In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,20-28).
Contesto narrativo
Dopo il lungo viaggio che dalla Galilea lo ha portato a Gerusalemme, una volta entrato nella città santa, l’evangelista Luca ci presenta un Gesù che, infaticabile, insegna al tempio di Gerusalemme: lì prega, incontra persone, trova spunti per indirizzare i discepoli verso la vera fede, si scontra con le autorità religiose e civili dell’epoca. ma soprattutto non perde occasione perché i discepoli possano continuare la sua missione, una volta che lui, solo apparentemente, non sarà più con loro. Questo atteggiamento di Gesù ci rivela qualcosa di fondamentale circa la sua persona, e quella di tutta la Santissima Trinità:
Questa attenzione di Gesù nell’insegnamento nel tempio, è indice della tenerezza divina che non lascia nulla al caso, nessuna energia risparmiata pur di riuscire ad acciuffare per i capelli un’anima e salvarla.
Come scoprire la bellezza che c’è in te?

Articolo importante per la comprensione del contesto attuale
Come scoprire la bellezza che c’è in te?
Il brano di oggi si situa all’interno di questa lunga sezione di Gesù nel tempio, rivelatrice dell’infaticabile tenerezza del suo cuore e di quello del Padre.
Contesto liturgico
Ci troviamo all’interno della XXXIV settimana del tempo ordinario, l’ultima settimana dell’anno liturgico che è stata inaugurata dalla scorsa domenica, quella in cui celebrammo solennemente Cristo Re dell’universo.

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L’anno liturgico è un tempo racchiuso tra due celebrazioni di un’attesa: la prima domenica di avvento (in cui la Chiesa si unisce all’antico Israele per invocare la venuta del Messia liberatore, nella fragilità della carna umana) e la solennità di Cristo Re (in cui si celebra la venuta di Cristo alla fine dei tempi, non più nei segni dell’umiltà, ma in quelli gloriosi della sua divinità). Il cristiano, dunque, è chiamato ad abitare in questi due poli, in questa attesa che non è statica, quietista, ma produttiva nell’amore verso colui che si aspetta venire, e verso il prossimo. Si tratta di un atteggiamento che Gesù più volte ha chiesto ai suoi discepoli di adottare. Per un maggiore approfondimento di questi insegnamenti, di quello che Gesù si aspetta da noi cristiani del III millennio, rimandiamo ai tre articoli riportati qui sotto:

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Gli ultimi insegnamenti di Gesù, dunque, sia prima di entrare in Gerusalemme, che una volta che vi sia entrato hanno un carattere apocalittico: riguardano cioè la conclusione di questo tempo per instaurare il suo Regno di eternità.
Inseriti, dunque, all’interno di questa ultima settimana dell’anno liturgico, continuiamo ad approfondire i preziosi questi insegnamenti di Gesù, di cui fa parte il brano evangelico odierno.
La distruzione di Gerusalemme
Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina
Non è la prima volta che Gesù annuncia la tragicità di questo evento. Già lo aveva detto all’entrare nella città santa, piangendo su di essa. Approfondendo quel brano, avemmo modo di affermare come la distruzione della città, e alla guerra alla quale rimanda, sia stata come la diretta conseguenza degli uomini, dall’aver rifiutato tra le loro mura colui che è il principe della pace.

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Effettivamente questa guerra avverrà nel 70 d.C., quando gli israeliti incapaci di sopportare ancora l’oppressione dei romani, capeggiati dal movimento degli zeloti, cercheranno di cacciar via dalla loro terra l’oppressore pagano. Un tentativo inutile e autolesionista, che comporterà la distruzione definitiva del tempio di Gerusalemme luogo simbolo dell’identità del paese.

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I cristiani almeno per i primi decenni della loro esistenza, si ritenevano parte integrato del giudaismo, così la distruzione del tempio di Gerusalemme sarebbe stato anche per loro un duro colpo: il crollo di tutte le loro certezze, la dissipazione di un luogo sacro che li vedeva convergere tutti insieme due volte all’anno. Implicava la disgregazione di una fraternità. Di fronte a un evento così terribile, come non sfiduciarsi? Ecco che Gesù annunciando ai discepoli quello che verrà, li prepara ad affrontare questo momento tanto doloroso, senza scoraggiarsi.
Cosa ha da dire questo a noi cristiani che viviamo due millenni dopo questi eventi? Sicuramente può capitare che anche nella nostra vita d’improvviso ci troviamo di fronte al crollo di tutte le nostre certezze, a prove che ci fanno tremare la terra sotto i nostri piedi, e sembra che tutto improvvisamente sia perso. Le parole di Gesù oggi ci raggiungono come una esortazione a non disperare mai, a non scoraggiarci. Sicuramente siamo chiamati a riconoscere che tutto in questa nostra vita ha una data di scadenza: dalle realtà materiali, alle persone. Per questo l’invito è quello di riconoscere la nostra patria è un’altra, che qui non siamo che pellegrini, che la vita vera non è questa. Al riguardo San Cipriano usa delle parole tanto vere quanto provocatorie, che dovremmo imparare a fare nostre:
Ma allora, domando io, perché preghiamo e chiediamo che venga il regno dei cieli, se continua a piacerci la prigionia della terra? Perché con frequenti suppliche domandiamo ed imploriamo insistentemente che si affretti a venire il tempo del regno, se poi coviamo nell’animo maggiori desideri e brame di servire quaggiù il diavolo anziché di regnare con Cristo?
San Cipriano, Sulla morte
La venuta del Figlio di Dio nella gloria
Gesù ci rivela qualcosa di forte. Dopo aver descritto tutte le devastazioni che riguarderanno Gerusalemme, nei cieli e in tutta la terra afferma:
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina
Se Gesù si fosse fermato semplicemente a fare della dubbia previsione del futuro, non si sarebbe di certo comportato diversamente da un guru, un santone dei nostri tempi. Al contrario gli sconvolgimenti di cui parla, e il senso delle sue parole ai discepoli, non è teso a fare del terrorismo psicologico, ma a fondare la loro speranza. Gesù sembra dire: “quando nella tua vita sembra che nulla più vada come dovrebbe, quando tutto sembri votato al fallimento e alla morte, quando ciò in cui credevi implode su se stesso: ecco, non temere, perché io sono con te, io non ti lascio solo, ma vengo come una buona notizia, alza il capo, ritempra la tua fiducia, sorridi, perché vengo a te come colui che ti libera da tutto questo”.

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Ecco allora la provocazione per noi oggi: quante volte abbiamo fatto esperienza della vicinanza di Dio, della sua provvidenza, di una sua grazia, in un momento di grande prova della vita? Se abbiamo fatto questa esperienza, a maggior ragione possiamo comprendere quanto veritiere siano le parole di Gesù oggi. E se questo lo riconosciamo come giusto e vero, perché non vivere col sorriso sulle labbra, perché non fare della nostra vita una perenne lode a Dio, perché non vivere da missionari a imitazione della Vergine Maria e proclamare al mondo il nostro Magnificat?

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Quando verrà il Figlio di Dio?
È una domanda che l’uomo di tutti i tempi sempre si è posto. Ma non solo. Questo interrogativo emergeva fin dal tempio di Gesù.
I farisei gli domandarono: “Quando verrà il regno di Dio?” (Lc 17,20a-b)
Gli domandarono: “Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?” (Lc 21,7)
L’uomo di tutti i tempi, ha sempre avuto un rapporto conflittuale con il futuro. Non raramente infatti, finiamo per vivere con estrema nostalgia il passato e con inaudita ansia il futuro, dimenticandoci che siamo chiamati ad abitare il presente, riempirlo di senso, di spirito di donazione, con gratitudine e gioia l’oggi.
La risposta di Gesù a questi interrogativi, poi, non lascia spazio a dubbi:
Egli rispose loro: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,20b-c-21).
Qual è il senso di questa risposta di Gesù? Egli ci rivela che è qui che lo dobbiamo cercare, farci cercatori della sua presenza tra le strade della nostra città, tra i banchi delle nostre chiese, magari proprio nel volto di chi non vogliamo incrociare lo sguardo, tra i banchi di scuola, negli ambienti di lavoro, tra le mura domestiche. Per Gesù l’eternità non riguarda un ipotetico futuro, ma già l’oggi, l’adesso.

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Cercatori di eternità
Fratelli e sorelle, non cadiamo nello stesso errore degli abitanti di Gerusalemme, quello di invocare che Dio scenda dal cielo e poi quando si mette accanto a loro non solo non lo riconoscono ma lo uccidono pure. E se Dio si mettesse accanto a te nello stesso banco della Chiesa? E se ti venisse a trovare attraverso quella persona che non riesci a perdonare? Non accada che ci venga offerto il Regno dei cieli, la felicità eterna, per le mani di un nostro fratello e noi rifiutiamo la nostra salvezza perché non ci è simpatico!
La domanda che dobbiamo porci, dunque, non è “quando verrà il Figlio di Dio”, ma come lo sto attendendo io, oggi. Cristo ogni giorno si offre a noi nel Sacramento dell’altare: come lo accolgo nella mia vita, come quali sentimenti lo faccio entrare nel mio cuore? L’eternità viene a noi attraverso strumenti imperfetti: persone e situazioni, riesco ad afferrarla o la rifiuto? Mi comporto da cristiano salvato? La mia vita è un pellegrinaggio verso qualcosa di più bello, o mi accontento della mediocrità dell’oggi?


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