In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,25-30).
L’esultanza di Gesù
Il brano evangelico che oggi prendiamo in considerazione, si apre con l’esultanza di Gesù, una lode grata e gioiosa rivola al Padre. Ma perché e per chi gioisce? Per comprenderlo, è necessario guardare il contesto narrativo offerto dall’evangelista Matteo, quello che era accaduto poco prima dell’esultanza del Nazareno Figlio di Dio. Leggiamo:
Allora si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: “Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!” (Mt 11,20-24).
A ben vedere, ciò che precede l’esultanza di Gesù è in realtà un fallimento. Poco prima, infatti, come abbiamo visto, Gesù deve prendere consapevolezza che intere città hanno chiuso le porte in faccia alla sua persona, al suo ministero e alla salvezza che voleva loro donare. E che fa? Anziché arrabbiarsi come avrebbero fatto i discepoli (Lc 9,51-56 vedi il nostro approfondimento in merito: “Cosa fare quando la vita ti chiude le porte in faccia?“), loda il Padre e lo ringrazia. Cerchiamo di capirci qualcosa e rileggiamo cosa fa esultare il suo cuore:
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.

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Gesù loda il Padre per i piccoli, ovvero quelli che non lo hanno rifiutato, ma hanno deciso di seguirlo. Di chi si tratta? Come abbiamo avuto modo di approfondire nel nostro precedente articolo “Il pericolo dell’esclusivismo“, i piccoli della Bibbia non sono i bambini, o meglio, non solo. Si tratta di coloro che erano esclusi dalla vita sociale e religiosa dell’epoca, una sorta di scomunicati a motivo del loro stato sociale (per esempio donne e fanciulli) e morale (pubblicani e pubblici peccatori). I piccoli del vangelo, nei quali si immedesima anche la Vergine Maria (per un maggiore approfondimento rimandiamo al nostro articolo “L’anima mia gioisce nel Signore“), sono coloro che trovano in Gesù la loro seconda opportunità per tornare a fare sul serio con Dio e non vogliono lasciarsela scappare per nulla al mondo.
L’esultanza di Gesù a constatare come il suo messaggio venga ricevuto da loro e non dai benpensanti dell’epoca (scribi, farisei, sacerdoti, leviti, erodiani ecc.), ci permette di capire un dato essenziale del cuore di Dio e che Gesù stesso aveva rivelato in un’altra occasione:
Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione (Lc 15,7).
Gesù sta rivelando qualcosa di sconvolgente per gli uomini della sua epoca e per tutti noi, cristiani del III millennio: il nostro Dio è un Dio gioioso, allegro, a cui piace festa. Risulta, dunque, per tutti noi, una forte e chiara esortazione a liberarci dell’idea di un Dio giudice che tiene il conto di tutti i nostri peccati, un Dio severo e accigliato che punta contro di noi, minacciosamente, il suo dito.
Il segreto della santità per Santa Teresa di Lisieux
È a partire da questa rivelazione biblica che Santa Teresa di Lisieux poté formulare la sua ricetta per la vita eterna. Oggi noi la veneriamo come una delle più grandi sante non solo del Carmelo, ma di tutta la cristianità. Ma cosa fece di così straordinario? In realtà nulla. Anzi, ella stessa comprese che con le sue sole forze non poteva farsi santa.
Santa Teresa non era che una giovane donna vissuta all’interno di un monastero di clausura, che per di più finì la sua vita troppo giovane, a soli 24 anni. Tuttavia ebbe un’intuizione che si rivelò valida non solo per se stessa, ma per tutta la Chiesa, quella che lei chiamò “la piccola via” e di cui parla in quei Manoscritti autobiografici che noi conosciamo come “Storia di un’anima”. Leggiamo il passaggio.
Lei lo sa, Madre, ho sempre desiderato essere una santa, ma ahimè, ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra essi e me c’è la stessa differenza che tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli, e il granello di sabbia oscura calpestata sotto i piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità; diventare più grande mi è impossibile, debbo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni, nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per una via ben diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova.
Storia di un’anima, n. 271
Teresa non si è fatta scoraggiare dai suoi limiti, consapevole che quel desiderio alla santità non poteva venire che da Dio. Per realizzarlo, però, ha dovuto ingegnarsi, dare adito alla sua creatività… e ci è riuscita.
Il suo metodo che parte dalla consapevolezza delle proprie fragilità, consiste nel lasciarsi riempire dall’amore di Dio che dona nuova gioia ai cuori, nuova speranza per l’anima e allo stesso tempo ha una capacità purificativa. Il metodo di Teresa parte da questa presa di coscienza per poi concretizzarsi in piccoli atti concreti di amore verso Dio attraverso il prossimo, nell’ordinarietà della vita.
Ecco, dunque, per noi la sua eredità, la sua proposta per farci santi pur restando nella piccolezza della nostra quotidianità: rendere ogni nostro gesto, scelta, consuetudine, parola, un atto di amore a Dio. Questa fu anche l’intuizione di un piccolo frate francese nella seconda metà del 1600. Si tratta di fr. Lorenzo della Risurrezione, cuoco di un convento di circa 300 frati. Così egli spiegava la sua via per la santità nei troppi impegni della sua giornata:
Io rigiro la mia frittata nella mia padella per amore di Dio…Si va alla ricerca di metodi per imparare ad amare Dio…Non è forse più breve…fare tutto per amore di Dio, servirsi di tutte le azioni del proprio stato per dimostrarglielo e conservare la sua presenza in noi con lo scambio tra lui e il nostro cuore?
Venerabile Lorenzo della Risurrezione
La santità del quotidiano è un tema davvero importante per noi cristiani del III millennio, dove il tempo finisce per essere una risorsa sempre più rara e difficile da gestire. Per questo rimandiamo al nostro precedente articolo per un maggiore approfondimento: “Per una santità casalinga“.

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Fame della Parola di Dio?
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