In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo (Lc 19,45-48).
Contesto
Nel brano evangelico proposto ieri dalla liturgia della parola di ieri, ci è stata data l’opportunità di meditare l’ingresso in Gerusalemme di Gesù, così come narrato dall’evangelista Luca. Di certo non è un ingresso trionfale, come ci aspetteremmo, al contrario questo avviene nella maniera più anonima possibile. Il brano, infatti, ci mostrò la totale indifferenza dei gerosolimitani nei confronti di quel Messia che per secoli hanno invocato da Dio (rimandiamo al nostro articolo “Quali nostri atteggiamenti rattristano il cuore di Gesù?“).
Tra il brano di ieri e quello odierno, c’è perfetta continuità. Cosa significa? Significa che appena Gesù entra a Gerusalemme da subito, speditamente, si dirige al tempio. Ha una missione ben precisa da compiere, un calice da bere (cfr. 20,22), un passione e una croce da abbracciare. Non perde tempo e si dirige nel luogo in cui gli israeliti speravano di potersi unire a Dio attraverso le preghiere e i sacrifici. Ironia della sorte vuole che quel Dio che invocavano era proprio accanto a loro. Mentre essi spingevano lo sguardo verso il cielo, lui era sulla terra che si mescolava tra la folla, passandogli accanto. Non li riconobbero e lo uccisero.
Gesù non perde tempo, non tergiversa, né se la prende comoda. Va al tempio per insegnare, il brano ci dice che lo faceva ogni giorno dal suo arrivo nella città santa. Ma prima deve fare qualcosa di più impellente: rendere il tempio un luogo spiritualmente salubre, cacciare via i mercanti e i cambiamonete.
Cosa ci facevano i mercanti nel tempio?
Ci troviamo di fronte a una delle pagine più dure dei vangeli: l’unica in cui vediamo Gesù che perde completamente le staffe. Gli evangelisti ci hanno abituato a intenderlo nella sua pacata mitezza, nella sua pazienza capace di sopportare tutto e tutti: dall’incomprensione, alle persecuzioni, dagli sputi alla crocifissione. Eppure quello che sta vedendo accadere al tempio di Gerusalemme non riesce a sopportarlo.

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Qual è il problema? Al tempo di Gesù era normale che ci fossero i mercanti tra le mura più esterne del tempio di Gerusalemme. Per intenderci questo era costruito come una serie di cortili concentrici, dove nella parte più centrale c’era il tempio vero e proprio (e nella sua stanza più interna il Santo dei Santi, una piccola stanza con incensi, lampade e pani votivi in cui si riteneva essere la presenza stessa di Dio). Man mano che ci si addentrava nei cortili, aumentava anche la sacralità del luogo. Le cortile più esterno c’erano i mercanti e i cambiavalute. Essi offrivano servizi necessari per il culto: i primi vendevano animali per i sacrifici (così che i pellegrini non li portassero lungo il viaggio), i secondi permettevano gli scambi di commerciali perché Israele, facendo parte dell’impero romano, era costretto a usare delle monete blasfeme, dove l’imperatore era raffigurato come un Dio. Poiché una tale blasfemia avrebbe reso impuro tutto il luogo sacro, il tempio aveva adottato una propria moneta.
Perché Gesù caccia via i mercanti?
Se dunque tutto era motivato al bene e al favorire il culto e i pellegrini, dov’era il problema? Perché Gesù perde le staffe? Il nodo è quello dell’uomo di sempre: ciò che nasce come servizio, finisce per divenire motivo di lucro.
Il giro d’affari intorno al tempio era diventato così ampio (basti pensare che ogni israeliti, ovunque si trovassero, erano tenuti a due pellegrinaggi annui a Gerusalemme) da sostenere l’intera economia di tutta Gerusalemme… ma questo a scapito dei pellegrini e della sacralità stessa del tempio.
Il lucrare impunito da parte dei mercanti e della classe sociale sulle spalle di pellegrini non necessariamente tanto ricchi da permettersi di scialacquare il proprio denaro, in un’epoca già di grande oppressione politica ed economica, a motivo della dominazione dell’Impero romano, fu qualcosa di insopportabile per Gesù, sempre attento a salvaguardare le fasce fragili della società dell’epoca (vedi nostri articoli “La scorciatoia per il cielo“, “Impara a prenderti cura delle tue relazioni” e “La questione degli scandali nella Chiesa. E se ci fossimo dentro anche noi?“). Da qui, dunque, la sua veemente reazione che già ci rivela come nessun peso dalle nostre spalle, nessuna lacrima, nessuna povertà non venga tenuta in considerazione da Dio. L’atteggiamento di Gesù che sembrerebbe violento, altro non è che la prosecuzione di quella interiore commozione che ebbe al varcare la soglia di Gerusalemme (vedi articolo: “Quali nostri atteggiamenti rattristano il cuore di Gesù?“).
Quando, invece, a mercanteggiare siamo noi
Ci troviamo di fronte ai soliti corsi e ricorsi storici, alle ipocrisie dell’uomo di tutti i tempi, dai farisei agli scribi dell’epoca di Gesù, ai politici e elementi ecclesiali di oggi. Alcuni finiscono per pervertire qualcosa orientato al bene di tutti, per favorire solo se stessi e la cerchia dei propri amici e famigliari.
Oggi, dunque, vedendo questo brano del vangelo, facciamo bene a indignarci, però con la stessa verità siamo chiamati a riconoscere quante volte ci siamo cascati anche noi. Quando? Quando anziché prestare un servizio gratuito alla comunità, ne abbiamo preteso un ritorno: foss’anche d’immagine (essere riconosciuti indispensabili), di gratitudine (pretendere una risposta dall’altro) e non raramente anche economica (e su questa si aprono le pagini tristi di chi mette le mani nei cestini delle offerte).
Ma non solo. Ci attiriamo l’impeto di Gesù quando facciamo della casa di Dio un mercato: un luogo dove emergere, dove pretendere di essere migliori, dove maltrattiamo la sacralità del posto con schiamazzi, chiacchiericcio ecc. Ci attiriamo il furore di Gesù quando facciamo della nostra relazione col Padre una questione d’affari: gli offro un tot di novene, in cambio lui deve darmi la grazia che pretendo.
Non raramente per la nostra pusillanimità, finiamo anche noi per barattare la nostra fede, per una situazione di comodo, quando scendiamo a compromessi col peccato o con situazioni di ingiustizia sociale. Mercanteggiamo la nostra fede, quando abbiamo paura di dirci cristiani nei contesti della nostra società, perché questo imporrebbe l’essere insultati o emarginati.
«I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire»
Il brano si conclude con una sentenza di morte su Gesù. Quale il motivo? Aveva minato l’economia del tempio… e delle tasche di chi vi ci speculava sopra.
Qual è il problema? Cosa ne traiamo per la nostra vita da questa affermazione? Sicuramente almeno due provocazioni:
1) Gesù non si fa intimorire. Lui che conosce i cuori degli uomini, non si sarà fatto sfuggire questo pensiero degli scribi e dei sacerdoti. Quello che loro non sanno, è che lui aveva messo in conto tutto, che non era affatto uno sprovveduto. Se Gesù non teme di insegnare anche a costo di esporsi e poi anche che gli si venga inventato un capo di accusa con una sentenza di morte, perché io dovrei aver paura di parlare di Dio, della mia fede, dei valori cristiani negli ambienti della mia quotidianità? Eliminando Dio dai nostri discorsi, non facciamo che comportarci proprio come gli avversari di Cristo: avevano la grande parvenza di uomini di fede, ma in verità uccidono Dio!
2) L’ambiente religioso di Israele, o almeno la sua maggioranza, era diventato la caricatura di se stesso. Invocavano Dio, ma poi non lo riconoscono nella loro vita, lo hanno allontanato e poi tentato di eliminare. Come non credere che questo atteggiamento si ripeti nei tanti cristiani, o sedicenti tali, che dicono di credere in Dio ma non nella Chiesa? E quale credo religioso credono di professare? Non sanno che nella professione di fede che ripetiamo ogni domenica si dice:
Credo IN un solo Dio, Padre onnipotente…
Credo niceno-costantinopolitano
Credo IN un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio…
Credo NELLA Spirito Santo, che è Signore e dà la vita…
Credo LA Chiesa, una Santa Cattolica e Apostolica…
Ora, non ci vuole mica un teologo per distinguere tra loro preposizioni ed articoli. Qui è la grammatica italiana che parla, la più elementare tra l’altro. La fede di tutti i cristiani resta in un Dio uno e trino. Ciò che il credo dice, e che noi ripetiamo mnemonicamente ogni domenica, altro non è credere nella Chiesa ma che la Chiesa sia una, santa cattolica e apostolica.

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Fame della Parola di Dio?
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