XXX domenica del tempo ordinario – anno B
Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
Le letture di questa trentesima domenica del tempo ordinario, sono tese a rinnovare la nostra speranza e la nostra fiducia nei riguardi di un Dio che fa «nuove tutte le cose» (Ap 21,5), tanto creativo nel provvederci, che ci sorprende costantemente. Ed, effettivamente, è quello che accade tanto nella narrazione della prima lettura, come nel Vangelo.
I lettura
Così dice il Signore:
«Innalzate canti di gioia per Giacobbe,
esultate per la prima delle nazioni,
fate udire la vostra lode e dite:
“Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”.
Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione
e li raduno dalle estremità della terra;
fra loro sono il cieco e lo zoppo,
la donna incinta e la partoriente:
ritorneranno qui in gran folla.
Erano partiti nel pianto,
io li riporterò tra le consolazioni;
li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua
per una strada dritta in cui non inciamperanno,
perché io sono un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».
Perché il profeta Geremia scrive queste parole? Qual è il contesto storico e sociale che soggiace a questa narrazione? Sono domande fondamentali che dobbiamo porci per comprendere la portata straordinaria della rivelazione divina ai profeti.
In questo caso Geremia si rivolge a un popolo che è stato appena deportato n Babilonia. Si tratta di un totale sradicamento dalla propria cultura, dalla propria terra, dalla propria identità culturale e religiosa. A Israele spettano lunghi decenni di una vita priva di senso, svuotata, solo apparentemente inutile. Di fronte a tanto dolore il profeta cosa fa? Invita alla gioia. Com’è possibile?
Se da un lato Israele vedeva finire il corso della sua storia gloriosa, sentiva dissolvere la sua identità all’interno di una terra straniera, dissolti all’interno di una cultura pagana che non era la loro, d’altro canto il profeta che vive la stessa sorte del suo popolo, per ispirazione divina, invita alla fiducia anche quando si pensa di essere in un vicolo cieco. Certo della bontà di Dio, annuncia alla gente che YHWH provvederà per loro e ricondurrà nel loro paese con grande festa e gioia. Lo dice Egli stesso attraverso il profeta:
perché io sono un padre per Israele
Quello a cui il profeta invita è a non arrendersi allo scoraggiamento, e ad annunciare già da ora che il male ha le ore contate, che Israele non resterà prigioniero in Babilonia per il resto della sua vita, al contrario Dio interverrà con mano potente e restaurerà la giustizia. Da qui, dunque, l’invito alla gioia fin da ora, fin da quando si sperimenta l’amarezza del dolore e del distacco dalla propria patria.
Ci troviamo di fronte a una pagina fortemente, e volutamente, paradossale, perché tale è Dio che ci ha chiamato alla vita, e ci ha riscattato, perché noi fossimo capaci di una gioia imperitura fin da ora, per sempre. Non raramente, infatti, come il popolo di Israele ci sentiamo come in un vicolo cieco, messi in situazioni in cui sembra che non potremo uscirne vivi, o comunque illesi. Eppure non raramente facciamo esperienza di Dio che in maniera del tutto inattesa interviene attraverso persone o situazioni.
Capaci, dunque, di questa memoria grata nei confronti de prodigi divini nella nostra vita, siamo chiamati a fare in modo che la nostra speranza non solo non si spenga mai, ma che sia anche contagiosa per i tanti nostri fratelli che vivono nel buio della solitudine, della disperazione, dello sconforto.
Salmo responsoriale
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.
Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.
Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.
Anche il Salmo responsoriale segue il tema del rinnovare una memoria grata nei riguardi di Dio. In questo caso il salmista canta l’evento della liberazione della deportazione Babilonese e il ritorno di Israele nella sua terra.
Si racconta di un evento tanto bello e inatteso che non sembrava neanche vero: dopo cinquant’anni di umiliazione il popolo viene liberato e può tornare in patria, finalmente può sorridere e cantare.
Tutto il Salmo è intriso di questa gioia inattesa e forse anche inspiegabile, ma consapevole che non può rimanere chiusa all’interno del popolo, ma va condivisa. Tanto che anche le genti, cioè i pagani riconoscevano il favore che l’unico vero Dio ha avuto per il suo popolo. Lo ha espresso chiaramente il Salmista quando diceva:
Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro»
Facendoci contagiare dalla gioia di Israele, oggi siamo chiamati a domandarci quali grandi miracoli Dio ha fatto per noi? cosa ne abbiamo fatto delle grazie di Dio? Siamo grati nei suoi riguardi? Siamo testimoni del suo amore provvidente? Sono un cristiano gioioso, che contagia speranza?
Vangelo
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Non c’è bisogno di vedere per aver fede
Bartiméo, il protagonista di questo brano evangelico, è un uomo ai margini della società: in quanto cieco non era in grado di lavorare, né di provvedere a se stesso, e per questo viveva di elemosina seduto sul ciglio della strada. È questo il suo destino in un’epoca inclemente come quella di Gesù. Ben sapeva che non poteva aspettarsi altro dalla vita... o forse no?!
Sapendo che Gesù passa proprio non molto lontano da lui, non intende perdere la sua opportunità di riscatto. Per questo lo chiama col titolo messianico di “figlio di Davide”, cioè non solo discendente davidico, come in effetti annota l’evangelista Matteo nella genealogia (Cfr. Mt 1,1), ma quale vero e definitivo re d’Israele secondo le antiche profezie. Un re dalle prerogative divine che ristabilirà l’ordine e la pace per tutto il paese, per sempre. Leggiamo:
Ora dunque dirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: “Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso di fronte a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2Sam 7,8-16).
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Madian.
Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti (Is 9,1-6).
Bartiméo non ha bisogno della luce degli occhi per riconoscere nell’uomo di Nazareth, il Messia tanto atteso da Israele, il Figlio del Dio misericordioso fatto uomo per liberare l’uomo dalla sua condizione. L’aver saputo riconoscere Gesù come il Figlio di Dio senza poterlo realmente vedere, realizza e anticipa quello che Gesù dirà poi a Tommaso dopo la risurrezione:
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,26-29).
Ben a ragione il mistico carmelitano, San Giovanni della Croce, quando parla della notte oscura dell’anima può affermare questo paradosso:
Nella notte fortunata,
Giovanni della Croce, Notte, strofa 3
in segreto, che nessuno mi vedeva
né io guardavo cosa,
senz’altra luce e guida
se non quella che nel cuore ardeva.
Chi è davvero il cieco in questo racconto?
È proprio la cecità di quest’uomo la prima provocazione per noi che emerge da questo racconto: chi è veramente il non vedente? Bartiméo grida, cerca di attirare l’attenzione di Gesù, ben sapendo che da lui avrebbe potuto riavere non solo la vista, ma con essa anche una vita dignitosa, un nuovo modo di essere all’interno di una società comunque difficile come quella di Israele. Ma qualcuno cerca di mettere a tacere la sua voce.
Oggi, come allora, al cieco, al bisognoso, viene imposto il silenzio, l’immobilismo. Ad essi viene imposto di non andare oltre i limiti ad essi consentiti, restare ai margini, non devono attirare l’attenzione, restare invisibili, perché in fin dei conti la loro stessa presenza scomoda, impone una presa di coscienza, e allora è molto meglio far finta che non esistano, spostare lo sguardo. È quello che accade in questo brano. Rileggiamo:
Molti lo rimproveravano perché tacesse
Ecco, che allora si rivela chi sia il vero cieco di questo brano: coloro che non vogliono vedere Bartiméo, confinarlo nell’oblio perbenista e intorpidito della loro coscienza.
Il loro atteggiamento si rivela davvero molto attuale. In questa nostra società, non meno difficile di quella dell’antico Israele, parole come infermità, malattia, anzianità, handicap sono diventate tabù. Preferiamo non parlarne, far finta che non esistano, cancellarle dalla nostra mente, dal nostro cuore e dai nostri occhi. E in questo mondo che via via diventa sempre più pagano, egolatrico, egocentrico e iperedonistico, colui che può far emergere nella coscienza la possibilità di una diversità viene eliminato, abortito, socialmente emarginato, chiuso e abbandonato in strutture, talvolta lager ma allegramente chiamate “rsa”, in attesa che tirino le cuoia e, qualora questo non fosse possibile gli si induce a pensare che la scelta migliore sia la morte, il togliersi dai piedi con un bel suicidio, che altrettanto allegramente viene chiamato eutanasia.
Dio è diverso
Gesù non resta indifferente di fronte al dolore della gente, rivelando così la sensibilità di Dio di fronte al dolore. Chiamando a sé Bartiméo ne guarisce quegli occhi incapaci di vedere, e guarisce anche quella dei discepoli e i nostri.
Ben a ragione afferma il Salmista:
Questo povero grida e il Signore lo ascolta (Sal 34,7)
Commentando questo versetto, il santo padre, Papa Francesco afferma:
Ci viene detto, anzitutto, che il Signore ascolta i poveri che gridano a Lui ed è buono con quelli che cercano rifugio in Lui con il cuore spezzato dalla tristezza, dalla solitudine e dall’esclusione. Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’alto per ricevere luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia, oppressi da politiche indegne di questo nome e intimoriti dalla violenza; eppure sanno di avere in Dio il loro Salvatore.
Francesco, Messaggio in occasione della II GIORNATA MONDIALE DEI POVERI, 18.11.2018
Osa chiedere a Dio, sii ambizioso
La domanda di Gesù a Bartiméo , oggi non può che essere valida anche per ognuno di noi. È un invito ad aprirgli il cuore, perché egli si rende disponibile, generoso, nei nostri riguardi.
Il modo di porsi di Gesù sempre attento alle sofferenze di tutti, dei dimenticati, di chi vive ai margini dell’abbandono, rivela il cuore grande di un Dio che è Amore, che si spende per l’uomo fino a dare ciò che ha di più prezioso: suo Figlio. E questi si dona all’umanità nella morte più cruenta, perché le sia tolta la condanna della morte e possa essere riammessa nella grazia originaria per la quale fu creata.
Il cieco del vangelo per sé non chiede che la vista. Essa gli permetterà di rendersi di nuovo padrone della sua esistenza, indipendente, libero, capace di riprogettarsi. Non chiede grandi cose, se non quella di poter di nuovo tornare a rimboccarsi le maniche e darsi da fare, contribuire alla crescita della sua società con il suo lavoro, con il suo inserimento in quel tessuto sociale che resterà comunque difficile.
«Rabbunì, che io veda di nuovo!»
Il problema è che Gesù ogni volta qualcuno gli chiede una guarigione, dona molto di più di quanto sperato. Anche in questo caso egli darà al cieco non solo la vista, ma anche la salvezza eterna a motivo della fede che ha dimostrato. Infatti dice:
«Va’, la tua fede ti ha salvato»
Gesù non usa parole al futuro. La sua affermazione non lascia spazio a dubbi: la salvezza per quest’uomo, e per ogni uomo, è già adesso, comincia da oggi e già da oggi puoi sperimentarla nella tua vita.
La luce della fede che vince le nostre cecità
Guardando l’atteggiamento di Bartiméo , oggi siamo chiamati a riscoprire la forza della fede dentro di noi. Essa è come una fiammella che può fare un po’ di calore e dare un po’ di luce, ma se tu l’alimenti con la preghiera e i sacramenti, essa può diventare un incendio incontenibile nel tuo cuore. Tra tutta la folla che seguiva Gesù Bartiméo era tra quelli che vedeva realmente e a cui non era necessaria la vista per capire chi era quell’uomo che passava vicino a lui.
Allo stesso modo Gesù cammina lungo le strade della nostra città, siede accanto nei banchi di una chiesa, ma siamo chiamati a riconoscerlo alimentando la nostra fede, soprattutto vincendo la tentazione dell’egoismo e dell’orgoglio, divenendo uomini e donne che costruiscono ponti, non muri. Nella misura in cui sarai un cristiano che costruisce comunionalità, tu comincerai davvero a riconoscere la presenza beneficante e salvifica di Dio nella tua vita.
Solo i redenti seguono Cristo
Il brano evangelico si conclude con una affermazione forte: non solo il cieco riacquista la vista, ma diventa anche discepolo.
E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada
Proviamo a calarci nei panni di Bartiméo. Egli ha vissuto una intera vita di non senso, di abbandono e solitudine. Avrà incontrato l’indifferenza di tanta gente e vissuto di stenti e miserie, probabilmente nel corso degli anni avrà tanto desiderato essere come tutti gli altri: un vedente con una propria vita, un lavoro, una famiglia; avere la possibilità di realizzarsi personalmente e togliersi persino qualche sfizio. Godersi, insomma, una vita che fino ad allora gli era stata preclusa. E invece cosa fa? Segue Gesù!
Bartiméo, oggi, insegna a noi cristiani del III millennio una lezione che non dovremo dimenticare: non è vero che la felicità passa attraverso i godimenti della vita. La felicità è Cristo, stare con lui, condividere il cammino della nostra vita insieme a lui, mettere i nostri passi sulle sue orme, imitarlo, accogliere il suo invito a farci testimoni credibili dell’amore del Padre, continuatori della sua opera salvifica nel mondo.
Ecco la gioia che il protagonista del vangelo di oggi ha scoperto e che non vuole lasciarsi sfuggire. E siano altri a seguire la chimera del successo, del denaro, del prestigio (vedi “Cos’è che ti rende felice?“).
«Coraggio! Àlzati, ti chiama!»
L’invito dei discepoli al cieco, è qualcosa di quanto mai attuale per noi questa domenica. Siamo invitati ad avere il coraggio di alzarci dalle nostre comodità, dai nostri peccati e vizi, dalla nostra mediocrità, da una fede blanda vissuta solo per un’ora alla domenica.
Il Signore oggi chiama ognuno di noi e ci invita a seguirlo più da vicino, perché anche noi possiamo trovare pienezza per la nostra esistenza, la gioia che tanto cerchiamo nella nostra vita.
La vocazione, l’accogliere una chiamata al seguire Gesù più da vicino, resta sempre un miracolo della fede dalla quale nessuno è esente. Essa è per tutti, persino per uno che era ritenuto lo scarto della società come Bartiméo: come potrai non esserne degno tu?
L’indifferenza: la grande cecità del nostro tempo!
A conclusione di questo articolo, riguardo a quanto approfondito nella prima parte della nostra meditazione, vogliamo in qualche modo aiutare nella riflessione con un brano di Nek, particolarmente evocativo per il tema che abbiamo affrontato. Il brano in questione è “Credere, amare, resistere”, tratto dall’album “Prima di parlare”. Nel testo il cantautore afferma che solo l’amore può abbattere il muro trasparente dell’indifferenza che prima di tutti si ritorce e nuoce a colui che se ne serve. Per questo dice che non si può nascondere il sole dietro ad un dito e che solo la verità, verità di vedere, di accogliere ed amare, rende davvero libero l’uomo.

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