In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc 19,41-44).
Contesto
Ormai Gesù è a un passo da varcare la soglia della città santa, il suo lungo cammino dalla Galilea è stato pieno di imprevisti, di incontri, di esultanti successi e anche qualche fallimento.
Diversamente da quanto siamo abituati, l’evangelista Luca ci presenta un Gesù in lacrime, profondamente rattristato per lo stato spirituale di Gerusalemme, cieco al punto dal non riconoscere il Messia che con tanto fervore hanno invocato per secoli nelle loro suppliche e preghiere. Si tratta di un’intima tristezza, quella del Maestro, proprio di chi è consapevole che per la loro durezza di cuore, essendo incapaci di vero discernimento e fraterna accoglienza, i gerosolimitani vanno incontro a un infausto destino che si sono creati con le loro stesse mani.
Qual è il problema, cosa scatena la loro fine, così come delineata alla fine del brano odierno? L’incapacità di accogliere il Figlio di Dio, e quindi Dio, tra le loro mura, il rifiutare colui che il profeta Isaia molti secoli prima, chiamava «il principe della pace» (Is 9,5).
In maniera paradossale, Gerusalemme chiudendo le braccia a Cristo, le aprono alla loro condanna.
Attualizziamo
Una volta visualizzato il contesto narrativo, e il senso delle parole di amarezza di Gesù, in cui comprende a cosa porterà l’atteggiamento ateo di coloro che si dicevano perfetti religiosi, ma che poi rifiutavano il Figlio di Dio, cerchiamo di capire quale peso possa avere questo brano evangelico per la nostra vita.
Quello che emerge da questa sezione narrativa del vangelo di Luca è chiaro: lì dove Dio viene eliminato, non c’è pace. Ci troviamo di fronte a una verità tanto chiara quanto attuale. L’assenza di Dio all’interno delle famiglie comporta automaticamente, situazioni gravi di conflittualità. Perché? Di certo non si tratta di una punizione divina: le parole di Gesù non lasciano spazio a interpretazioni! Semplicemente perché allontaniamo da noi una mano amica (e quale mano!) e ci abbandoniamo al baratro dei nostri istinti più bassi, non avendo più una guida etica e morale che indirizzi il nostro cammino. Senza freni inibitori, non raramente purtroppo, fratelli e famigliari ingaggiano lotte asprissime e sanguinose che si protraggono per anni in vie giudiziarie (e non) per accaparrarsi un pezzo di eredità che altro valore non ha, se non quello di ferire l’altro, depauperandolo di un bene, per quanto di poco valore.

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Ma non solo. Anche quando allontaniamo Dio dalla nostra anima, finiamo per ingaggiare delle lotte aspre nel nostro cuore: perdiamo la pace, diventiamo inquieti, iracondi e irascibili e diamo il peggio di noi stessi. Perché? Perché abbiamo smesso di pregare, di rendere presente Dio nella nostra quotidianità, perché non alimentiamo più la nostra anima nell’eucaristia, e non viviamo da riconciliati avendo dimenticato cosa sia una Confessione.
Questa verità diviene ancora più severa, quando ad allontanare Dio non sia più la singola persona o una famiglia, ma addirittura un popolo, una nazione. Basta fare alcuni esempi e prendere in considerazione alcuni di quei paesi più sviluppati e che tutti riteniamo essere felici.
Dove esistono le maggiori incidenze di suicidi? Nelle zone più ricche del nord Europa: Svezia e Groenlandia. In Corea del Sud che registra un economia iperbolica: una rapida crescita che l’ha inserita all’interno dei grandi sistemi finanziari mondiali. In Giappone dove si registra il drastico aumento di sucidi tra giovanissimi (fascia 6 – 18 anni). Dove il terrorismo islamico prospera in Europa? Nell’evolutissima, e laicissima, Francia.
Cos’hanno in comune questi paesi? Hanno dimenticato Dio! Si dicono laici e tolleranti, in realtà sono atei. Il paradosso della laicità francese e della sua pretenziosa multiculturalità, si manifesta in una grande instabilità tra le diverse fasce sociali e pseudoreligiose del paese.
Ecco allora, la provocazione per noi oggi: come pretendo di avere pace nel mio cuore, nella mia vita, tra le mura domestiche, nella comunità se allontano Dio? Certamente il cristiano che si dice veramente tale, non negherà che ogni volta che partecipa devotamente alla Santa Messa se ne vada poi rinnovato interiormente, né che dopo un momento di intesa preghiera e di raccoglimento, abbia fatto esperienza di questa pace nel cuore. E allora, perché non dirlo anche agli altri? Perché non condividere questa gioia? Perché poi dobbiamo farci timorosi nel dare una testimonianza, nel parlare di Dio anche sui social, e non manipolarne il messaggio per un proprio tornaconto?
Essere uomini e donne di compassione
C’è un ultimo aspetto che dobbiamo tener conto, riguardo il brano evangelico: Gesù piange. In cosa consiste questo moto interiore del Figlio di Dio alla vita della città santa? Le sue lacrime sono indice di quell’intima e viscerale compassione che caratterizza l’amore di Dio per l’umanità. Gesù piange per lo stato spirituale in cui Gerusalemme versa.

La sua compassione ci apre a due prospettive esistenziali: la prima, e più evidente, è quella di avere anche noi a compassione del male che tanti cristiani compiono. Qui non si tratta di scendere a compromessi col peccato, ma dispiacersi per la sorte di dannazione verso questi fratelli nati e creati per la salvezza eterna, ma che poi scelgono per sé altre strade meno felici, deliberatamente. Si tratta di un atteggiamento che rifugge il semplice giudizio e la critica, ma che si situa all’interno del cuore di Dio che si vede privarsi di creature bellissime, per le quali ha dato la vita, e che scelgono la dannazione eterna.
Tale compassione fu quella anche di una giovanissima S. Teresa di Lisieux. Ella, prima ancora di entrare in monastero, al sentir dire di un assassino su cui pendeva la condanna a morte della giustizia, presa da tanto dolore pregò intensamente per lui perché prima di morire si convertisse e non gli venisse preclusa la porta della salvezza. Leggiamo le sue stesse parole nei suoi manoscritti autobiografici, comunemente chiamati “Storia di un’anima”:
Sentii parlare di un grande criminale che era appena stato condannato a morte per dei crimini orribili: tutto faceva credere che sarebbe morto impenitente. Volli ad ogni costo impedirgli di cadere nell’inferno; per riuscirvi usai tutti i mezzi immaginabili: capendo che da me stessa non potevo nulla, offrii al buon Dio tutti i meriti infiniti di Nostro Signore, i tesori della santa Chiesa, infine pregai Celina di far dire una messa secondo le mie intenzioni, non osando chiederla di persona nel timore di essere costretta a confessare che era per Pranzini, il grande criminale. Non volevo dirlo nemmeno a Celina, ma mi fece delle domande così affettuose ed insistenti che le confidai il mio segreto; invece di prendermi in giro mi chiese di aiutarmi a convertire il mio peccatore: accettai con riconoscenza, perché avrei voluto che tutte le creature si unissero a me per implorare la grazia per il colpevole. Sentivo in fondo al cuore la certezza che i nostri desideri sarebbero stati esauditi; ma allo scopo di darmi coraggio per continuare a pregare per i peccatori, dissi al buon Dio che ero sicurissima che avrebbe perdonato al povero disgraziato Pranzini; che l’avrei creduto anche se non si fosse confessato e non avesse dato alcun segno di pentimento, tanto avevo fiducia nella misericordia infinita di Gesù; gli domandavo soltanto «un segno» di pentimento per mia semplice consolazione. La mia preghiera fu esaudita alla lettera! Malgrado il divieto che papà ci aveva dato di leggere i giornali, pensavo di non disobbedire leggendo i brani che parlavano di Pranzini. Il giorno dopo la sua esecuzione mi trovo sotto mano il giornale «La Croix». L’apro in fretta, e cosa vedo? Ah, le lacrime tradirono la mia emozione e fui costretta a nascondermi! Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo e stava per passare la testa nel lugubre foro, quando a un tratto, colto da una ispirazione improvvisa, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presenta e bacia per tre volte le sante piaghe! Poi la sua anima andò a ricevere la sentenza misericordiosa di Colui che dichiara che in Cielo ci sarà più gioia per un solo peccatore che fa penitenza che per 99 giusti che non hanno bisogno di penitenza!
S. Teresa di Lisieux, Manoscritti autobiografici, n. 135.
Il secondo aspetto che cogliamo dalla compassione di Cristo è quello non solo di non cadere nell’errore degli abitanti di Gerusalemme, ma essergli persino motivo di gioia. Diceva infatti S. Ireneo:
La gloria di Dio è l’uomo vivente
Ireneo da Lione, Contro le eresie
Ecco allora la provocazione per noi oggi: non solo rendere orgoglioso il Padre del nostro cammino, ma persino con la nostra santità di vita cercare di rimediare al male commesso dal nostro prossimo, riparando i danni commessi contro il cuore di Gesù, pregando per la loro conversione. Allora sì, che saremmo diventati davvero collaboratori di Cristo nell’opera redentrice di tutto il genere umano.

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Fame della Parola di Dio?
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