Servitori non re. La comunità secondo Gesù.

XXV domenica del tempo ordinario – anno B

Sap 2,12.17-20; Sal 53, Gc 3,16-4,3, Mc 9,30-37

Come per domenica scorsa, in cui la liturgia della Parola ci invitava a puntare lo sguardo su chi ci era accanto, riconoscendolo come mediatore della presenza e della grazia di Dio (vedi nostro articolo “Negli occhi di chi riconosci Cristo?“), anche oggi siamo chiamati ad alimentare questo sguardo profondo, intimo e contemplativo, discernendo sulle doppiezze e le ipocrisie che possono realizzarsi tanto all’interno delle comunità dei credenti, come nella nostra stessa vita.

Annunci

I lettura

[Dissero gli empi:]
«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo
e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.
Vediamo se le sue parole sono vere,
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza
e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

Chi sono gli empi di cui parla il libro della Sapienza? In cosa consiste la loro malvagità? A ben vedere il modo di vivere di questa gente che nel brano odierno vogliono uccidere il giusto, non è quello propriamente dei criminali. La loro empietà è più subdola (e per questo molto attuale nella nostra società), è di tipo ideologico. Essi sono empi perché hanno dimenticato Dio, e si sono autoconvinti che non c’è altro che questa breve vita e per questo è bene godersela in ogni modo. Si apre, infatti, con queste loro affermazioni, il secondo capitolo del libro:

Dicono fra loro sragionando:
“La nostra vita è breve e triste;
non c’è rimedio quando l’uomo muore,
e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti.
Siamo nati per caso
e dopo saremo come se non fossimo stati:
è un fumo il soffio delle nostre narici,
il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore,
spenta la quale, il corpo diventerà cenere
e lo spirito svanirà come aria sottile.
Il nostro nome cadrà, con il tempo, nell’oblio
e nessuno ricorderà le nostre opere.
La nostra vita passerà come traccia di nuvola,
si dissolverà come nebbia
messa in fuga dai raggi del sole
e abbattuta dal suo calore.
Passaggio di un’ombra è infatti la nostra esistenza
e non c’è ritorno quando viene la nostra fine,
poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro.
Venite dunque e godiamo dei beni presenti,
gustiamo delle creature come nel tempo della giovinezza!
Saziamoci di vino pregiato e di profumi,
non ci sfugga alcun fiore di primavera,
coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano;
nessuno di noi sia escluso dalle nostre dissolutezze.
Lasciamo dappertutto i segni del nostro piacere,
perché questo ci spetta, questa è la nostra parte (Sap 2,1-9)
.

Leggendo questi versetti non possiamo non vedere il riflesso di molti uomini della nostra società: ripiegati su se stessi, incapaci di relazioni vere (perché l’altro è un oggetto in funzione dei propri egoismi), chiusi alla possibilità di Dio e della salvezza che loro offre. Uomini che solo apparentemente non fanno nulla di male, se non quando si incontrano con chi invece non ha svenduto i propri valori, non ha allontana Dio dalla propria esistenza. Questo è il giusto nella Bibbia! Un uomo che non passa inosservato perché vive e pensa in modo differente, e per questo motivo diventa causa di persecuzione, perché con l’esempio della sua vita retta svela la loro pochezza ed ipocrisia.
Le parole con le quale gli empi vogliono eliminare il giusto, poi, non sono molto diverse da quelle degli aguzzini di Gesù in croce. Leggiamo:

Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà

(Sap 2,20)

Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!”.  Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo. Gli altri dicevano: “Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!” (Mt 27,41-44.49)

Ai nostri tempi, come all’epoca dell’autore del libro della sapienza, gli uomini che vivono di ideologie non sono meno crudeli e desiderosi di eliminare il giusto, foss’anche ledendo la sua dignità, emarginandolo, etichettandolo come bigotto (nel migliore dei modi). E non mancano poi fenomeni di bullismo o cristianofobia.
Come comportarsi in queste circostanze? Di certo il mescolarsi al pensiero comune, non è mai la soluzione, tuttavia il profeta Isaia ci offre uno spunto di riflessione, quando parla del Servo sofferente:

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole? (Is 50,5-9).  

Qual è dunque l’opportunità che un giusto deve cogliere? Il sapere, innanzitutto di non essere solo e di aver scelto come alleato il più potente e premuroso di tutti, il Signore, e poi che un cristiano non subisce passivamente la persecuzione, ma la affronta vittoriosamente, sconfiggendo l’odio con l’amore, e soffrendo anche per coloro che gli sono causa di sofferenza (per un ulteriore approfondimento rimandiamo al nostro articolo: Negli occhi di chi riconosci Cristo?).

Annunci

Salmo

Dio, per il tuo nome salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.

Poiché stranieri contro di me sono insorti
e prepotenti insidiano la mia vita;
non pongono Dio davanti ai loro occhi.

Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore sostiene la mia vita.
Ti offrirò un sacrificio spontaneo,
loderò il tuo nome, Signore, perché è buono.

Il Salmo proclamato, ci offre una conferma a quanto poco prima affermato. In questo caso troviamo il giusto perseguitato che non solo non si omologa ai costumi degli empi, ma nemmeno si chiude in se stesso. Infatti, lo vediamo supplice in preghiera, che invoca l’intervento del suo Signore al quale vuole rimanere fedele.

Nel cuore del salmista in preghiera
Mentre la preghiera viene espressa dall’orante sofferente, emerge come una sorta di dinamismo interiore nell’uomo perseguitato. Infatti nei primi quattro versetti emerge la richiesta di ascolto a Dio, a motivo della sua sofferenza. Nei successivi tre, motiva il senso della sua preghiera: gli empi lo perseguitano a motivo della sua fede e dei suoi valori ai quali non vuole rinunciare. Nella prima parte dell’ultima sezione (i primi due versetti), ecco l’intervento di Dio, tanto repentino che nemmeno permette al Salmista di terminare la preghiera. Egli trasformerà, infatti, quella che inizialmente era una supplica, in preghiera di lode e di benedizione.

L’attualità del modus operandi divino
È quello che accade anche al popolo di Israele: in più circostanze Dio si rivelerà solo apparentemente assente, ma il cui pronto intervento diventa immediato di fronte alle sue necessità. Egli, che soprassiede il peccato degli israeliti, muta la loro ribellione in gratitudine e lode (vedi nostro articolo “Cos’è che fonda la tua fede?“).
Ancora oggi il Signore si rivela così nella nostra vita, nella maniera più discreta ed efficiente, motivato se non altro da quella ardente passione verso di noi che lo portò anche alla morte di croce del Figlio, pur di redimerci.

Annunci

Vangelo

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnào. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Contesto
Nel brano evangelico della scorsa domenica, commentando l’ottavo capitolo dell’evangelista Marco, abbiamo avuto modo di riflettere sul primo annuncio della passione da parte di Gesù. Una realtà che niente e nessuno avrebbe potuto fermare, neanche Pietro che con le sue premure vuole preservare la vita del Maestro (vedi articolo “Negli occhi di chi riconosci Cristo?“).
Questa domenica, la liturgia della Parola, ci mostra già un Gesù incamminato verso Gerusalemme. Attraversando la Galilea, ripete ai discepoli quello che dovrà vivere una volta arrivato alla città santa.

La corsa per i primi posti
Qual grande narratore che è, l’evangelista Marco descrive una scena quasi surreale, e purtroppo quanto mai attuale ai nostri giorni e negli ambienti parrocchiali ed ecclesiastici. Se da un lato Gesù apre il suo cuore rivelando che a Gerusalemme incontrerà attriti, incomprensioni, persecuzione e morte, dall’altro lato, per tutta risposta, i discepoli si accapigliano per chi riceverà il posto d’onore una volta che Gesù avrà instaurato il suo Regno.
Cosa c’è dietro a questo loro atteggiamento ambizioso? In primo luogo c’è in gioco l’idea che gli israeliti avevano del Messia: un re-condottiero che con il suo esercito avrebbe liberto Israele dall’oppressione romana, rendendolo di nuovo il fiorente paese che era al tempo del re Davide. Il secondo elemento, che motiva l’atteggiamento dei discepoli, è quello che Gesù aveva detto poco prima. Leggiamo:

Diceva loro: “In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza” (Mc 9,1).

È interessante che tra questa affermazione di Gesù e la loro disputa sul primato, sono successe tante cose: la trasfigurazione sul monte Tabor (Mc 9,2-10), l’insegnamento circa la sua persona in relazione al profeta Elia (Mc 9,11-13), la guarigione di un ragazzo posseduto da uno spirito sordo e muto (Mc 9,14-27) e la motivazione per cui i discepoli non sono riusciti a esorcizzarlo senza l’intervento di Gesù (Mc 9,28-29).
Dall’affermazione di Gesù circa il regno di Dio, è passato del tempo e sono accadete cose davvero importanti per i discepoli. Nonostante questo, sembra che fino a quel momento essi non abbiano pensato ad altro che a chi fosse il più importante tra loro.

Gesù, il buon Maestro
I discepoli manifestano una certa mancanza di sensibilità nei confronti di Gesù, della passione che ha preannunciato e anche di fronte ai suoi insegnamenti e gesti. Eppure Gesù si comporta nella maniera più paziente possibile, rivelandosi, per questo, davvero un Maestro che anziché criticare la cocciutaggine dei suoi discepoli, li aiuta nel cammino della comprensione. I suoi gesti, poi, rivelano la grande tenerezza e premura che nutre per loro. Vediamoli:

Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

Gesù non corregge pubblicamente in discepoli, evitando la possibilità di una umiliazione. Aspetta che tutti siano in casa, in un luogo discreto, dove tutti possono respirare un’aria di intimità ed essere liberi di esprimersi senza paura.
Lui, che non raramente ha manifestato la capacità di leggere i cuori, ben sapeva quali erano i progetti ambiziosi degli uomini che vivevano con lui, ma chiede loro di esprimerli. Marco narra che essi tacciono, sembra che non abbiano più il coraggio e la spavalderia di dire quello che pensano, probabilmente cominciano a rendersi consapevoli che i loro desideri non erano retti.
Generalmente, poi, quando i discepoli tacciono è Pietro che prende la parola, impetuoso com’è, ma qui anche lui non osa proferire una sola parola.
Il loro, è un silenzio colpevole, come quando Gesù chiese loro chi credevano egli fosse. Colpevole perché, in quell’occasione, essi si erano affidati unicamente al pettegolezzo per conoscere Gesù, a quello che gli altri dicevano.
A motivo, poi, proprio della tenerezza del Maestro nei confronti dei suoi discepoli, egli non si arrende di fronte al loro silenzio, e spiega in cosa debba consistere tutta la loro ambizione: nel servire e non nell’ostentare potere, prendendo come modello lui, il Figlio del Dio Altissimo, che è venuto per servire l’umanità con la sua vita, morte e risurrezione.

Noi come i discepoli
L’atteggiamento dei discepoli, è quanto mai attuale, lo ripetiamo. Non raramente anche negli ambienti ecclesiastici e parrocchiali, chi dovrebbe donare un servizio gratuito ed oblativo, finisce per farlo con secondi fini di ambizione, o addirittura, arrogandosi diritti di superiorità rispetto agli altri. Per questo le parole di Gesù nei confronti dei discepoli, sono valide anche per noi. Lui ascolta i nostri silenzi, le nostre chiusure nei confronti degli altri, e ci invita a cambiare prospettiva, a spostare lo sguardo, cioè, dal nostro ego a quello degli altri.

La proposta di Gesù
Concludiamo l’approfondimento al brano evangelico di questa domenica, con la proposta che Gesù fa ai discepoli, come antidoto ad ogni ambizione e desiderio di supremazia sull’altro:

E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Perché Gesù compie questo gesto? Qual è il senso delle sue parole? A ben vedere avrebbe potuto fermarsi all’invito di farsi servi gli uni degli altri. Allora, cosa vuole significare l’abbraccio del bambino e l’invito all’accoglienza?
Nel nostro precedente articolo, meditando sul brano in cui Gesù è invitato a casa del fariseo Simone (Accogli l’ospite divino), abbiamo avuto di approfondire l’importanza e la sacralità dell’ospitalità per la religiosità ebraica e cristiana, vedendo in Abramo il modello a cui ispirarsi (egli infatti accolse niente di meno che tre angeli, personificazione biblica di Dio nell’Antico Testamento). In quell’occasione, abbiamo potuto affermare:

Qui si tratta di realizzare atti concreti, visibili, sensorialmente percepibili, verso il prossimo. E il primo gesto è proprio l’accoglienza, l’ospitalità, la condivisione dell’aria che si respira all’interno delle proprie mura domestiche. Solo un amore tale è degno della misericordia di Dio, della sua salvezza, della sua Riconciliazione. Se vuoi avere una scorciatoia facile per giungere al paradiso senza passare dal martirio, è attraverso l’amore, concreto e fattivo, che devi andare.

Accogli l’ospite divino

Poiché Gesù era un uomo molto concreto, mostra ai suoi discepoli cosa significa farsi servi l’uno dell’altro e lo fa attraverso un bambino il quale, in quanto tale, non aveva nessun peso decisionale all’interno nemmeno della sua famiglia.
Per Gesù, dunque, il primato nel suo regno consiste proprio nel servire l’ultimo, il diseredato, persino le persone che, per la cultura dell’epoca, erano privati dei diritti di una voce in capitolo non solo nella società e nella comunità, ma persino all’interno delle cerchie più strette della famiglia.
In che modo servire il prossimo? Con tenerezza e premura, come quella con la quale ti rivolgeresti appunto ad un bambino.

Conclusione
Oggi siamo chiamati a riconoscere che la vera gioia della vita comunitaria, quella che siamo chiamati a vivere soprattutto negli ambienti ecclesiali, è quella di essere insieme, non nel sentirsi migliore di qualcuno!

In questo si gioca la qualità del nostro servizio nei confronti della Chiesa e agli occhi di Dio: nella nostra capacità di decentrarci, nel far spazio agli altri. Allora il nostro sarà un vero servizio e non una sorta di aristocrazia spirituale propria dei farisei e che Gesù con tanto orrore a evitato.

Non tralasciare la tua formazione biblica, spirituale e cristiana. C’è tanto a cui attingere. Il nostro libro è ora disponibile anche su Amazon. Puoi riceverlo oggi stesso cliccando qui.
Il prezzo è davvero irrisorio, il minimo secondo gli standard di Amazon, il nostro interesse non è il denaro, ma condividere la gioia di Dio, la gioia che è Dio!

Hai domande riguardo questo articolo?
Qualcosa di poco chiaro per cui vorresti maggiori delucidazioni?
Desideri approfondire qualche argomento biblico?
Scrivi alla nostra email redazione@gioiacondivisa.com

Annunci

Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

9 pensieri riguardo “Servitori non re. La comunità secondo Gesù.

Rispondi

Effettua il login con uno di questi metodi per inviare il tuo commento:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: