Solennità di nostro Signore Gesù Cristo,
Re dell’universo – anno B
Dn 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37
Lettura del Vangelo
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Introduzione narrativa
La celebrazione di oggi è un po’ come il finale di una lunga storia. Abbiamo visto in queste settimane, soprattutto nei giorni feriali, il cammino di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme. L’evangelista ci ha resi, compagni di viaggio del Maestro, rendendoci spettatori attivi di tutti i suoi incontri, e persino dei suoi sentimenti più intimi quando, al varcare la soglia della città santa, egli si commuove intimamente e piange per lo stato spirituale dei suoi abitanti.

Non farti mancare la lettura di questo articolo: è centrale
Quali nostri atteggiamenti rattristano il cuore di Gesù?
Una volta, poi, entrato nella città, Gesù non perde tempo e speditamente si reca al tempio di Gerusalemme per insegnare, ben consapevole che così facendo si sarebbe ulteriormente esposto per quel rifiuto e incomprensione da parte delle autorità civili e religiose, che comunque si aspettava.

Articolo importante per la comprensione del contesto
In che modo ci coinvolge la cacciata dei mercanti dal tempio?
Sorvolando sugli eventi strettamente più legati alla passione di Gesù, al processo-farsa che nella notte precedente ha subito nel sinedrio (letture riservate al tempo liturgico della Quaresima), oggi lo vediamo rivelarsi al mondo tal qual è: nella sua regalità che non appartiene agli schemi logici e sociali di questo mondo. A partire da questo cambio di prospettiva che opera Gesù circa il riconoscimento della sua regalità come divina, possiamo comprendere meglio anche quelle sue parole che ascoltammo la scorsa domenica:
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno (Mc 134,31).
L’invito che cogliemmo da queste parole di Gesù, fu quello di essere uomini e donne che si fanno cercatori della presenza di Dio, della sua grazia e onnipotenza già in questa terra, nella loro quotidianità

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Cercatori di eternità
L’invito è quello di sempre: imparare a collocare ogni cosa al suo posto. Gioie e dolori, successi e insuccessi, desideri, bramosie e necessità che entrano nella sfera del “materiale”, vanno collocate nel terreno e passeggero, e quindi non assolutizzate. L’esortazione di Gesù era quindi teso a trascenderci, ad aspirare alle cose eterne e imperiture a ciò che non deperisce nel tempo, ma aprono alla vita eterna.
Una volta che avrebbe ben compreso queste parole di Gesù, potremo anche cogliere appieno il senso della sua regalità: il suo riconoscersi tale dinanzi a Pilato.
Gesù e Pilato: regnanti a confronto
L’evangelista Giovanni quasi un dipinto di due persone così diverse a confronto. L’uno è fiero e guarda negli occhi l’altro, senza mezzi termini, ben determinato e intemerato… l’altro è Pilato.
a) Chi era Pilato?
Era governatore della Giudea nominato dall’imperatore Tiberio per gestire una zona non facile. Sappiamo infatti quanto gli israeliti mal sopportassero l’impero romano che li opprimeva con alte tassazioni, sopprimeva con inaudita violenza ogni minima ribellione, tanto indifferente alla loro cultura che osarono portare i loro vessilli pagani e blasfemi all’interno del tempio, oltre che l’imposizione di una moneta unica dove l’imperatore era raffigurato come una divinità. Qualcosa di tanto assurdo, quanto intollerabile per la cultura fortemente monoteista e sacralizzata di Israele.
Se già non bastasse Roma a rendere difficile la vita degli israeliti, si deve aggiungere che Pilato era un uomo sanguinario, non temeva di infliggere con grande leggerezza e superficialità pene di morte anche al più piccolo dei suoi oppositori. Ci troviamo di fronte a un uomo tanto scellerato che risulterà insopportabile anche per l’imperatore che da lì a qualche anno lo depaupererà di ogni suo potere e responsabilità.
b) Il servo e lo schiavo
Torniamo a focalizzare la nostra attenzione su questi due personaggi l’uno di fronte all’altro: Gesù e Pilato. Il primo, stanco e trasandato dopo una notte passata in sinedrio ad ascoltare accuse imbarazzanti e inconcludenti, il secondo vestito con abiti eleganti, impettito e superbo. Il primo riceverà una infausta corona di spine, il secondo ha già dell’oro finemente lavorato che fascia le sue tempie.
Gesù da un lato finisce per accettare il titolo di re, il secondo non è nemmeno in grado di gestire dignitosamente una minuscola provincia alla periferia dell’impero romano. Da un lato abbiamo un servo, colui che è venuto per servire e non per essere servito (Cfr. Mc 10,45), il secondo è schiavo di se stesso, delle sue pulsioni, dei suoi istinti omicidi. Paradossalmente colui che viene presentato in catene è il vero uomo libero: la schiavo è quello con la corona d’oro in testa.
Ma non solo. Anche il loro modo di intendere la pace sociale è molto diversa. Pilato pensa che per aver pace è necessario imporre una politica del terrore, sopprimere con inaudita violenza ogni ribellione, così che serva da monito per gli altri. Per Gesù invece, non v’è altro modo per mantenere la pace tra le genti, che attraverso l’amore, il farsi servi gli uni degli altri (Cfr. Gv 13,1-15).

Approfondisci il senso di questo insegnamento di Gesù
Li amò sino alla fine
Cosa dice a noi questo atteggiamento di Gesù?
Innanzitutto dobbiamo partire dal presupposto che ogni battezzato, in virtù del Sacramento che ha ricevuto, è chiamato ad essere sacerdote, re e profeta. In che modo? Sacerdote lo si è quando, a imitazione di Cristo che ha donato la sua vita sull’altare della croce per noi, anche noi offriamo la nostra stessa vita per la salvezza del prossimo, quando facciamo della nostra quotidianità un dono giornaliero per Dio e il prossimo. L’essere profeti che ci giunge come una vocazione dal Battesimo, la realizziamo quando, a imitazione dei profeti, prestiamo la nostra voce per Dio: facendoci suoi testimoni, missionari tra i nostri profeti.
Arriviamo alla regalità. A imitazione di Cristo anche noi siamo chiamati a farci re, e nella misura in cui realizziamo questa chiamata, potremo regnare insieme a lui alla fine dei tempi. In cosa consiste, allora, la regalità di Cristo così da poterla imitare e realizzare questa nostra vocazione? Lo abbiamo detto prima: nel servire, nell’amare in maniera totale e incondizionata il nostro prossimo. Nello spenderci per gli altri.
Qui non si tratta semplicemente di una realtà astratta e romantica. L’amore e la regalità intese da Gesù sono per noi una perenne provocazione ad abbandonare la mentalità di questo mondo che ti dice che per realizzarti come uomo, devi rivelarti migliore di qualcun altro. Chi la pensa così è l’ennesimo Pilato della storia. Quest’uomo si credeva un arrivato, ma non era in grado di governare nemmeno in casa sua.
Gesù al contrario di Pilato è un uomo libero, svincolato dalle preoccupazioni di mantenere uno stato sociale tale da poter essere venerato, e apprezzato dagli altri. Egli non vive schiavo dell’immagine che vuole dare di sé agli altri. A questa libertà interiore siamo chiamati anche noi oggi.
Poniamoci delle domande, e lasciamoci interrogare da esse: tra Pilato e Gesù, chi viene ricordato nei testi di storia? Di chi scrivono storici, giornalisti, letterari dell’uomo ingiustamente condannato a morte, ricoperto di sputi e che rimanda a un altro regno, o di Ponzio Pilato? Chi dei due ha saputo cambiare il corso della storia? Chi, davvero, ha saputo prendersi cura delle persone a lui affidate?
E ancora: a giudicare il mio stile di vita, il mio essere cristiano incarno di più l’atteggiamento dell’uno o dell’altro?
Se riconosciamo di vivere ancora oggi come Pilato, schiavi di quello che la gente dice o pensa, che di fronte a chi non la pensa come noi reagiamo con violenza, fisica o verbale, o eliminiamo l’altro fingendo che non esista più, beh fratelli e sorelle, stiamo sciupando la nostra vita, ci dirigiamo verso un pericoloso oblio.
Cogliamo il grido della Chiesa nella celebrazione di oggi che ci dice: “Sii re per davvero, ama, servi, impara a morire per il tuo prossimo!“.
«Venga il tuo Regno»
Il cristiano recita la preghiera del Padre nostro almeno una volta alla settimana e lo recita facendosi una sola voce con tutta la comunità, prima di poter gustare del Pane eucaristico. Durante la preghiera chiediamo anche questo: che si realizzi e si instauri definitivamente il Regno di Dio. Con questa richiesta del Padre nostro chiediamo a Dio che si realizzi finalmente la venuta gloriosa e finale del suo Figlio, che venga non la fine del mondo, ma l’inizio della nuova vita, quella eterna alla quale siamo chiamati.
Cari fratelli, ci rendiamo conto di quello che chiediamo? Qui si supplica il Signore che la faccia finita con questa nostra vita temporale così limitata, fragile e votata alla sofferenza e alla morte e ci doni l’eternità.
Ma se con la bocca chiediamo questo, con la vita come lo realizziamo? Viviamo davvero come pellegrini su questa terra? O nella pretesa che questo sia per sempre, esorcizzando la morte e facendo dell’anzianità e della malattia una tabù di cui non parlare?
L’apostolo Pietro nella sua seconda lettera invita a vivere questa vita non solo nell’attesa della venuta del Figlio, ma ad avere anche un ruolo attivo per accelerarne la rivelazione finale. Leggiamo:
Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia (2Pt 3,11-13).
Quello a cui l’Apostolo invita è ad avere un ruolo attivo, compartecipativo nell’opera redentrice di Cristo. Ancora una volta, siamo chiamati a riconoscere che non siamo stati Battezzati per essere soggetti passivi nella Chiesa, recettori e beneficiari di quello che dicono e fanno i preti e i vescovi, ma fare del nostro, spenderci già da ora per la causa di Cristo che vuole che tutti gli uomini siano salvi, che desidera che tu ti comporti come lui si è comportato.
«Venga il tuo regno» ma chiediamo prima che questo regno il Signore lo instauri nei nostri cuori tiepidi e orgogliosi, che si instaura la forza del suo amore lì dove non riusciamo a chiedere perdono né a perdonare. Facciamo in modo che l’eucaristia che prenderemo faccia permanere la presenza di Dio in noi e diventi davvero il Re della nostra vita, completamente sottomessi alla sua volontà che in realtà non ci schiavizza, ma rende davvero nobili i nostri sentimenti, le nostre relazioni.

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