III domenica di Avvento – anno C
Sof 3,14-18a; Is 12,2-6; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18
La terza domenica di Avvento è denominata “Gaudete”, cioè della gioia. La liturgia della Chiesa, come anche in tempo di Quaresima, anche in Avvento ci permette una sosta dalla penitenza, abbiamo visto infatti che l’Avvento non è un tempo romantico ma tempo di astinenza e digiuno, per questo il colore liturgico è viola, e ci permette di indossare il colore rosaceo, indice appunto della gioia.

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In questa domenica al cristiano viene anticipata la gioia del Natale, sebbene in maniera imperfetta, un riprendere il respiro dal clima penitenziale delle prime due settimane. Si tratta di vivere quella gioia che il cristiano è chiamato a sperimentare pur nelle asperità della vita: anticipo, imperfetto, della gioia autentica, imperitura e perfetta che godrà alla fine dei tempi nel Regno dei cieli.
Tutte le letture di questa domenica sono intrise di questa gioia che nasce dallo sperimentare la vicinanza amorosa di Dio, pur negli affanni della vita.
I lettura
Dal libro del profeta Sofonia (3,14-18a)
Rallegrati, figlia di Sion,
grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico.
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te,
tu non temerai più alcuna sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
«Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente.
Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore,
esulterà per te con grida di gioia».
Il brano si apre più che con un invito, con un imperativo: «Rallegrati!». È lo stesso invito che l’angelo Gabriele rivolge a Maria, la figlia di Sion per eccellenza. L’esortazione alla gioia, risuona come un comando tanto per Israele, che per noi oggi. Perché gioire? O meglio: per chi? Il profeta motiva questa sua esortazione a motivo della misericordia di Dio che ama, provvede e benefica Israele al di là dei suoi meriti, al di là del suo stato di peccato.

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Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico.
Certamente qui si fa riferimento al ritorno del popolo nella terra promessa, da cui erano stati allontanati con forza per oltre cinquant’anni. Eppure oggi potremo dare una rilettura spirituale a questo brano evangelico in cui ogni cristiano è chiamato a rispecchiarsi. Ognuno di noi, infatti, è stato liberato dalla condanna di una morte perenne a motivo del peccato originale: il nostro nemico, il diavolo, è stato sconfitto e non di certo per i nostri meriti, ma per quelli di Cristo che è morto per noi «mentre eravamo ancora peccatori» (Rm 5,8).
Il fondamento della gioia
Perché la gioia di Israele non si basi unicamente sulla parola del profeta, su un atto di fede che può rimanere discutibile, Sofonia nella massima espressione di un’esultanza spirituale, dà voce a Dio aggiungendo un’affermazione di particolare importanza:
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te
Cosa rivelano queste parole? A nostro avviso qualcosa di davvero fondamentale. Qui non si dice che il signore è semplicemente vicino a Israele, chinato dall’alto dei cieli che lo guarda, qui si afferma che Dio è presente fisicamente in mezzo al popolo. La prossimità di Dio con i suoi fedeli è massima! La sua presenza è certa, costante e concreta benché discreta.

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Abbiamo avuto modo di vederlo anche in un altro brano biblico, nel libro dell’Esodo lì dove Dio in mezzo al popolo, ascolta le lamentele circa la manna e preso in disparte Mosè rivela che avrebbe mandato anche le quaglie per alimentarlo. Leggiamo un passaggio:
In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mose e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».
Allora il Signore disse a Mose: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà à raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”» (Es 16,2-4.12).
Commentando questo brano avemmo modo di dire quanto questo atteggiamento di Dio, riporti inevitabilmente al mistero del Natale, lì dove l’Altissimo si fa piccolissimo.

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Questa presenza viva, efficace e discreta di Dio che si fa spazio tra il popolo, viene ripetuto nell’atteggiamento di Gesù Risorto quando appare ai discepoli mentre sono riuniti, chiusi nella loro casa per paura di subire la stessa sorte del loro Maestro. Gesù entra a porte chiuse e rifonda la loro speranza. Leggiamo quanto narra l’evangelista Giovanni:
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”.
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!” (Gv 20,19.26).

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L’invito alla gioia, motivato dall’amore tenero e provvidente di Dio che si occupa e preoccupa del suo popolo, motiva quest’ultimo a uno stato d’animo gioioso che perdura anche nelle situazioni di crisi, perché si basa non su un allegria momentanea, emozionale o caratteriale, ma sulla fede stessa, nell’aver comprovato sulla propria pelle, durante tutto il corso della sua storia, la fedeltà di Dio alla sua parola.
La presenza di Dio in mezzo al popolo, tuttavia, non può non aprirci a un’altra considerazione: quella di avere occhi limpidi ed animo entusiasta per scrutarne le tracce della sua presenza attraverso i volti che riempiono la nostra socialità che deve essere sempre aperta. Non accada come ai tempi di Gesù: mentre gli uomini alzavano lo sguardo al cielo in cerca di un segno di Dio, questi camminava accanto a loro ed essi non lo riconobbero.

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Dio è gioia!
In diverse circostanze abbiamo approfondito il tema della gioia di Dio, tanto da aver dedicato un’intera sezione di articoli presenti nel nostro blog, basti cliccare sulla categoria “La Parola è gioia”. Tuttavia riteniamo importante sottolineare le affermazioni del profeta Sofonia nella prima lettura di questa domenica.
Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore,
esulterà per te con grida di gioia
Il profeta sta rivelando qualcosa di grandioso: Dio gioisce quando il suo popolo è felice, redento, santificato. Diversamente dall’immagine di un Dio giudice e severo, qui si rivela il volto di un YHWH che partecipa alla gioia di Israele, come farebbe un genitore al vedere il figlio bello, sano, pasciuto e felice. ci troviamo di fronte a un volto di Dio che anche Gesù ci ha rivelato, quando parla dell’esultanza divina per ogni peccatore convertito.

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Il nostro è un Dio allegro
Ben a ragione, dunque, diceva S. Ireneo:
La gloria di Dio è l’uomo vivente
Ireneo da Lione, Contro le eresie
L’invito al quale siamo chiamati è quello di essere causa di gioia per il cuore di Dio, a motivo della santità della nostra vita, della nostra fiducia salda in lui, della nostra speranza che fonda la nostra gioia. Da questa prospettiva, poi, si comprendono meglio anche le parole del Santo Padre Paolo VI che in una della sue Udienze Generali affermava:
Questo, Figli carissimi, è il vero, il grande, il beato messaggio della nostra religione: Dio è la nostra felicità. Dio è la gioia, Dio è la beatitudine, Dio è la pienezza della vita, non solo in Se stesso, ma per noi. […] Questa è la vera religione, la nostra religione, la nostra spiritualità: la gioia di Dio. Questo è il regalo che a noi porta Cristo nascendo al mondo: la gioia di Dio
Paolo VI, Udienza Generale, 20.12.72

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II lettura
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (4,4-7)
Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
Anche Paolo parla di gioia. Nella sua concretezza l’Apostolo, consapevole delle difficoltà delle relazioni all’interno delle comunità ecclesiali, rivela in quale maniera debba realizzarsi la gioia del cristiano. Egli, infatti, afferma che la letizia nel cuore si manifesta nell’amabilità. Un animo incattivito, restìo nelle relazioni, incapace di confronto con gli altri, chiuso nel proprio orgoglio, non potrà mai godere della gioia che viene da Dio. L’uomo che vive incapace di relazioni vere, di misericordia e perdono, l’uomo che costruisce muri e non ponti, per Paolo, si autocondanna all’infelicità già qui ed ora.
La vicinanza di Dio, lo sperimentare il suo amore nei nostri riguardi, non può lasciarci indifferenti circa l’instaurare relazioni sincere con gli altri. Al contrario. L’apostolo conclude che solo colui che si sforza di essere amabile col suo prossimo, non solo gode della gioia di Dio, ma persino della sua pace.
Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (3,10-18)
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Nella prima domenica di Avvento, abbiamo visto gli esordi del ministero del Battista, ricettore di una parola profetica da parte di Dio mentre era nel deserto. Oggi lo vediamo mente predica. Il contenuto di tutto il suo messaggio, riguarda in realtà la carità fraterna. Quando la gente gli si accosta per chiedergli cosa deve fare per prepararsi alla venuta del Messia, egli sembra rispondere: «ama il tuo prossimo di un amore non romantico, ma concreto».

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Il primo invito che il Battista rivolge alle folle è proprio la condivisione:
«Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». .
Le sue parole hanno senso, soprattutto se ricordiamo che l’Avvento è tempo di penitenza, al pari della Quaresima. Un periodo dell’anno liturgico che impone al credente uno sforzo maggiore nella preghiera, nel digiuno e nell’elemosina. In questo caso Giovanni Battista ci ricorda che quello che per noi è di più, non è nostra proprietà, ma del povero. Ci troviamo di fronte a una verità rivelata da YHWH fin dagli esordi della vita del popolo di Israele. Leggiamo infatti nel libro del Levitico:
Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, vostro Dio (Lv 19,9-10).
Quando, dunque, diamo in elemosina, o comunque aiutiamo una famiglia che sappiamo essere veramente bisognosa, in realtà non stiamo facendo un’opera di bene, ma semplicemente quel nostro dovere che con tanta facilità omettiamo. Gesù, infatti, si rivela molto duro con coloro che non applicano questa giustizia e parla di una vera e propria condanna per coloro che avranno omesso questo loro dovere. leggiamo infatti nel Vangelo secondo Matteo:
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,41-45).
Oggi più che mai, dunque, urge la presa di coscienza della necessità di un’apertura all’altro che è nel bisogno, come avemmo modo di affermare in un nostro precedente articolo:
Il rischio di un contagio pandemico, in maniera molto triste, ha messo molti uomini e molte donne in una posizione di maggiore chiusura rispetto all’altro. Basta uno starnuto o un colpo di tosse e subito le distanze tra le persone aumentano. Alla fine, in un modo o nell’altro, abbiamo finito per chiuderci di più nel nostro mondo, in noi stessi, nel nostro egoismo. La corsa ai supermercati alcune settimane prima dei lockdown totali, almeno in certi paesi, furono espressione di un accaparramento schizofrenico ed egoistico.
Come ci interpella la sua compassione?
Il brano del Vangelo di oggi, ci invita a rifuggire da questi atteggiamenti, dalla pretesa di assolutizzare il benessere della nostra vita e a saper condividere ciò che abbiamo in nostro possesso, foss’anche minimo, con chi è in situazione di maggiore fragilità. Dopotutto la lezione che fatichiamo ad apprendere è che Dio è generoso con colui che lo è con il suo prossimo.

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Si unisce a questo insegnamento, anche la successiva esortazione del Battista. Quella che rivolge ai pubblicani, israeliti esattori delle tasse al servizio di Roma:
«Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Questa fu anche la lezione che dovettero imparare l’apostolo Matteo e Zaccheo, capo dei pubblicani. Entrambi, folgorati dalla figura di Gesù, cambiarono vita, abbandonarono Mammone, e trovarono la via della gioia eterna. Per un approfondimento, rimandiamo all’articolo qui in basso.

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Analoga esortazione, vale anche per i soldati sensibili al richiamo dello spirito. Anche ad essi il Battista esorta a non seguire la logica dell’accaparramento per non schiacciare il debole col peso della loro autorità.
«Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Se vuoi accogliere Cristo, ama!
Sembra questo, in ultima analisi, la sintesi del messaggio di Giovanni a chiunque gli si accostasse per chiedere il Battesimo di conversione per prepararsi all’imminente venuta del Messia.
L’invito oggi, ancora una volta, è attuale per noi che in questo tempo di Avvento addobbiamo le nostre case per il Natale. Se vogliamo che davvero questa solennità cambi la nostra vita, dobbiamo cominciare da oggi per poter accogliere con animo ben disposto il Dio che viene e ci raggiunge.
Sembra che nel vangelo non si faccia riferimento alla gioia, a dispetto di questa domenica e di quello che è stato detto nelle altre letture. In realtà per Giovanni il battista la gioia la si ottiene non a buon mercato, ma con fatica, morendo a se stessi amando gli altri, fuggendo dalla logica dell’accaparramento per accogliere quella della condivisione. Per lui, la gioia la si trova facilmente dopo aver faticosamente lavorato su noi stessi, sulle nostre tentazioni di esclusivismo, elitarismo.
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