Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,18-22).
La liturgia della Parola nelle ultime settimane, ci sta proponendo come meditazione, quello di uno sguardo su Cristo a 360 gradi. Non c’è personaggio dei vangeli che incrociandolo non esprima un giudizio sulla sua persona, che non si senta intimamente interrogato circa il mistero della sua persona.
Prospettive sulla figura del Cristo nel vangelo odierno
Poiché Gesù non era una persona che lasciava indifferenti coloro che incontrava e che la sua sola presenza imponeva loro una presa di posizione riguardo la sua figura (nell’accoglienza o nel rifiuto), vediamo cosa emerge nel brano evangelico che oggi ci offre la liturgia della Parola (per un ulteriore approfondimento del brano, rimandiamo al nostro articolo “Discepoli entusiasti e maldestri come Pietro“).
A. La prospettiva delle folle
Nel brano odierno ad esprimere un giudizio sono le folle: la gente che generalmente lo seguiva per avere da lui un miracolo, una guarigione, la liberazione da uno spirito impuro o semplicemente per ascoltarne la predicazione. Sono i discepoli, all’unisono, a dare voce a queste persone, sollecitate dalla domanda, certamente non casuale, da parte di Gesù.
Cosa percepiscono le folle sulla persona di Gesù? Per loro egli altro non è che un profeta, un uomo di Dio che parla per conto del suo Signore. Non riconoscono in lui il Messia atteso da secoli, né la sua Signoria divina, anche se ne colgono l’importanza e l’autorevolezza della predicazione.
B. La prospettiva dei discepoli
Cosa vedono i discepoli in Gesù? Qual è il filtro attraverso il quale vedono al mistero della sua persona? Questo brano lo rivela chiaramente: i discepoli si affidano unicamente a quello che gli altri dicono. Si tratta di un atteggiamento molto superficiale, considerando soprattutto che rientra nella pedagogia di Gesù, introdurre un insegnamento particolarmente importante, proprio con una domanda (per un maggiore approfondimento rimandiamo al nostro articolo “Resta con noi” e “Negli occhi di chi riconosci Cristo?“).
C. La prospettiva di Pietro
Anche Pietro, il più grande tra gli apostoli, si è interrogato sulla figura del Nazareno. Tuttavia il suo discernimento non è superficiale: non si ferma all’autorevolezza della sua parola e nemmeno a quello che gli altri dicono. Il suo discernimento va in profondità alla figura di Gesù, ne coglie il mistero della sua presenza a partire dall’ottica storico-salvifica del Dio che nei secoli si è rivelato ad Israele. Per lui, Gesù non è semplicemente un profeta (nuovo o redivivo), per lui è il Messia venuto a cambiare il corso della storia e a donare a Israele la salvezza tanto attesa.
A differenza degli altri apostoli, si è interrogato sul peso della figura di Cristo nella sua vita e ha potuto rispondere con franchezza alla sua seconda domanda, senza tentennamenti. Perché? Perché i suoi dubbi sono stati fugati nel corso del tempo, nella misura in cui con attenzione è stato spettatore e testimone delle sue parole e dei suoi prodigi.
A motivo di questo suo lavoro interiore, del suo sapersi mettere in discussione, di entrare in crisi e lottare anche con il suo raziocinio, Pietro, nel vangelo giovanneo, potrà affermare che è il “Santo di Dio” e che solo lui ha parole di vita eterna (rimandiamo al nostro articolo “Scegliere Dio, costi quel che costi“).
La prospettiva di chi lo avversa
Non avendo la pretesa di voler esaurire un argomento così importante all’interno dei vangeli, ci limitiamo a citare l’atteggiamento di alcuni suoi avversari.
A. I Giudei
All’interno di questa categoria, generalmente citata dall’evangelista Giovanni, rientrano tutti quegli israeliti che ritengono Gesù come un bestemmiatore, un truffatore di coscienze e soprattutto un elemento pericoloso da eliminare il prima possibile (rimandiamo al nostro articolo “Dimmi cosa fai e ti dirò chi sei“. Rientrano in essi tanto le sfere laicali del giudaismo (farisei, scribi, sadducei ed erodiani), come all’interno della casta sacerdotale. Essi accusano Gesù di operare falsamente in nome di Dio: di compiere guarigioni e permettere ai suoi discepoli di raccogliere il grano quando è proibito (vedi “Il segno di Giona“) e di osare rimettere i peccati, cosa che spetta solo a Dio e di cui persino non ne erano nemmeno totalmente sicuri. Di fatto nella grande liturgia israelitica in cui una volta all’anno si celebrava la misericordia di Dio (yom kippùr), ci si augurava la remissione del peccato del popolo addossandolo ad un agnello, ma sulla sicurezza della assoluzione non v’era certezza alcuna.
B. Erode Antipa
Chiudiamo questa carrellata con uno dei personaggi più discussi, e discutibili, dei Vangeli. Ci troviamo di fronte al primogenito del sanguinario Erode il Grande, colui che secondo il vangelo di Matteo decretò la condanna a morte di tutti i bambini del suo regno che avessero meno di due anni.
Antipa ereditò dal padre, secondo l’imposizione di Roma, un regno frazionato tra i fratelli Archelao e Filippo. Di quest’ultimo accolse la moglie come compagna di vita. Una scelta che attirò la monizione di Giovanni Battista.
Benché israelita per nascita, visse, come anche il padre, da pagano nel cuore: schiavo dei suoi vizi, delle sue ambizioni e soprattutto della sua inettitudine che lo rese incapace di governare persino tra le sue mura domestiche.
La figura di questo personaggio è quanto mai interessante riguardo il tema di questo articolo e quello del brano evangelico odierno, perché ci offre un’ulteriore prospettiva attraverso la quale Gesù veniva visto, interpretato. Per Erode, e per il potere politico in generale, il rabbì di Nazareth è un problema di ordine pubblico, ma soprattutto un uomo che può mettere in pericolo la credibilità del suo trono: proprio come fece il Battista col suo rimprovero. L’uomo più potete di quel territorio, trema prima per un profeta vestito di pelli di cammello, e ora per un maestro di periferia che annuncia amore e misericordia (da qui, appunto, il nostro articolo intitolato “I miti non muoiono mai. La sconfitta di Erode“).
Conclusione
Cosa comprendiamo dal brano evangelico di oggi? Cosa il Signore attraverso la sua Parola, vuole comunicarci? Certamente, cogliamo l’invito a vivere una fede più matura, a fare in modo che la conoscenza che abbiamo di Cristo, non ci basti mai. Cogliamo l’invito ad un serio e continuo approfondimento della nostra fede, a riconoscere che quello che abbiamo ricevuto nel catechismo non può essere sufficiente e che pertanto siamo chiamati ad un approfondimento personale. Soprattutto siamo chiamati a domandarci circa il peso che Cristo ha nella nostra vita, il posto che gli diamo.
Solo a partire da questo lavoro interiore, da questa inquietudine di un’anima innamorata di Cristo, si può passare al successivo stadio, alla domanda che ne segue: “Chi sono io per te Signore Gesù?”, perché la fede nulla è senza quell’amore sponsale al quale la Trinità ci chiama (vedi articolo “Chi sono io per te?“).
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