Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria
Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38
Perché il figlio di Dio potesse farsi uomo aveva bisogno di una degna dimora che lo ospitasse, era necessario che venisse accolto in un grembo veramente ospitale. Era necessaria una giovane donna pura da ogni peccato fin dal suo primo concepimento. Per l’Unigenito Figlio, il Padre aveva bisogno di una donna speciale: aveva bisogno di Maria.
Ci troviamo di fronte alla più grande provocazione di tutti i tempi per noi cristiani: la salvezza è per tutti, ma per goderne è necessario che ne siamo degni. Celebrando la solennità dell’Immacolata Concezione, oggi ognuno di noi è chiamato a riconoscere che non possiamo accogliere Cristo nella nostra vita, se non in maniera altrettanto pura.
Tuttavia è lecito domandarci: come possiamo esserlo se non facciamo che peccare? In questo caso la Chiesa ci offre diversi mezzi, di cui i Sacramenti sono quelli più potenti. Tra questi ci sono il Battesimo che ci libera dal peccato originale, la Confessione che ci riabilita alla comunione con Dio e con i fratelli, e l’Unzione degli infermi che ristabilisce una sorta di equilibrio interiore per coloro che sopportano determinati pesi e infermità.
A imitazione della Vergine Maria, anche noi accogliamo ogni domenica Cristo nel nostro grembo, tuttavia dobbiamo riconoscere con quale animo lo accogliamo. Se non accediamo frequentemente al Sacramento della Riconciliazione, se viviamo in peccato grave, se non ci pentiamo dei nostri peccati e non siamo cristiani di comunione, accogliamo in maniera illecita l’Eucaristia. E vedete, anche un apostolo di Gesù fece lo stesso e si dannò: Giuda. È interessante che una delle preghiere silenziose che il sacerdote può recitare prima della comunione afferma proprio questo:

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La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue,
Messale romano
Signore Gesù Cristo,
non diventi per me giudizio di condanna,
ma per tua misericordia,
sia rimedio di difesa dell’anima e del corpo
L’accogliere il corpo di Cristo in un cuore non riconciliato e non pentito, sortisce per il cristiano una vera e propria condanna, dalla quale dobbiamo guardarci. Soprattutto, dunque, in questo tempo di avvento, guardando alla Vergine Maria nella sua immacolata concezione, siamo chiamati a ritornare con slancio ed entusiasmo alla confessione e all’essere uomini e donne che vivano di comunione e in comunione, con Dio e con i fratelli.
I lettura
Dal libro della Genesi (3,9-15.20)
[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché hai fatto questo,
maledetto tu fra tutto il bestiame
e fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai
e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

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Ci troviamo di fronte a una delle pagine più tragiche di tutta l’umanità il momento in cui si crea una spaccatura non solo tra la creatura e Dio, ma anche tra l’uomo e la donna. L’ascolto della voce del serpente ha distrutto l’armonia originaria, creando una grave frattura in tutte le relazioni possibili.
Ancora oggi continuiamo a dare ascolto a colui che non vuole altro da noi che l’autodistruzione. Oggi il serpente ha il nome di orgoglio, di vizio, di una certa immagine da mantenere davanti agli altri. E cadiamo nello stesso errore dei progenitori, distruggiamo ogni tipo di relazione, perché quello che sentiamo, quello che desideriamo è sempre più importante di tutto e tutti.
«Dove sei?»
Sono le prime parole che in assoluto Dio rivolge all’uomo da quando lo ha creato. Adamo si è sottratto allo sguardo di Dio, fugge da lui, non vuole riconoscere il suo peccato e per questo scappa.
Questa domanda oggi il Signore la rivolge a ognuno di noi: dove siamo? A che punto siamo col nostro cammino cristiano? A quale gioco sto giocando quando si parla di un dovere di santificazione personale. Mi faccio trovare da Dio, quando mi chiama a vivere i Sacramenti, sono in grado di accogliere la sua assoluzione nella Confessione, lo riconosco quando mi parla attraverso i fratelli?
Anche se in uno stato di peccato, Dio non smette di mettersi alla ricerca di Adamo e di ognuno di noi, e questo è un bene, ma io oggi sono chiamato a farmi trovare, perché domani potrebbe essere troppo tardi.
«La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato»
Adamo non si prende le sue responsabilità circa il peccato commesso. Egli, non solo addossa la colpa alla donna, ma persino su Dio perché lui l’ha creata e gliel’ha donata. Come cristiani siamo chiamati anche noi a prenderci le nostre responsabilità non solo per i nostri peccati, verso i quali siamo sempre molto accondiscendenti e anche nella Confessione siamo bravi a giustificarli, ma persino di fronte al peccato dei nostri fratelli per cui ci piace così tanto girare lo sguardo, far finta di non vedere. Dice il profeta Ezechiele:
Se io dico all’empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te.
Ma se tu avrai ammonito l’empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità. Tu invece sarai salvo (Ez 33,8-9)
Il problema di Adamo è che non solo colpevolizza Eva del suo peccato, ma persino Dio. Fratelli e sorelle se il suo atteggiamento ci scandalizza io vi dico che non raramente ci comportiamo così anche noi quando colpevolizziamo il Signore per il male del mondo. Succede un lutto in famiglia e allora è Dio che si è preso il nostro caro. Qualcuno si ammala, e allora è Dio che manda le malattie. Trattiamo il Signore come la più becera delle persone e ci rivolgiamo a lui come se fosse un ufficio del collocamento, quando gli chiediamo un lavoro, o comunque come un funzionario qualsiasi quando ci ricordiamo di lui solo quando abbiamo bisogno di qualcosa. Davvero ci comportiamo da pagani!
«Io porrò inimicizia fra te e la donna»
Il brano si conclude con una promessa: il serpente ha i giorni contati e proprio colei che si è fatta abbagliare dalle sue promessa, gli schiaccerà la testa in segno di una vittoria definitiva contro tutte le forze del male.
Non esiste una condanna definitiva dell’uomo, al contrario, si apre a una prospettiva di salvezza che ricondurrà l’umanità a uno stato di grazia originaria.
L’atteggiamento di Dio che non si chiude in se stesso, deluso e ferito da chi ha amato, deve necessariamente spingerci a fare lo stesso con i nostri fratelli: essere uomini e donne di comunione, capaci di amare il nostro prossimo andando oltre i loro limiti.
II lettura
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (1,3-6.11-12)
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Tutta la Chiesa in questa solennità guardando Maria, è chiamata a trovare in lei il modello attraverso il quale plasmare la sua vita. Ognuno di noi è chiamato alla santità e a uno stato di totale purità interiore.
Lo abbiamo già detto in un nostro precedente articolo: non tutti saremo mistici, né moriremo martiri, eppure tutti siamo chiamati a farci santi.
Perché, appunto, questo traguardo non sia soltanto una bella idea, ma troppo distante dalla realtà, come un ideale irraggiungibile, l’apostolo Paolo afferma in cosa consista farsi santi. Rileggiamo:
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità.
Per prima cosa la santità consiste in un movimento: mettersi «di fronte a lui», o come ha detto la scorsa domenica il profeta Baruc, splendere della gloria di Dio a favore di tutto il popolo.
Ma non solo. L’apostolo ci invita, certamente a riorientarci a Dio, tornare a lui nella conversione e revisione di vita, e nei Sacramenti, ma perché il cammino del cristiano non resti qualcosa di privato o solo per una piccola élite, aggiunge che la santificazione si realizza nella carità. Ancora una volta emerge la necessità della presenza del fratello perché il singolo possa santificarsi: non si può prescindere delle relazioni comunitarie, per quanto difficili. Lo dice chiaramente anche l’apostolo Pietro nella sua prima lettera, come a confermare le parole di S. Paolo:
La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare (1Pt 4,7-9).
La carità fraterna, diventa per se stesso non solo un dovere per il cristiano che intenda fare sul serio col proprio battesimo, ma persino un atto purificativo che gli permette di entrare in una relazione più intima e pura con Dio.
Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (1,26-38)
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
«Rallègrati»
Quello dell’angelo a Maria, non è un normale saluto, ma un pressante invito alla gioia per l’opera salvifica che Dio sta per compiere attraverso la sua maternità. La prima chiamata di Dio è sempre alla gioia. Dio ci ha creati per essere felici, tutte le altre vocazioni, derivano da questa.
Il mondo ha bisogno di cristiani gioiosi ed entusiasti, lo ha rivelato in diversi modi e circostanze Papa Francesco parlando della capacità missionaria della gioia cristiana.
«Piena di grazia»
L’espressione, totalmente nuova in tutta la Sacra Scrittura, significa riempita, invasa, dell’amore di Dio. L’arcangelo rivela a Maria quanto il Signore sia innamorato di lei, della sua bellezza e purezza.
Ma questo oggi non vale solo per lei. Il Signore vuole riempire anche noi della sua grazia, del suo amore, se glielo permettiamo.
Commentando questo brano in un nostro precedente articolo affermammo:
La grazia di cui Maria è oggetto non solo le darà la forza e l’entusiasmo per portare avanti la missione alla quale è chiamata, ma in qualche modo finisce per dare una nuova identità alla sua persona.
Rallegrati, piena di grazia
Le parole d’amore del Creatore a Maria, oggi risuonano come altrettanto veritiere per noi. Esse risultano attuali anche agli occhi dei più scettici, nella donazione che il padre ha fatto del Figlio che si incarna e muore inchiodato alla croce per tutta l’umanità peccatrice.
Come restare, dunque, inermi di fronte a un Dio che vuole donarsi a noi completamente e riempirci della sua grazia al pari della Madre di Dio? L’invito è quello di n on accontentarci delle briciole della nostra vita cristiana, del minimo sindacale, ma di osare nella donazione, nella capacità di accoglienza e fiducia nei riguardi del Signore.
«Come avverrà questo…?»
Di fronte a una rivelazione così grande, dritta dinanzi all’angelo, Maria non perde la sua lucidità e con la domanda che gli pone ci rivela qualcosa di fondamentale: la fede necessita della ragione per essere tale. Maria ci rivela che la fede non è un assenso cieco a dei dogmi e a dei concetti, ma è fiducia in un Dio che si prova a conoscere. E perché questo accada, Maria necessita di tutte le sue facoltà per dire il suo “sì” a Dio.
L’atteggiamento sapiente della vergine, è completamente opposto a quello di Zaccaria, il marito della sua parente Elisabetta. Anch’egli, prima di Maria, ha avuto la visita di Gabriele con l’annunciazione di una nascita miracolosa nel grembo sterile e anziano della moglie. Tuttavia l’atteggiamento dell’uomo lasciò emergere la sua incredulità e mancanza di fiducia, benché un sacerdote e un uomo di fede. Leggiamo:
Zaccaria disse all’angelo: “Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni” (Lc 1,18).
Qual è l’errore di Zaccaria? Se da un lato Maria crede nelle parole dell’angelo, ma chiede delucidazioni per comprendere meglio il senso della missione che dovrà accogliere, Zaccaria dal canto suo chiede un segno perché non crede. Non raramente anche noi cadiamo nel suo errore, quando per credere abbiamo bisogno di grazie, miracoli, sogni o segni nel cielo. Per approfondire questo tema, rimandiamo all’articolo qui in basso.
Con la sua domanda, la Vergine Maria ci invita ad intrattenerci in dialogo con il Signore in una preghiera che non soltanto sia spontanea, ma che sia aiutata dalla meditazione della Sacra Scrittura, lì dove è rivelato tutto ciò che Dio si aspetta da noi.
«Ecco la serva del Signore»
Nonostante la dignità della vocazione alla quale è chiamata, essere la madre del Figlio di Dio, Maria continua a professarsi serva. Avrebbe ben a ragione da questo momento appellarsi col titolo di “Madre di Dio” o “Regina degli angeli e dei santi”, e invece si mantiene umile, lascia a Dio il timone della sua vita.
Ci troviamo di fronte a una provocazione valida anche per ognuno di noi, quando pensiamo che la nostra realizzazione personale passi attraverso il riconoscimento che gli altri danno dei nostri titoli: dottore, avvocato, ecc. Maria riconosce che tutto ciò che è chiamata a diventare, resta merito di Dio che ha compiuto in lei grandi cose, come dirà nel magnificat. La sua umiltà non può lasciarci indifferenti e ci invita a riconoscere che non dobbiamo volere per noi altri titoli se non quello di fratelli e sorelle, a motivo di Cristo che ci ha resi figli di un unico grande e onnipotente Padre.
«avvenga per me secondo la tua parola»
Maria continua il suo “sì” al piano divino, con quest’ulteriore specificazione. Ancora una volta la vediamo decentrarsi. Ben a ragione avrebbe potuto dire: «io farò quello che dici», ma al contrario lascia sempre a Dio il primo posto, il punto focale attorno al quale far ruotare la sua vita.
Anche questo atteggiamento deve aiutarci a riformulare la nostra vita cristiana. Nel nostro cammino spirituale, nella quotidianità della nostra esistenza, dobbiamo imparare ad essere noi a modellarci sulla volontà di Dio e non il contrario. Il problema è che a volta si ha la presunzione che Dio debba stare ai nostri tempi, e quando abbiamo tempo ci dedichiamo a lui con la preghiera e i Sacramenti, altrimenti non deve nemmeno lamentarsi che abbiamo fin troppe cose a cui dedicarci per pensare a lui.
Maria stravolge questo modo di pensare e rivela che prima di pianificare le nostre giornate, le nostre settimane, il nostro lavoro, bisogna pensare a Dio, progettare i tempi da dedicargli con costanza e frequenza. Solo allora il nostro tempo non sarà stato un inutile affaccendarsi.
Eva e Maria, due donne a confronto
Con la prima lettura e il Vangelo, la Liturgia della parola ci mette di fronte due modelli di donne completamente opposte, in cui l’ultima, con la sua innocenza ripara i danni fatti dal peccato della prima.
Lì dove Eva, con Adamo, si nasconde alla vista del Signore, Maria si fa trovare con il suo “Ecco la serva del Signore”. La prima donna dell’umanità dà inizio a una discendenza di uomini segnati dal peccato, la seconda, invece, diventa la Madre dell’Emmanuele, il Dio con noi. Ella, infatti, riavvicina Dio all’umanità peccatrice e diventa Madre dei redenti, di coloro che nulla più hanno a che vedere col peccato.
In Eva e Maria oggi contempliamo l’origine e la meta di tutta la nostra vita. Nati sotto il segno del peccato originale, ne veniamo liberati per la morte di quel Figlio di Dio che Maria ha messo al mondo, guardando a lei come modello di coloro che siamo chiamati a diventare già in questa vita. Per questo diventa necessario che la Chiesa ogni anno celebri la solennità dell’Immacolata concezione di Maria, perché ricordi a se stessa la grandezza della santità alla quale è chiamata fin da subito e non si perda negli affanni della vita e della quotidianità.
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La gioia di Dio e che è Dio possa raggiungere quanti più fratelli

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