Il Regno di Dio dentro un “mi piace”

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Lc 13,18-21).   

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L’eternità nell’infinita piccolezza
Non è la prima volta che Gesù usa un linguaggio preso dal mondo contadino per parlare del Regno di Dio e della grandezza del Padre. Basti pensare alla parabola del seminatore (Lc 8, 9-15, “Tu sei importante per Dio“), all’invito sul restare innestati in Dio (Gv 15,1-8, “Certe ferite fanno crescere“) e alla parabola di un tesoro trovato in un campo (Mt 13,44-46, “Il Regno dei cieli è gioia“). Non mancano poi i riferimenti al mondo della pastorizia, come per esempio la sua compassione per un popolo abbandonato a se stesso dai loro leader religiosi (Mc 6,30-34, “Il riposo è da Dio“), il presentarsi come il pastore definitivo del nuovo Israele (Gv 10,22-30, “Chi sei veramente Gesù di Nazareth?“)
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Quando Gesù ci parla del Regno dei cieli, della grandezza di Dio e della sua misericordia, usa termini provenienti dalla nostra quotidianità. È il paradosso dell’uomo di tutti i tempi, che cerca Dio nelle stelle e nei grandi segni del cielo, ma egli è profondamente inserito su questa terra, nella piccolezza della nostra vita.
Questo modo di presentare l’inserimento di Dio nel tessuto della nostra quotidianità, deve diventare per noi cristiani uno sprone a saper rinnovare il nostro sguardo, a farci cercatori della sua presenza e della sua bellezza nella nostra vita di tutti i giorni, con i suoi alti e i suoi bassi.

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Essere seme e lievito
La scelta della via della piccolezza di Dio, la sua logica dell’incarnazione che ci salva non nella sua potenza ma nella morte in croce del Figlio, impone alle nostre coscienze un’ulteriore sprone: farci piccoli anche noi.

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L’anticultura del nostro tempo, in maniera sempre più subdola, intende inculcare alle nostre coscienze che esista un solo modo per essere felici in questa vita: il sentirci superiori agli altri, l’elevarci in potere e dignità, il comandare, l’esporsi vanaglorioso e frivolo sui social, dove chi più conta è colui che ha più seguaci o “mi piace”.

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Il problema è che queste cose non potranno mai rendere l’uomo veramente felice. Non è nell’essere schiavi della propria immagine che potremo trovare la gioia della nostra vita, e non lo è nemmeno nel denaro e nel successo, altrimenti non si spiegherebbe il motivo dell’alto tasso di suicidi proprio nei paesi più sviluppati. Lì dove si segue l’illusione di una gioia egoistica ed egolatrica, si realizza il vero dramma del non senso della vita. Lo afferma un lucido reportage de “Il sole 24 ore” a firma di Enrico Marro, di cui riportiamo uno stralcio:

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E. Marro, Perché nei Paesi ricchi e «felici» ci si suicida di più che in Italia e in Grecia?, in “Il sole 24 ore” del 14.03.2019.
Per l’articolo intero, cliccare qui
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Oggi più che mai urgono nel mondo cristiani rinnovati, uomini e donne che siano fari di speranza, profeti di gioia per una generazione (non solo giovani) sbandata, senza più riferimenti, impoverita di valori veri: gente che ha smarrito Dio e che, anche se non lo sa, ha bisogno di ritrovarlo, per scoprire la grandezza della sua esistenza. Si tratta di una vocazione impellente che oggi il Signore ci dona e alla quale non possiamo tirarci indietro. Ecco dunque, la nuova profezia, la santità del quotidiano che non possiamo più ignorare. Dopotutto, afferma Papa Francesco nella sua esortazione apostolica Gaudete et exultate:

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Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”.
Lasciamoci stimolare dai segni di santità che il Signore ci presenta attraverso i più umili membri di quel popolo che «partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità»

Francesco, Gaudete et exultate, nn. 7-8
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Scegliere la via della piccolezza deve diventare per tutti noi, cristiani del III millennio, la grande sfida e la grande provocazione per la nostra era. Gesù ci vuole servi gli uni degli altri, e non capi e re che lottano strenuamente per manifestare la propria supremazia.

La liturgia della Parola in queste ultime settimane non ha fatto che ripeterci questo insegnamento di Gesù. Due domeniche fa, infatti, ci siamo fatti compagni dei discepoli che gareggiavano nel pretendere diritti sul Regno che Gesù è venuto a instaurare (Cfr. Mc 10,35-45, vedi nostro approfondimento “Se non servi, a cosa servi?“). Nei due giorni feriali successivi, ci è stata offerta una lettura continua del dodicesimo capitolo del Vangelo secondo Luca, e con essa la parabola dei servi in attesa del padrone che rientra (Cfr. Lc 12,35-38 “I servi son serviti. Il paradosso di una felicità non tanto nascosta“), e l’invito a servire facendoci attenti alle necessità dei fratelli (Cfr. Lc 12,39-48 “Il Figlio dell’uomo viene, saprai attenderlo?“).

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Se è vero, dunque, che non c’è maggiore felicità se non nell’uomo che resta interiormente libero, al punto di decidere spontaneamente di servire il fratello, amandolo, è anche vero quello che:

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Oggi siamo chiamati a riconoscere che la vera gioia della vita comunitaria, quella che siamo chiamati a vivere soprattutto negli ambienti ecclesiali, è quella di essere insieme, non nel sentirsi migliore di qualcuno!
In questo si gioca la qualità del nostro servizio nei confronti della Chiesa e agli occhi di Dio: nella nostra capacità di decentrarci, nel far spazio agli altri. Allora il nostro sarà un vero servizio e non una sorta di aristocrazia spirituale propria dei farisei e che Gesù con tanto orrore a evitato.

Servitori non re. La comunità secondo Gesù
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Il Regno di Dio in un “mi piace”
Benché non possiamo smettere di mettere in guardia contro un uso perverso e dannoso della connettività (come anche a ragione il giornalista Enrico Marro ha affermato nell’articolo sopracitato), tuttavia c’è anche da dire che non è sempre giusto condannare i nuovi mezzi di comunicazione. Chi va rievangelizzato sono gli utenti, non le piattaforme in sé.

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Perché questo? Perché come Gesù per farsi comprendere dai suoi uditori usava un linguaggio a loro comprensibile, con simboli e metafore che provenivano dal loro mondo contadino, così anche la nuova profezia può passare attraverso un uso corretto della rete e dei social networks. Essi diventano il nuovo campo della evangelizzazione, la nuova terra di missione dove i cristiani sono chiamati a incamminarsi in punta di piedi, stando ben attenti a non lasciarsi trascinare dalle correnti ingannevoli del piacere a tutti e a tutti i costi, dalla corsa ai like e ai followers.

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Se il Figlio di Dio avesse preso su di sé la natura umana in questo nostro secolo, probabilmente non avrebbe ricusato di usare termini provenienti dal nostro linguaggio. La voce degli apostoli, oggi, non può prescindere dal passare attraverso le reti wifi e le antenne del 5G. Ma per unirci al loro coro e farci profeti della gioia di Dio in questo millennio, non possiamo prescindere dal unirci in maniera sempre più stretta a Dio e lasciarci guidare dal suo Spirito, rievangelizzare il nostro tempo e l’uso che facciamo dei social perché possano veicolare un messaggio completamente diverso da quello degli influencers.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

2 pensieri riguardo “Il Regno di Dio dentro un “mi piace”

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