vita. È questo lo stupore gioioso al quale rimandano i profeti Isaia, Sofonia e Zaccaria, e i Vangeli di Matteo e quello di Giovanni. Leggiamo:

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Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Is 7,14).

Rallégrati, figlia di Sion,
grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato la tua condanna,
ha disperso il tuo nemico.
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te,
tu non temerai più alcuna sventura (Sof 3,14-15)

Rallégrati, esulta, figlia di Sion,
perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te.
Oracolo del Signore.
Nazioni numerose aderiranno in quel giorno al Signore
e diverranno suo popolo,
ed egli dimorerà in mezzo a te
e tu saprai che il Signore degli eserciti
mi ha inviato a te (Zc 2,14-15).

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele
,
che significa Dio con noi (Mt 1,22-23). 

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14a).

Nei vangeli dell’infanzia, in maniera chiara, si rivela come chiunque venga in contatto con il fanciullo divino, sperimenta la grande gioia teologica. Lo vediamo, per esempio, nell’esperienza dei pastori, invitati dagli angeli a gioire, e in quella dei Magi al vedere la stella fermarsi sulla grotta di Betlemme. Leggiamo:

Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese (Mt 2,9-12).

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore (Lc 2,8-11).

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CONCLUSIONE
Ecco allora che seppur una data simbolica, il 25 dicembre è il più grande grido di speranza di cui gli uomini dispongono e ci ricorda che nonostante le nostre tenebre del male nel mondo, dei nostri gravi peccati, l’amore non è un’utopia, Dio si è fatto Emmanuele una volta e per sempre, per non abbandonarci più: il suo amore supera la nostra fragilità, anzi la accoglie per farsi lui piccolo nelle nostre mani in ogni celebrazione della Santa Messa.
Nel Gesù di Nazareth, figlio di Maria Vergine, Dio ci mette la faccia: si rende visibile, cammina lungo le nostre strade. E questo per raggiungere tutta l’umanità ferita, piegata dal peccato e dalla morte. Tutto il suo insegnamento e le sue opere sono un riflesso e un continuo rimando a Dio, e allora lì sia rimandato il nostro Natale, a Dio. Non scostiamo da lui il nostro sguardo, i nostri affetti, la nostra attenzione in questi giorni, perché non sia un Natale come tutti gli altri, ma comporti davvero, per tutti noi, un rinnovamento della nostra esistenza, e sia davvero un natale degno di essere vissuto e non tempo sprecato per romanticherie fanciullesche che anestetizzino le nostre coscienze solo per una notte.
Concludiamo con una canzone di Giuni Russo che sembra tratteggiare lo stupore di Maria avendo tra le braccia Gesù bambino, perché sia anche per noi lo stesso stupore quando riceviamo il suo Corpo nelle nostre mani.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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