Come scoprire la bellezza che c’è in te?

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo (Lc 21,5-11).

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Contesto
Siamo nell’ultima settimana del tempo liturgico, tra ormai qualche giorno inizierà l’Avvento e con esso un nuovo anno liturgico. Nel frattempo, la Chiesa ci propone di continuare la meditazione sugli insegnamenti apocalittici di Gesù, quelli che riguardano l’instaurarsi del Regno di Dio e della sua venuta gloriosa alla fine dei tempi.

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La motivazione per cui Gesù insegna queste tematiche non è tesa a spaventare i suoi uditori, ma al contrario per rifondare la loro speranza quando si troveranno ad affrontare periodi di crisi e lui, solo apparentemente, non sarà con loro.
Negli ultimi giorni, poi, la liturgia della Parola ci sta facendo meditare su un particolare della vita di Gesù: i suoi ultimi giorni da rabbì di Nazareth. Ormai entrato in Gerusalemme, non perde tempo e spedito si è diretto al tempio per predicare e insegnare, ogni giorno.

Questa attenzione di Gesù nell’insegnamento nel tempio, è indice della tenerezza divina che non lascia nulla al caso, nessuna energia risparmiata pur di riuscire ad acciuffare per i capelli un’anima e salvarla. Quest’indole provvidente, tenera e attenta di Gesù, espressione dell’amore del Padre, emerge con tutta la sua drammaticità e la sua forza, in quella che è comunemente chiamata la preghiera sacerdotale di Gesù. È un brano particolarmente intenso, tratto dal vangelo di Giovanni. Decidiamo di riportarlo per intero, benché lungo, ma riteniamo che sia davvero un momento importante in cui l’evangelista ci mostra uno squarcio sul cuore di Gesù da cui poter cogliere tutti i suoi più intimi sentimenti. Leggiamo:

Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: “Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità.
Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,1-26).

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È interessante, però, far notare come la prima cosa che Gesù fa quando giunge al tempio di Gerusalemme, è tutt’altro che un gesto di tenerezza, o almeno così parrebbe. All’entrare nel primo dei cortili del luogo più sacro di tutto il mondo israelitico, è cacciare via tutti i mercanti e i cambiamonete. Essi, al pari dei rappresentanti civili e religiosi della città, avevano pervertito quello che doveva essere un servizio al popolo, in fonte di speculazione sulle spalle dei poveri pellegrini che venivano da lontano.

Se dunque l’intento di Gesù quando parla di queste catastrofi, non è teso a fare del terrorismo psicologico, cerchiamo di capire qual è il messaggio che era chiaro agli uomini della sua epoca e un po’ meno a noi, che siamo vissuti duemila anni dopo di loro.

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Qual è la cosa più importante?
Dopo aver insegnato, aver affrontato la prima disputa con i sadducei che volevano metterlo in difficoltà con un cavillo teologico circa la risurrezione, dopo aver elogiato l’anonima vedova che ha risposto tra le offerte del tempio, tutto quanto le è rimasto da vivere, ecco un’ulteriore insegnamento di Gesù nel tempio che emerge spontaneo di fronte all’atteggiamento che la gente aveva nei confronti del luogo sacro.

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Qual è il nodo da sciogliere? Quale il problema? Già abbiamo visto che gli abitanti di Gerusalemme si attirano il biasimo di Gesù, perché mentre si battono il petto, chiedono un aiuto dal cielo e invocano la venuta del Messia liberatore, questi passa accanto a loro, si fa pellegrino insieme a loro nel tempio ed essi non solo non lo riconoscono, ma persino lo mettono a morte. Ora sorge un’ulteriore anomalia nella loro religiosità: entrano nel tempio e contemplano la bellezza del luogo, dimenticandosi di pregare quel Dio che erano venuti a trovare.
Ci troviamo di fronte a un atteggiamento attuale, dal quale dobbiamo guardarci di non cadere: perché vado in Chiesa? Per quale motivo decido di fare un cammino di fede? Per guardarmi intorno (persone, cose) o per guardarmi dentro? Non raramente infatti, ci attiriamo anche noi il biasimo di Cristo, quando entriamo in Chiesa per cercare noi stessi, la nostra realizzazione personale, l’emergere, la pretesa di essere noi l’elemento di bellezza che mancava nel luogo santo. Pensiamo di venire per adorare Dio, invece pretendiamo che gli altri venerino la nostra persona. E Dio nel frattempo ci passa accanto, urla alle nostre coscienze la sua vicinanza e la sua tenerezza, magari incarnata nel fratello seduto allo stesso banco: in colui che è accanto a noi e che magari ci risulta anche poco simpatico.
Agli israeliti del tempio e a noi cristiani del III millennio, Gesù ripete:

«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

Che senso hanno le sue parole? È un invito al ritorno all’essenziale, ad abbandonare le apparenze e a cercare quello che davvero conta. Egli stesso, in qualche modo, ce lo chiese non molti giorni fa:

Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno (Mc 134,31).

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Cercatori di eternità

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Il giusto rapporto con le cose
La necessità di un ritorno all’essenziale, ci aiuterà sicuramente a dare un nuovo ordine a tutte le nostre priorità. E questo è possibile nella misura in cui ci fermiamo un attimo e con sincerità, ponendoci di fronte a Dio, domandiamo: cosa mi rende felice? Di cosa o chi sono davvero fiero?
Non raramente è probabile che rispondiamo a queste domande facendo riferimento a quanto di bello e buono siamo riusciti a costruire nella nostra vita: penseremmo al lavoro, al frutto dei nostri sforzi, alla casa bella e comoda che ci siamo arredati, alla famiglia, alle nostre relazioni, ai figli. Ma è davvero tutto qui?
I
l problema è che una volta giunti a questo stadio, dobbiamo fare un altro passo, scendere ancora più in profondità alla questione: ma chi mi ha dato tutto questo? Da dove veramente provengono? Una volta che avremo scoperto che nella nostra vita tutto sia stato un dono di Dio, frutto della sua tenera Provvidenza, allora avremo inteso le parole di Gesù, saremo riusciti ad entrare nella sua logica che tutto rimanda al Padre che è Amore.

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Per una rivoluzione culturale
La nostra società, con la sua controcultura pagana e super edonistica, ci sta assuefacendo all’idea che l’unica cosa che sia davvero utile e importante, sia quella bella, sana, forte e senza difetti. Non è un caso, infatti, che dal fruttivendolo scegliamo con cura tra la frutta e la verdura, quella che sia esteriormente più intatta, più attraente. Ma poi se sarà davvero buona, e soprattutto sana, lo scopriremo più tardi. Nel frattempo tonnellate di alimenti vengono scartati perché imperfetti. Rimandiamo, giusto per fare un esempio, a un articolo de “Il giornale del cibo” del 31.10.2018:

I dati che emergono dalla ricerca sono piuttosto allarmanti: ogni anno, l’Europa getta via tra i 3,7 e i 51,5 milioni di tonnellate di frutta e verdura considerati “brutti”, di cui 4,5 milioni solo in Gran Bretagna. Il 17% di tutto il prodotto ortofrutticolo destinato al consumo umano viene quindi sprecato direttamente nelle aziende agricole perché giudicato inadatto al consumo. Si tratta di numeri preoccupanti, soprattutto se pensa che 821 milioni di persone al mondo soffrono la fame (dati FAO 2018).

Il giornale del cibo

Quello che è valido per il cibo, lo è ancora di più, purtroppo per le persone. Abbiamo già affrontato il tema dell’aborto, maggiore causa di morte negli ultimi anni, un genocidio silenziato che ingrassa le tasche di pochi, dell’eutanasia e del suicidio tra i giovanissimi. Perché sta accadendo? Chi viene eliminato? Il debole, l’indifeso, l’imperfetto. Quando la società impone certi canoni di bellezza e di prestazioni, chi non vi rientra è socialmente morto… e poi fisicamente eliminato (corsi e ricorsi di un brutto passato non troppo remoto).
Cosa ne cogliamo noi cristiani? Siamo invitati da Gesù ad essere uomini e donne dell’oltre, che vanno al cuore del problema, minatori che fanno emergere la bellezza intima e inespressa, o velata, degli altri. Uomini e donne che si fanno appassionati cercatori di verità e di eternità, capaci di andare coraggiosamente contro corrente, senza perdere mai l’entusiasmo di fronte alle incomprensioni e ai fallimenti.
La provocazione oggi di Gesù è quella di farci cercatori di una bellezza che non sia solo apparente e che duri giusto gli anni della giovinezza, ma di qualcosa di più profondo. Oggi tutti siamo chiamati a riconoscerci essere fatti a immagine e somiglianza di Dio. Siamo chiamati a far emergere questa bellezza intima di ogni persona, riconoscerla promuoverla. Ma soprattutto siamo chiamati a riconoscerla anche in noi stessi. Quanto siamo belli se la Seconda Persona della Santissima Trinità ha deciso di assumere la nostra natura e farsi uomo come noi?

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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