Il Regno dei cieli non è fatto per i musoni

In quel tempo, Gesù disse alle folle: «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie» (Mt 11,16-19).

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Introduzione
Il tema della gioia non è soltanto centrale all’interno del ministero di Papa Francesco, ma si incarna profondamente nella tradizione biblica tanto che YHWH si rivela per Israele, e per la Chiesa, il Dio della gioia, della pace e della concordia.

Come se questo non fosse stato chiaro all’interno della plurisecolare letteratura veterotestamentaria, Gesù esemplifica in diverse occasioni in cosa consisti la gioia del Padre. Nel Vangelo secondo Matteo, vengono riportate alcune affermazioni di Gesù riguardanti la gioia. Per il Figlio di Dio la gioia consiste nella ricerca fruttuosa della presenza del Padre nel tessuto quotidiano della vita dell’uomo. Da qui le parabole del tesoro nascosto nel campo e della perla preziosa trovata dal mercante. Leggiamo:.

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In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra». (Mt 13,44-46).

Commentando questo brano evangelico così particolarmente significativo per la nostra vita cristiana, avemmo modo di affermare:

Cosa ne hanno in cambio il contadino e il mercante? Hanno cercato per tutta una vita qualcosa di prezioso e alla fine per averla devono impoverirsi, forse ciò che ottengono è più prezioso di quello che perdono. In effetti quello che ottengono i due personaggi delle metafore di Gesù sono la gioia di godere di qualcosa che si è cercato per tanto tempo. Hanno finalmente trovato la risposta alle loro fatiche, il senso della loro vita, la gioia appunto. In sintesi, hanno trovato il Regno di Dio in terra!

Il Regno dei cieli è gioia

Un ulteriore approfondimento sul tema della gioia, ce lo riferisce l’evangelista Luca, quando riporta le parabole della Misericordia insegnate da Gesù. Leggiamo giusto le prime due: quella della pecorella smarrita, e quella della moneta perdura e ritrovata.

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In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,1-10).      

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Affrontando questo insegnamento di Gesù, potemmo affermare:

Che piaccia oppure no, ai musoni di tutte le epoche, YHWH è un Dio “festaiolo”, e ce ne dobbiamo fare una ragione. Tutta la storia della salvezza che si fa “storia”, carne, nel figlio di Dio inizia con un momento di grande esultanza […].
Per cosa gioisce Dio? Non solo per se stesso, essendo perfezione infinta non può esserci che gioia. Nella Santissima Trinità esiste una gioia estrinseca, esuberante, tanto grande che esce dai confini della sua divinità per rivolgersi a ciò che è totalmente altro da lui: la creatura. Per questo motivo non solo la crea, ma anche la salva e gioisce immensamente quando questa si incammina per la via della salvezza.

Il nostro è un Dio allegro
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Gli insoddisfatti cronici
Una volta fatta questa importante introduzione sulla gioia di Dio, e che è Dio caratterizzandolo intimamente, che nella sua esuberanza si dona al totalmente altro da sé, l’uomo, possiamo meglio comprendere il senso delle affermazioni di Gesù nel brano evangelico odierno.

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A chi si sta rivolgendo Gesù? Generalmente i musoni che lo seguivano erano i suoi avversari: scribi, farisei, dottori della legge e così via. Tuttavia è interessante far notare che le parole di Gesù non sono rivolte ai suoi avversari, ma alle folle che lo seguono. È così, infatti, che si apre il brano evangelico:

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In quel tempo, Gesù disse alle folle

Perché Gesù riserve per loro parole tanto amare? Per comprenderlo dobbiamo sapere quello che era successo poco prima. Giovanni il Battista era stato arrestato e dal carcere aveva mandato i suoi discepoli chiedendo conferma se fosse lui il Messia che Israele da secoli attendeva. Leggiamo:

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Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.
Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete:  i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”.
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti! (Mt 11,1-15)
.

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Il problema, dunque, che soggiace alle amare affermazioni di Gesù è l’incapacità del popolo di gioire della venuta del Messia, semplicemente perché non rispetta i canoni che si aspettava. Se da un lato la gente si lamentava per l’atteggiamento troppo ascetico e penitente del Battista, non di meno lo è per quello più, apparentemente, leggero di Gesù.

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Chiusi a ogni possibilità di accoglienza della novità di Dio, il popolo di Israele si ripiegato su se stesso, sulle sue idee e persino sull’immagine, falsata, di Dio. YHWH, infatti, lungo tutto il corso della storia di Israele, si è rivelato un Dio misericordioso che di fronte al popolo infedele, ha saputo stipulare sempre nuove alleanze, nuovi patti di amicizia. È, tuttavia, questa eterna novità di Dio, che i contemporanei di Gesù hanno dimenticato.

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Non distrarti: lasciati stupire da Dio
Il monito di Gesù alla gente della sua epoca, oggi vale anche per ognuno di noi. Non raramente anche noi viviamo ripiegati su noi stessi: sui nostri progetti e i nostri desideri, sulla nostra realizzazione personale come assoluto che nessuno deve mettere in crisi, sulle nostri croci e le nostre prove che sono le più pesanti di chiunque, persino sulla nostra immagine di Dio tanto da formulare una nostra teologia.

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Oggi Gesù invita ognuno di noi a fermarci un attimo e sollevare lo sguardo dalla pancia al cielo, dal nostro egocentrismo a una prospettiva diversa, più alta, più completa.

L’invito è quello di stare attenti a non vivere una vita da distratti da quello che ci accade intorno. Non accada come quando Gesù camminava nel tempio di Gerusalemme e, mentre la gente pregava Dio che mandasse il Messia, essi non lo riconobbero proprio accanto a loro, finendolo persino per ucciderlo.

Per Gesù la gente della sua epoca è simile a bambini capricciosi: mai contenti del gioco al quale giocano, alle cose che hanno. L’invito per noi non è soltanto accontentarci di quello che abbiamo, ma saper gioire della vita che ci è data di vivere perché consapevoli che il nostro è un “Dio con noi”, l’Emmanuele provvidente che si fa nostro compagno di viaggio in questa vita.

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Come vincere questa tentazione dallo stare ripiegati su noi stessi, dalla pretesa di essere il centro e il fulcro attorno al quale far ruotare la nostra vita? Abbiamo un esempio eminentissimo nella Vergine Maria, la donna tutta pura che ha saputo decentrarsi, facendosi la serva del Signore e la seguace della Parola. Approfondendo l’atteggiamento di Maria di fronte all’angelo Gabriele, nel precedente articolo, abbiamo avuto modo di affermare:

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Nel nostro cammino spirituale, nella quotidianità della nostra esistenza, dobbiamo imparare ad essere noi a modellarci sulla volontà di Dio e non il contrario. Il problema è che a volta si ha la presunzione che Dio debba stare ai nostri tempi, e quando abbiamo tempo ci dedichiamo a lui con la preghiera e i Sacramenti, altrimenti non deve nemmeno lamentarsi che abbiamo fin troppe cose a cui dedicarci per pensare a lui.
Maria stravolge questo modo di pensare e rivela che prima di pianificare le nostre giornate, le nostre settimane, il nostro lavoro, bisogna pensare a Dio, progettare i tempi da dedicargli con costanza e frequenza. Solo allora il nostro tempo non sarà stato un inutile affaccendarsi.

Perché celebriamo l’Immacolata Concezione di Maria?
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L’invito è quello di smetterla di vivere di social per vivere da sociali. Lo abbiamo detto più volte, e oggi lo ripetiamo: se da un lato la connettività dei social media ci ha aperto verso nuove strade di condivisione, dall’altro ha impoverito nettamente la nostra socializzazione.
Nascosti dietro uno schermo si affacciano persone poco per bene, dai leoni da tastiera, ai truffatori 2.0, a sciacalli e talvolta a veri e propri criminali. Vivendo di questa iperconnettività si sono elevati a nuove divinità di un Olimpo fittizio, gli influencer, gente che vende la propria immagine per qualsiasi azienda e ideologia pur di racimolare quattrini e un pugno di popolarità.

Guardando a loro molte persone, non solo adolescenti, trovano un modello su cui plasmare la propria esistenza, e così che si crea l’anticultura dell’immagine, che non lascia spazio alle diversità ma impone come conseguenza della globalizzazione, l’inserimento all’interno di circuiti telematici, dette community, solo persone che rientrano in determinati standard, escludendo, e talvolta bullizzando, tutti gli altri.

Ecco il paradosso, dunque, della nostra era di social asociali, alla quale siamo chiamati a dare certamente il nostro contributo, ma senza restarne invischiati, capaci di una socialità che promuova l’altro nella sua diversità. È solo a partire da un vero e proprio decentramento da se stessi che può instaurarsi un nuovo modo di intendere e vedere la socialità umana nella sua interezza, che unisce il trascendentale all’immanente, la relazione con Dio a quella tra gli uomini.

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Da qui, dunque, lo stupore gioioso: scoprire Dio in ogni passo della nostra vita quotidiana, nel volto delle tante persone che incrociamo per le vie della nostra città e tra i banchi delle nostre chiese.

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Non etichettare
L’ultima provocazione che traiamo da questo brano evangelico è l’invito di Gesù a non giudicare nessuno. Egli, infatti, biasima, rimprovera l’atteggiamento delle folle che ha guardato con sufficienza e disprezzo tanto il Battista, come il Messia.

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È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.

Non raramente si sente dire che le relazioni tra le persone nasce da quanto si percepisce “a pelle”, a primo impatto o per “colpi di fulmine”. Niente di più superficiale e infantile!

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Gesù aborre questo atteggiamento, invitando a conoscere l’altro approfonditamente. Se gli uomini della sua epoca ci avessero provato con lui e il suo predecessori, sicuramente avrebbero potuto camminare nella grazia di Dio, fare un’esperienza intima di lui. E invece sono rimasti alla superficie, intontiti da quel giudizio iniziale che non ha permesso loro di fare quel passo avanti necessario per ogni cammino spirituale.

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Se da un lato la gente all’epoca di Gesù etichettava il Battista come posseduto e a Gesù come ubriacone, non raramente anche noi ci comportiamo n questa maniera quando, meticolosamente, etichettiamo le persone che gravitano attorno alla nostra vita, brutte o buone. Ecco allora l’ultima provocazione per noi: lasciamoci stupire dal nostro prossimo, impariamo dall’umiltà di Maria a lasciar da parte il nostro orgoglio e il nostro egocentrismo, proviamo a fare un passo verso di loro, magari avranno un messaggio di Dio per noi. Il tempo di avvento, dopotutto, è proprio questo: ricostruire strade e ponti, punti di incontro con gli altri, come atto fondante di quella carità fraterna che purifica la nostra anima elevandola a Dio.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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