Se non servi, a cosa servi?

XXIX domenica del tempo ordinario – anno B

Is 53,2a.3a.10-11; Sal 32; Eb 4.14-16; Mc 10,35-45

In queste settimane, la liturgia della Parola ci sta offrendo, al meno nei giorni feriali, la meditazione del grande cammino di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme, lì dove abbraccerà coraggiosamente la sua passione, secondo la narrazione dell’evangelista Luca. In questa domenica ci viene aperto uno squarcio sul mistero della sua missione e su quello che sarà chiamato a vivere a Gerusalemme. Questo tema viene, in qualche modo, preannunciato dal profeta Isaia, nella prima lettura, ma anche dallo stesso Gesù, come vedremo nel dialogo con i due fratelli Giacomo e Giovanni.

I lettura

Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità.

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Già nelle scorse domeniche ci era stata data l’opportunità di riflettere su questo personaggio messianico indicato dal profeta Isaia. Di chi si tratta? Di certo non di un uomo provato da Dio fino allo sfinimento, ma di una persona tanto intimamente unita a Lui da fare sua la missione di YHWH, diventare tutt’uno con Lui, e di accogliere il mistero del dolore come opera espiatrice per i suoi peccati. Per questa ragione nel nostro articolo intitolato “Negli occhi di chi riconosci Cristo?“, avemmo modo di affermare:

Il Servo sofferente descritto dal Profeta Isaia sembra davvero una anticipazione di quella passione che Gesù dovrà subire. La provocazione è questa: chi ha detto che non possiamo fare un’esperienza di Dio, incontrarlo, anche nel dolore, o a maggior ragione, riconoscerlo nei sofferenti?
Ciò che questo servo del Signore ha di speciale, è il non subire passivamente i dolori che dovrà affrontare, ma ad essi si presenta intemerato, senza vergogna, convinto che quello che sta facendo è giusto, secondo Dio.

Negli occhi di chi riconosci Cristo?
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L’amore che risana
Il brano di questa domenica fa dei passi avanti, nel rivelare il mistero di questo alleato di Dio, che la cristianità ha visto realizzarsi nella persona del Cristo, e afferma che egli si fa dono per tutta l’umanità: sacrificando la sua persona, ripara il peccato degli uomini. Rileggiamo il versetto:

Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo
.

Guardando l’atteggiamento del Servo sofferente, ogni cristiano è chiamato a identificarsi in lui. Innanzitutto col fare della propria vita un dono a Dio e al servizio del prossimo, ma anche col dare un senso alle proprie croci e sofferenze, riempirle di un significato teologico, glorificarle perché siano apportatrici di salvezza per noi e per gli altri. Non per ultimi, anche noi siamo chiamati a riparare il peccato dei tanti nostri fratelli nella fede. Si tratta di una provocazione che non dovremmo dimenticare mai, come affermammo in un nostro precedente articolo:

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Ripara il danno che altri fanno al tuo prossimo, ripara i soprusi, le ingiustizie quotidiane che ogni giorno vedi realizzarsi nelle strade del tuo quartiere, ripara le inadempienze di chi non vuol fare il proprio dovere. Riparagli scandali della Chiesa e dei suoi pastori. A cosa servi, dopotutto, se resti semplice giudice e spettatore di quello che vedi? Dio ti ha dato la vita perché tu sia il suo collaboratore, per null’altro che per questo, compi la tua vocazione di essere sua immagine e somiglianza.

Accogli l’ospite divino

Non è un caso che il brano di oggi si conclude con l’effetto positivo dell’azione del Servo sofferente:

Il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità.

L’offrire i propri patimenti, umiliazioni e frustrazioni per la conversione dei peccatori, risulta cosa gradita a Dio, un alto gesto d’amore puro per il prossimo. Esso è anche il contenuto di alcune esortazioni della Vergine Maria ai veggenti di Lourdes e Fatima, e per questo resta per noi ancora molto attuale: una missione dalla quale non possiamo esimerci, una via certa di santificazione che si concretizza nell’amore incondizionato verso l’altro, verso chi soprattutto non suscita simpatia (il malvagio) o verso comunque lo sconosciuto. Per questo riteniamo attuale quanto in precedenza affermato:

Se vuoi avere una scorciatoia facile per giungere al paradiso senza passare dal martirio, è attraverso l’amore, concreto e fattivo, che devi andare. Se non ti accontenti del tuo stato spirituale, se pensi che puoi fare di più per Dio, è il tuo fratello che devi amare, soprattutto quello che ti è causa di sofferenza

Accogli l’ospite divino
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Il Vangelo

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi cori Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

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Contesto
Il brano evangelico che la liturgia offre per la nostra meditazione, non segue propriamente quello della scorsa domenica. O meglio, ci troviamo propriamente all’interno del decimo capitolo, ma è stato omesso un passaggio importante: ben tre versetti. Cosa è accaduto prima di quello che oggi leggiamo? Il nostro brano segue qualcosa che ha sconcertato i discepoli. Leggiamo:

Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà” (Mc 10,32-34).

Ed è proprio prima di questi tre versetti che si situa il brano evangelico della scorsa domenica, dove Gesù non solo aveva incontrato il giovane ricco, ma anche aveva chiarito ai discepoli la difficoltà dell’accesso al Regno dei cieli.

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Le ambizioni che distruggono la fraternità
Arriviamo, dunque, al punto della questione. Se da un lato Gesù aveva preannunciato quello che stava per vivere, una volta varcata la soglia della porta della città santa (è già la terza volta che lo fa. Per le prime due volte, rimandiamo ai nostri articoli: “Negli occhi di chi riconosci Cristo?” e “Servitori non re. La comunità secondo Gesù“), dall’altra, con totale mancanza di sensibilità, i discepoli (e vedremo non solo Giacomo e Giovanni) si interrogano sul modo col quale avere posti d’onore e di superiorità rispetto agli altri. Possiamo solo immaginare il senso di frustrazione di Gesù, il non sentirsi compreso nemmeno dalle persone che aveva più vicino. Eppure, non se ne scandalizza, ma offre a tutti l’opportunità di una crescita personale.
Perché, allora, le ambizioni distruggono la fraternità? Perché Giacomo e Giovanni, in qualche modo, sono quelli che osano dare voce a dei sentimenti che in realtà erano anche quelli degli altri apostoli. Per questo si dice che gli altri dieci si indignano con loro.
Il problema delle ambizioni è qualcosa di tanto grottesco, che non raramente rovina anche gli ambienti cristiani, quelli parrocchiali dove quello che viene originariamente accolto, con grande slancio di generosità, come un servizio, alla fine diventa l’opportunità per sentirsi migliore di altri: si finisce non più di servire, ma comandare. Che brutta vita, quella di chi svende il proprio servizio e ne fa occasione per emergere.

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Sia fatta la nostra volontà
Il titolo di questo paragrafo, volutamente provocatorio, ricalca, in qualche modo, la richiesta dei due fratelli, Giacomo e Giovanni, nell’approcciarsi a Gesù:

«Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».

I due fratelli, accecati dal sogno del potere, hanno perso ogni riferimento, e ogni ritegno, chiedendo che la volontà del Maestro, si pieghi ai loro capricci. Ci troviamo di fronte a un atteggiamento quanto meno offensivo nei riguardi di Gesù, che non raramente il cristiano di oggi osa ripetere quando si approccia a Dio nella preghiera. Si tratta di una vera e propria perversione del vangelo, dove il “sia fatta la tua volontà” della preghiera insegnata da Gesù, diventa un “sia fatta la nostra volontà”. Non di meno, è tipico dell’atteggiamento satanico, la perversione della parola di Dio per i ottenere i propri scopi. È quello, per esempio, che accadde a Gesù nel deserto, dove il Maligno tentava il Figlio di Dio, usando propriamente la parola di Dio.

Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra
“.
Gesù gli rispose: “Sta scritto anche:
Non metterai alla prova il Signore Dio tuo” (Mt 4,5-7).

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Ecco, dunque, il grave pericolo nel quale i cristiani di oggi possono incorrere, non solo con una relazione immatura con Dio, ma a maggior ragione, e ben più pericolosamente, con le pratiche magiche e scaramantiche, finendo per divenire non più discepoli del Santo, ma del Maligno.
Come, dunque, evitare di incorrere in questo grave errore esistenziale? Tutto si gioca sull’idea che abbiamo della preghiera. Se riteniamo che essa consista in un rapporto di tipo economico, di dare e avere, di pregare per ottenere, allora ci stiamo incamminando per sentieri sterili e aridi. La preghiera, infatti, prima di essere supplica e richiesta di grazie, è un atto d’amore in cui il cristiano decide di perdere parte del suo tempo, della sua vita, per farne dono a Dio, per lodarlo e ringraziarlo per tutti i suoi doni e miracoli. Se la preghiera non è fondata nell’amore e mirata unicamente ad amare colui che è Amore (1Gv 4,8), allora la nostra non è preghiera. Anche nel momento in cui decidiamo di rivolgerci a Dio, per chiedergli una grazia, la nostra non deve mai configurarsi come una pretesa, ma fare nostre le parole di Gesù nel Getsemani:

Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 26,39).

Perché questo? Perché come ben a ragione dice San Paolo, non raramente il cristiano non sa neanche cosa sia bene per lui chiedere al Padre nella preghiera. Per questa ragione è necessario affidarsi allo Spirito di Dio, che sa cogliere tutte le mozioni del cuore umano e presentarle al Padre. Leggiamo infatti nella lettera ai Romani:

Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio (Lc 8,26-27).

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Il fondamento della fraternità
Il brano si conclude con Gesù che cerca di sanare le fratture che i discepoli stavano creando all’unità della comunità, a motivo delle loro ambizioni. Il criterio per l’unità e la comunionalità per Gesù, è l’abbandonare l’ottica del sentirsi superiori rispetto agli altri, ed entrare in quella del servizio vicendevole. L’invito è quello di guardare alla sua vita, al suo esempio, di prendere il Maestro come modello di vita e in base a quello conformarsi.
Ecco allora la provocazione di Gesù per noi oggi: “Se non servi, a cosa servi?”

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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