Abbiamo dedicato molto spazio al tema della gioia nella Sacra Scrittura, disponendone addirittura una serie di articoli che spaziano dall’Antico al Nuovo Testamento. Articoli che poi sono stati raccolti all’interno della nostra sezione intitolata “La Parola è gioia“.
I brani che qui sotto affronteremo, dunque, si inseriscono all’interno di questa parte così importante del nostro sito, e vogliono offrire un’ulteriore spunto di riflessione per due particolari articoli: “Cos’è che ti rende felice?” e “Cosa sei disposto a rinunciare per Cristo?“. Ad essi rimandiamo per avere una visione di insieme più completa e approfondita.
Arriviamo, così, ai brani in analisi in questo articolo: Sap 7,7-11 e 1Re 3,4-11.
L’uomo di fronte a Dio
Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.
L’ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile (Sap 7,7-11).
La tradizione attribuisce la paternità di questo libro sapienziale, niente di meno che al re Salomone, autore anche di alcuni Salmi e del libro dei Proverbi. Egli probabilmente fu il più giusto tra i re di Israele, figlio del grande re Davide, ereditò dal padre l’amore per Dio e il desiderio di dedicargli “una casa”, una degna dimora. Questo avvenne con l’edificazione del tempio di Gerusalemme.
Egli divenne per tutta la tradizione biblica, modello di saggezza per ogni regnante che volesse davvero servire il suo popolo, tant’è che anche Gesù ne elogia la figura, pur rivelandosi superiore. Leggiamo infatti nel Vangelo secondo Matteo:
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro (Mt 6,28-29)
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro questa generazione e la condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone! (Mt 12,42)
Salomone, dunque, passerà alla storia per la sua saggezza, frutto di una capacità di discernimento che proviene dalla sua unione con Dio, frutto, soprattutto della sua preghiera. L’inizio della sua vita da regnante di Israele nasce da un atto di culto a YHWH il quale, gradendolo, gli si rivela personalmente iniziando un rapporto di intimità e amicizia con lui. Leggiamo infatti nel primo libro dei Re:
Il re andò a Gàbaon per offrirvi sacrifici, perché ivi sorgeva l’altura più grande. Su quell’altare Salomone offrì mille olocausti. A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”. Salomone disse: “Tu hai trattato il tuo servo Davide, mio padre, con grande amore, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questo grande amore e gli hai dato un figlio che siede sul suo trono, come avviene oggi. Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?”. Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: “Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te. Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun altro fra i re, per tutta la tua vita. Se poi camminerai nelle mie vie osservando le mie leggi e i miei comandi, come ha fatto Davide, tuo padre, prolungherò anche la tua vita” (1Re 3,4-14).
Pur trovandosi nella condizione di poter chiedere qualunque cosa al suo Dio, compreso anche la capacità di arricchirsi fin oltre l’inverosimile, o di ergersi a totale superiorità verso tutti i suoi nemici, e quelli di Israele, egli chiede solo la Sapienza, la capacità di vivere in maniera dignitosa la sua vocazione di regnante, interamente vissuta nell’ottica della donazione e del servizio al popolo. YHWH gradirà la sua richiesta e gli concederà molto di più di quello che ha osato chiedere: non gli donerà solo la sapienza, ma lo renderà l’uomo più saggio di tutta la storia di Israele, e unitamente a questo, tutto ciò che non ha osato chiedere.
Cos’è la Sapienza?
Perché Salomone ha chiesto la sapienza e null’altro? Cos’ha di così importante, tanto da commuovere il cuore di Dio?
Per la Sacra Scrittura la sapienza è una sorta di virtù molto pratica, infusa nell’uomo che gli permette di portare avanti una determinata missione. Giosuè, per esempio, poté cogliere l’eredità spirituale di Mosè e condurre il popolo nella terra promessa, proprio perché il suo predecessore, prima di spirare, impose su di lui le mani (gesto molto evocativo per noi cristiani). Allo stesso re Davide verrà riconosciuta una saggezza pari a quella degli angeli. Anche il Messia profetizzato da Isaia, verrà riconosciuto a motivo della sua saggezza. Leggiamo:
Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui. Gli Israeliti gli obbedirono e fecero quello che il Signore aveva comandato a Mosè (Dt 34,9).
Disse il re: “La mano di Ioab non è forse con te in tutto questo?”. La donna rispose: “Per la tua vita, o re, mio signore, non si può andare né a destra né a sinistra di quanto ha detto il re, mio signore! Proprio il tuo servo Ioab mi ha dato questi ordini e ha messo tutte queste parole in bocca alla tua schiava. Il tuo servo Ioab ha agito così per dare un altro aspetto alla vicenda; ma il mio signore ha la saggezza di un angelo di Dio e sa quanto avviene sulla terra” (2Sam 14,19-20).
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore (Is 11,1-2)
Non raramente la Sapienza è associata a Dio: così come emerge in maniera quasi prepotente a un’attenta lettura del libro di Giobbe. Gli esegeti riformati commentano così questo particolare attributo divino:
Essa non consiste semplicemente in un’assoluta perfezione di conoscenza che raggiunge ormai ogni aspetto della vita (Giob. 10:4; 26:6; Prov. 5:21; 15:3) ma altresì “nell’inarrestabile adempimento di ciò che egli ha in mente”
Marschall I. H., Millard A. R., Packer J. I., Wiseman D. J., Sapienza, in a cura di R. Diprose, Dizionario biblico GBU, Edizioni GBU, 2008 Chieti-Roma, p. 1437
Quando Gesù parlerà della Sapienza, si situerà all’interno di questa intuizione veterotestamentaria. Egli, infatti, affermerà che essa è un dono di Dio concesso all’uomo in circostanze particolari, attraverso essa al credente viene concessa la possibilità di fare esperienza della Provvida tenerezza divina.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere (Lc 21,12-15).
Ma non solo. Per l’apostolo Paolo, la sapienza permette l’ingresso nel regno dei beati attraverso la funziona redentrice della Chiesa. Leggiamo:
A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui (Ef 3,8-12).
Ecco dunque cos’è la Sapienza che Salomone cerca per sé e che la liturgia della Parola ci invita a domandare per noi. Questo osare nella preghiera, perché ci venga elargito la un attributo divino, anche se in maniera imperfetta, non può non mettere in crisi il nostro modo di pregare, di relazionarci a Dio, per cui, per un maggiore approfondimento rimandiamo ai nostri articoli: “Per una recita più consapevole del Padre nostro” e “Consigli di Gesù per una preghiera gradita al Padre“.
La Sapienza e la gioia
A fronte di questa ricchezza di significato, biblico e spirituale, dobbiamo riconoscere nella richiesta della sapienza la fonte della gioia per l’orante, avendo come modello lo stesso Salomone. Infatti, tanto nel brano del libro della Sapienza, come nell’esperienza dell’erede al trono di Davide, l’uomo riconosce come la fonte della sua gioia non risiede nella materialità contingente, superficiale e passeggera, ma nell’eternità di Dio.
Il credente del III millennio, come l’uomo biblico, può sperimentare come dalla sapienza, per cascata, procedano tutte le altre gioie, più piccole, passeggere e limitate, ma comunque importanti per la sua vita. È questa, infatti, l’esperienza narrata tanto nel libro della Sapienza come nel primo libro dei Re, che abbiamo citato a inizio articolo:
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile (Sap 7,11)
Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun altro fra i re, per tutta la tua vita (1Re 3,13).

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Si tratta, dunque, di avere una sorta di priorità nella vita e nel nostro rapporto con Dio. Di andare all’essenziale perché questa nostra breve vita, sia riempita di senso e si apra, e si protenda verso l’eternità. Lungi, poi, dal disprezzare la materialità e la temporalità di questa nostra esistenza, si tratta di protendere alle cose più grandi, per poi avere, come conseguenza, anche tutto il resto.
Resta, pertanto, lecito nella preghiera domandare a Dio, la salute, il benessere economico, un lavoro, la pace in famiglia e tutto il resto, ma queste realtà da sole non potranno mai saziare la nostra fame di gioia, perché si tratta di realtà passeggere, importanti, certo, ma effimere. La salute, come il lavoro e il benessere economico, oggi c’è, ma la sua gioia presto svanirà al pervenire della prima malattia, del primo intoppo, del primo investimento sbagliato. Gli affetti famigliari e la pace in famiglia, sono cose che sempre dovremmo chiedere a Dio, ma se la nostra gioia dipendesse solo da questi due fattori, ben a ragione potremmo cedere alla disperazione e alla depressione. Infatti, non raramente gli amici ci voltano le spalle e le relazioni in famiglia non sempre sono lineari e facili.
L’invito quindi è a protenderci verso l’unica gioia che resterà intramontabile, inscalfibile ed eterna: la gioia di Dio e che è da Dio, alla quale potremmo arrivare nella misura in cui gli chiediamo la sua sapienza. Allora, uniti così intimamente a Dio, potremo gioire anche quando intorno a noi non c’è che tempesta e oscurità.
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