In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città» (Lc 10, 1-12).
Contesto
Ci troviamo all’interno di quella macro sezione del vangelo di Luca, in cui si narra del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, una volta appresa della morte di Giovanni il Battista per mano di Erode Antipa (Lc 9,51-18,14). Un viaggio che di certo non inizia nel migliore dei modi: inaugurato, infatti, con il rifiuto e la non accoglienza in un villaggio della Samaria.
Dopo una breve narrazione sulla sequela, con la quale si conclude il nono capitolo (9,57-62), ecco che si apre il decimo con l’invio dei discepoli nelle città limitrofe per estendere il suo messaggio: la prossimità (fisica, spirituale e affettiva) di Dio nei riguardi dell’umanità.
Il discepolato nella Liturgia della Parola
Prima di passare all’approfondimento del brano evangelico odierno, riteniamo importante sottolineare come in questo anno liturgico la Chiesa stia offrendo in maniera costante e ripetuta, delle meditazioni sul discepolato secondo l’intenzione di Gesù. Un tema che oggi si rivela quanto mai importante ed urgente, di fronte all’imperversare di sette pseudoreligiose, scaramanzia, occultismo, indifferentismo religioso. L’uomo contemporaneo desideroso di qualcosa che vada oltre l’immanente dell’oggi contrassegnato da una sempre crescente insicurezza nel campo economico, famigliare, lavorativo e soprattutto in campo medico, se non trova cristiani che siano testimoni autentici, formati ed entusiasti, finiscono per trovare in fonti alternative, e non poco pericolose, il nutrimento per la propria anima (rimandiamo agli articoli raggiungibili ai link in basso).



La missione dei discepoli, sorge dal cuore misericordioso di Cristo
Il brano evangelico di Gesù, ci offre la possibilità di leggere gli intenti di Gesù, le sue preoccupazioni, ciò che gli sta a cuore: la paura di non poter arrivare a tutti con la sua predicazione e con le sue opere. Gesù individua nella preghiera e nella missione dei discepoli, la possibilità di ampliare il raggio d’azione della tenerezza divina.
I doveri del discepoli
I discepoli che sono chiamati a farsi continuatori dell’opera messianica di Cristo, sono chiamati a ottemperare due condizioni: la preghiera e il mettersi in cammino. Gesù usa due verbi: «Pregate» e «Andate». Non si tratta di un semplice invito, di una richiesta a cui i discepoli possono aderire oppure no. Si tratta di veri e propri comandi, tanto che i verbi sono usati all’imperativo.
Questo ci rivela un tratto fondamentale per riconoscere chi è un vero discepolo di Cristo e chi invece solo un truffatore: l’essere uomini e donne di una vera e profonda spiritualità, la capacità di stringere relazioni, facendo sempre il primo passo verso l’altro.
Un cristiano, dunque, perché possa dirsi tale, e non un ateo perbenista, deve saper perdere tempo ogni giorno per la preghiera, per entrare in una relazione profonda, intima e affettiva con Dio. E solo. Nella misura in cui questa relazione viene approfondita e vissuta, allora sarà capace di approssimarsi agli altri. La preghiera, dunque, come la missionarietà, non è un optional del cristiano, ma le condizioni perché il cristiano sia tale e non un millantatore da sacrestia.
La carenza di vocazioni caratterizza la comunità dei redenti fin dalla sua origine
Gesù non chiede ai discepoli di pregare perché il Padre mandi vocazioni alla sua comunità, ma lo impone loro. La preghiera per le vocazioni, dunque, è un obbligo al quale nessun cristiano può esimersi. Perché? Perché senza testimonianza e missionarietà, non si dà l’opportunità all’altro di arrivare alla fede e quindi di salvarsi.
Giusto per fare un esempio: cosa ne sarebbe stato delle Americhe se non fossero arrivati i Gesuiti? Senza la missionarietà dell’apostolo Paolo, anche l’Italia come gran parte dell’Occidente oggi non sarebbe lo stesso: culturalmente e spiritualmente.
Come testimoniare?
Lo abbiamo detto più volte, Gesù era un uomo molto pratico, e ogni suo insegnamento era accompagnato da una serie di istruzioni perché questo divenisse vita vissuta nelle persone che lo seguivano. Anche in questo caso, spiega ai discepoli quali atteggiamenti e quali scelte devono assumere perché la loro missione non sia improvvisata e inefficace. Ne abbiamo individuato sei.
1. Mitezza
Ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi
È la prima caratteristica che Gesù si aspetta dai suoi discepoli. La mitezza per Gesù è l’arma dei forti, al contrario la violenza è proprio dei vigliacchi.
Ma non solo. Gesù invita i discepoli alla mitezza di un agnello di fronte ai lupi, perché è il suo stesso atteggiamento. Quale vero maestro e pedagogo, non insegna ai suoi discepoli contenuti astratti, ma invita ad imitare quei valori che egli ha fatto i suoi. Era infatti, mite il Servo messianico profetizzato da Isaia:
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca (Is 53,7).

2. Austerità
Non portate borsa, né sacca, né sandali
Comodità e discepolato non è un binomio accettabile. Questa è una forte provocazione per la nostra epoca consumistica ed iperconnessa. L’invito di Gesù è di scollarci dai nostri divani massaggianti, di scollare lo sguardo dai megaschermi ultra HD delle nostre Smart tv, e imparare a guardarci in faccia, senza filtri, senza sovrastrutture.
Perché Gesù invita a questa austerità? Perché è indice di fiducia nella sua Provvidenza. nella misura in cui lavoriamo per il Regno di Dio, ci facciamo collaboratori di Cristo, lui stesso vorrà pensare a noi e al nostro compenso.
3. Non lasciarsi distrarre
Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
I saluti israelitici erano lunghi e prevedevano una lunga serie di convenevoli. Invitando ad evitarli, Gesù non chiede ai discepoli di essere maleducati e di rinunciare alle pubbliche relazioni, ma ricorda loro che la missionarietà deve essere la prima prerogativa del discepolo in cammino, il resto è secondario. Si tratta, ovvero, di una grande urgenza a cui non bisogna porre neanche il minimo ostacolo. La testimonianza cristiana, poiché è apportatrice di salvezza, deve essere riconosciuta come questione di vita o di morte.
4. Portatori di pace
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”
L’augurio di pace è per Gesù la primizia della testimonianza del discepolo, sintesi di tutta la predicazione cristiana. Qui non si tratta di una semplice pace all’interno delle mura domestiche, né di un augurio generico e astratto. Lo pace (shalom) nella Bibbia indica una sorte di benessere che riguarda l’uomo e le sue relazioni nella completezza. Si tratta di un vero e proprio dono di Dio che riguarda l’aspetto fisico dell’uomo, quello relazionale, economico, ma soprattutto spirituale. Essa esprime armonia e concordia tra tutte le genti: in casa, come nelle città. Viene associata alla giustizia, intesa come santità personale, e alla verità; ma ma mai alla malvagità. Come a intendere che l’empio non potrà mai essere un uomo in pace e di pace.
Gesù, poi, si fa portatore di una pace messianica di cui ne è il Principe atteso da secoli (Is 9, 6-7; Ger 33,15-16; Ez 34,23-34; Mi 5,5; Zc 9,9-10). La sua nascita viene annunciata come realizzazione di questa pace messianica, tant’è che lo stesso evangelista Luca lo evidenzia in diverse occasioni: nel cantico di Zaccaria, come in quello dell’anziano Simeone e nell’annuncio degli angeli:
Per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace (Lc 1,79)
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14)
Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza (Lc 2,29-30)
Augurando la pace, dunque, i discepoli la testimoniano già come realizzata nella persona del Nazareno che egli predicano in maniera itinerante. Non a caso oggi, un uomo in pace, che la dona e la augura, è il più credibile tra i cristiani del terzo millennio.
5. Operatori di guarigione
Guarite i malati
La presenza dei discepoli nelle case e nelle città in cui vengono accolti deve essere seguita da un’opera di carità verso il prossimo, a imitazione di Gesù la cui missione era accompagnata da predicazione e opere di guarigione e liberazione.
Se è vero che la capacità di guarigione dei malati resta una prerogativa concessa solo a pochi cristiani, eletti per la santità di vita, è anche vero che esistono molti tipi di guarigione. Esiste una malattia che con tanta rapidità si sta insinuando nelle case degli italiani, una malattia che, a causa delle restrizioni imposte dai protocolli per fronteggiare la diffusione del Covid19, ha visto quintuplicare i casi nell’ultimo anno. Parliamo di depressione.


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Le chiusure, gli inviti a ridurre gli incontri personali, le esortazioni a starsene in casa, la tanta solitudine, hanno provocato l’aumento dei casi di questa malattia. Oggi più che mai, dunque, come cristiani siamo chiamati a guarire chi ne soffre, facendoci uomini e donne che vanno e portano pace.
6. Annunciatori della tenerezza di Dio
Dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.
La provocazione che emerge adesso, è proprio quella che Gesù invita i discepoli ad annunziare il suo messaggio, soltanto dopo essere stati forieri di pace e aver operato. Qual è la provocazione? Non possiamo fare i teologi se prima non ci comportiamo da cristiani. La bocca deve essere aperta, ad essa le si deve dare fiato, solo dopo aver mostrato in maniera concreta, visibile e fattiva a chi apparteniamo.
Qual è il problema? È che non raramente negli ambienti ecclesiali si trovano uomini e donne, preti e laici, tanto brevi nel parlare e nell’esporre i dati della fede, ma poi si rivelano essere dei veri e propri analfabeti di cristianità.
E in caso di rifiuto?
L’insegnamento di Gesù si conclude con un’ultima annotazione diretta in caso i discepoli trovino chiusure anziché accoglienza. Perché lo fa? Perché in realtà poco prima Giacomo e Giovanni al vedere come un villaggio avesse chiuso le porte al Maestro, chiesero a Gesù la possibilità di invocare dal cielo un fuoco che li annientasse.
Dunque, perché i discepoli sappiano affrontare in maniera dignitosa un rifiuto, li invita a scuotere la polvere dai loro sandali e di lasciare a Dio l’eventuale punizione.
Questo vale anche per noi oggi. Come cristiani siamo chiamati ad evitare ogni efficientismo, calcolando se ne valga davvero la pena, oppure no, di dare una testimonianza. Gesù ci invita a non fare calcoli, tutti sono degni del nostro annuncio, anche coloro che possono rifiutarci, perché tutti sono degni dell’amore di Dio. Tu predica, al resto ci pensa lui! Tu predica, perché non sta a te vedere se il tuo annuncio porta frutto o meno. Tu predica, e non ti interessare d’altro.

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