In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!
Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai».
Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe» (Lc 17,1-6).
Contesto
Durante il suo ministero Gesù ha parlato a tante persone, di diverso tipo di rango, cultura o classe sociale. Abbiamo insegnamenti rivolti alle autorità religiose della sua epoca (scribi, farisei, dottori della legge), a esponenti politici (erodiani), alle folle che gli si accalcavano intorno. Spesso si tratta di insegnamenti universali: suscitati da una provocazione contingente da parte dei suoi avversari, ma che poi sono diretti a tutti i suoi uditori e validi anche per essi.
Oggi ci troviamo di fronte a un insegnamento che è specifico per i discepoli. Non si tratta propriamente dei dodici apostoli, ma quella cerchia di uomini e donne che lo seguivano da vicino, lo avevano scelto come Maestro e non chiedevano miracoli o grazie, ma semplicemente imparare da lui. Si tratta di quel gruppo di persone che furono mandate a coppia in missione e alle quali Gesù aveva condiviso anche il suo potere di guarigione (Cfr. Lc 10,1-12; vedi nostro articolo “Scelte e atteggiamenti del vero discepolo di Cristo“).
Infatti, il brano evangelico, si apre con questa premessa:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli
Dobbiamo sempre tenere presente che a livello narrativo di troviamo all’interno di quella grande sezione del vangelo in cui l’evangelista Luca, racconta il cammino di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme: luogo in cui sa di dover affrontare la passione, morte e risurrezione.
Poiché, dunque, è consapevole che il suo ministero volge al termine, nell’ultima tratta del suo cammino condivide ai suoi discepoli degli insegnamenti di stampo apocalittico, che riguardano, cioè, la fine dei tempi e il giudizio che ne verrà, perché si facciano trovare pronti (per un approfondimento su questi temi, rimandiamo ai nostri articoli: “I servi son serviti. Il paradosso di una felicità non tanto nascosta“, “I segni dei tempi: criteri per riconoscerli” e “Il combattimento spirituale“).
Anche il brano che la liturgia della Parola ci offre, si situa tra gli ultimi insegnamenti di Gesù prima della passione, in cui emerge la preoccupazione per la vita dei discepoli quando lui, solo fisicamente, non ci sarà più ad accompagnarli.

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La questione degli scandalI E I PICCOLI
Per comprendere pienamente il senso di questo insegnamento dobbiamo cercare di comprendere cosa Gesù intenda per scandalo. Nella nostra cultura occidentale, abbiamo arricchito il significato di scandalo con toni presi, sempre più, dalla cronaca rosa, e non raramente essa finisce per diventare un sinonimo di gossip o, comunque, di una verità scomoda che assume connotati mediatici. In realtà la parola proviene dal greco skàndalon, il cui significato primo è trappola, inciampo, ma anche impedimento.
Se da un lato, quindi, lo scandalo a cui fa riferimento Gesù si concretizza in gesti e parole tanto contrarie alla fede da inibire gli altri, cerchiamo anche di capire a cosa si riferisca quando parla di piccoli.
Come in altre circostanze (vedi nostri articoli “La scorciatoia per il cielo” e “Impara a prenderti cura delle tue relazioni“), Gesù non sta facendo riferimento ai bambini, quanto a quelle fasce sociali fragili. In questo caso, la fragilità dei piccoli consiste nell’immaturità della loro fede, perché vi si sono da poco approcciati.
Qual è dunque la questione posta da Gesù? La sua preoccupazione è la vita della comunità cristiana una volta che fisicamente non li accompagnerà più. Prevede la possibilità che il comportamento di qualche cristiano divenga scandalo per altri, ma per questo invita a una vigilanza personale costante. Infatti la sua esortazione finale si conclude con queste parole:
State attenti a voi stessi!
La vigilanza sui propria atteggiamenti e parole, secondo l’intuizione di Gesù, diventano per il cristiano un valido strumento per non essere causa di scandalo a nessuno. Per il significato proprio della parola scandalo, qui non si parla dei grandi eventi di cronaca, di brutta testimonianza dei grandi prelati della Chiesa Cattolica. Gesù rivela che ogni cristiano, ogni battezzato, col suo comportamento può essere motivo di scandalo per la fede del suo prossimo.

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Perché questo possa essere vero anche per noi cristiani del terzo millennio, siamo chiamati ad adottare una serie di atteggiamenti che ci permettano di stare all’erta, prima di tutto con noi stessi. Di cosa stiamo parlando? Del Sacramento della Riconciliazione, che ci permette una vera e propria revisione di vita e ci inserisce in un dinamismo di continua conversione, rendendoci sempre più simili a Cristo, fino a dire con San Paolo:
Non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2,20).
Antidoto, quindi, contro lo scandalo e la dannazione che ne segue, è proprio il Sacramento della Riconciliazione, unita a una intensa vita spirituale di preghiera.
Per una comunità riconciliata
Se il primo insegnamento di Gesù riguardava i discepoli nella loro relazione ad extra, cioè con gli altri, con coloro che vogliono entrare a far parte della comunità dei redenti, il secondo insegnamento è ad intra: riguarda cioè le relazione all’interno della comunità. Rileggiamo:
Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai».
Gesù rivela cosa si aspetta dalla comunità dei discepoli una volta che non potrà più guidarli fisicamente: egli vuole che sia una comunità riconciliata, fondata sull’amore. Non è un caso che nell’ultima cena, riportata dall’evangelista Giovanni, lì dove il Maestro di Nazareth alla vigilia della sua passione, consegna alla comunità il suo testamento spirituale afferma:
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
L’amore fraterno è per Gesù stesso la prima testimonianza che possiamo dare al mondo. Ecco perché la sua preoccupazione per la comunità dei discepoli riguarda le loro relazioni, perché siano fondate nel perdono e nella riconciliazione.
Ora, dobbiamo imparare ad essere seri con noi stessi, non prenderci in giro: guardiamo lo stato delle nostre comunità parrocchiali: che aria si respira? Non raramente i conflitti e le ambizioni di primeggiare sono all’ordine del giorno. Ben si fa a criticare questi atteggiamenti, eppure non meno colpevoli sono coloro che adottano come unico atteggiamento quello della critica e dell’allontanamento. Se di fronte a un problema, scappiamo via, non raramente noi siamo parte del problema!
L’invito che dobbiamo cogliere dalle parole di Gesù è quello di essere noi costruttori di comunità, al di là delle difficoltà emergenti e di quello che vediamo intorno a noi. Se pensiamo che la nostra vita cristiana sia semplicemente una pretesa di ricezione di servizi da parte di istituzioni ecclesiastiche, strutture, clero e laicato… beh siamo molto distanti dall’essere cristiani! Il Signore, dopotutto, ci invita a farci costruttori dei una nuova umanità dove il nostro compito diventa quello di essere sale e lievito: realtà infime che si perdono nella massa, eppure le danno un nuovo sapore, danno senso al suo essere massa.
La risposta dei discepoli
Di fronte a queste due esortazioni di Gesù sulla vita della comunità dei discepoli, essi rispondono con una richiesta:
Accresci in noi la fede!
Essi riconoscono come valide le esortazioni di Gesù, eppure faticano a recepirle, a tradurle in vita vissuta, in atti pratici. Da qui la loro richiesta, quasi come se la fede la si possa quantificare.
Con la sua risposta, Gesù rivela che la fede o la si ha o non la si ha. O meglio, tutti l’hanno in dotazione, ma perché essa non deperisca è necessario alimentarla.
Se la nostra fede in Cristo non si traduce in fiducia riguardo quello che ci chiede e quindi in atti concreti per realizzare i suoi insegnamenti, corriamo il rischio di essere omicidi della nostra fede, del nostro battesimo.
Non raramente per Gesù, poi, la fede stessa è garanzia di salvezza. Non è un caso che molti malati vengano guariti per la sua grazia e redenti per la loro fede. Giusto per fare un esempio di come ripeta più volte questo concetto (almeno nel solo Vangelo di Luca):
Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!» (Lc 7,50)
Egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, va’ in pace!» (Lc 8,48).
«Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19).
E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato» (Lc 18,42).
Oggi, quindi, cogliendo come eredità preziose queste parole del rabbì di Nazareth, siamo chiamati a riconoscere che anche per noi la fede può essere una porta spalancata all’eternità, se decidiamo di vivere secondo il Vangelo, i cui dettami non sono comandi gravosi, ma via per vivere una esistenza davvero piena, ricca di senso e che ci introduca all’intimità divina, che abbia quel sapore all’eternità alla quale in maniera più o meno consapevole l’uomo di tutti i tempi ha sempre cercato e desiderato.

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