Esaltazione della Santa Croce – festa
Nm 21, 4b-9; Sal 77; Fil 2, 6-11; Gv 3, 13-17
Alle origini della festa
La Chiesa cattolica, e con essa molte Chiese protestanti e quella ortodossa, celebrano la festività liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre, anniversario del ritrovamento della Croce da parte di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, nella metà del IV secolo e della consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme (nel 335). La stessa santa, poi, avrebbe portato una parte della Croce a Roma, in quella che diventerà la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, e una parte rimase a Gerusalemme.
Nei secoli questa festività incluse anche la commemorazione del recupero da parte dell’imperatore Eraclio di un frammento della Vera Croce dalle mani dei Persiani nel 628. A ricordo di questa vittoria, dal 1963 la festa assunse il titolo di Trionfo della Croce.
I lettura
In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero».
Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì.
Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo.
Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.
La gravità della ribellione degli israeliti
I quarant’anni di pellegrinaggio nel deserto non furono facili per Israele, ma ancor meno lo fu per il suo condottiero Mosè che si trovava a guidare un popolo ribelle e ingrato nei riguardi di quel Dio che li aveva tirati fuori con mirabili prodigi dalla schiavitù in Egitto.
Nel brano che la liturgia ci offre vediamo gli israeliti mormorare nei confronti di Dio per la stanchezza del viaggio, come se YHWH prontamente non fosse intervenuto nella sua provvidenza e nella sua grande tenerezza per dar loro tutto ciò di cui abbisognavano.
Fu quello che accadde, per esempio, quando appena iniziato il viaggio cominciarono a desiderare di nuovo di essere in Egitto dove, benché schiavizzati e maltrattati, potevano riempire abbondantemente il loro stomaco. In quel contesto il Signore non si fece attendere, benché l’ingratitudine sia lo strumento migliore per rompere qualsiasi amicizia, finanche quella con Dio, YHWH si rivelò a Mosè concedendo al popolo cibo in abbondanza: manna e quaglie (vedi nostro articolo “Cos’è che fonda la tua fede?“).
La gravità della ribellione degli israeliti nel brano odierno, risiede non solo nel disprezzare il “cibo leggero”, ma nel disprezzare quello che è un dono di Dio, il frutto del suo amore, della sua immensa tenerezza.
Conseguenze
Cosa succede all’uomo che disprezza Dio, che decide di mandare all’aria l’amicizia con lui, di fare a meno del suo amore e della sua provvidenza? Venire morsi da serpenti mortiferi. Nella Bibbia, infatti, non raramente il serpente è simbolo di morte, di totale e definitiva chiusura con Dio. Vivere tra i serpenti e come un serpente, significa vivere da nemico di Dio.
Ogni scelta nella nostra vita comporta conseguenze, e queste diventano tanto più aspre, quanto più decidiamo di fronteggiare colui che ci era amico, o una persona particolarmente amata, semplicemente perché senza il suo sostegno tutto diventa molto più complicato e difficile. Israele a sue spese deve imparare cosa significa fare a meno di Dio.
Il rimedio
Ciò che da questo brano impariamo è che Dio ci dà costantemente nuove chance, seconde opportunità per ricominciare daccapo a fare sul serio con lui. La rivelazione di un Dio pronto a ricominciare con l’uomo infedele, fu di particolare importanza per il successo della predicazione di Gesù che presentava il volto di un Padre accogliente e misericordioso (vedi nostri articoli: “L’identikit del vero discepolo“, “È possibile rendere Cristo fiero di noi?“, “Discepoli entusiasti e maldestri come Pietro“).
Il popolo dovrà comprendere una dura lezione a sue spese, per questo chiederà l’intercessione di Mosè per tornare di nuovo sotto l’ala protettrice del suo Signore.
È interessante che ogni volta abbia bisogno di qualcosa, YHWH non si faccia attendere, ma prontamente si adopera, senza recriminare né giudicare. Perdona e all’istante ristabilisce l’alleanza col popolo ribelle.
Cosa devono fare gli israeliti per non morire avvelenati dai serpenti? Guardarli dritto negli occhi, guardando bene in viso il volto di coloro dei quali volevano farsi alleati, comprendere bene chi è il loro vero nemico. Con questo semplice atto, essi potranno rendersi immuni dalle velenose bestie striscianti. Il guardare in faccia il serpente (benché di bronzo), che da simbolo di morte diventa possibilità di vita, ricorda le parole di Gesù:
Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12,32).
A riguardo, nel nostro precedente articolo, intitolato “Vogliamo vedere Gesù“, avemmo modo di rivelare come proprio nella misericordia divina e nella sua capacità trasformante della morte in vita, deve risiedere la fede-fiducia del credente in lui :
Gesù parla della sua croce e la descrive non un patibolo di morte, ma un trono dove regna e si innalza glorioso. Quello che era uno strumento di morte e di maledizione, diviene motivo di attrazione per tanti credenti. Attrazione non per la morte infamante, né per l’umiliazione, il dolore e l’agonia, ma attrazione per il supremo gesto d’amore per un’umanità peccatrice e immeritevole. Da questa presa di coscienza, da questo incontro, da questo sentirsi affascinati, attratti da Cristo, sorge la fede del credente, prima ancora che come adesione a dogmi o verità teologiche.
Vogliamo vedere Gesù
Vangelo
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Nel Vangelo di Giovanni, Nicodemo ricopre un ruolo fondamentale: è il prototipo del discepolo in cammino, che passo dopo passo dall’incredulità arriva alla fede. Non a caso egli è presente in tutti gli eventi cruciali della vita del Messia. Egli infatti, insieme a Giuseppe d’Arimatea, prenderanno il corpo esanime di Cristo e, untolo con aromi e avvolto in fasce, daranno gli daranno una degna sepoltura (Cfr. Gv 19,38-39).
A lui, dunque, Gesù anticipa il mistero della passione che dovrà vivere, invitandolo a guardare con la prospettiva giusta: quella della vita e non della morte. Rivela così la sua morte e risurrezione sono finalizzati alla vita di tutta l’umanità, perché Dio non è mosso che dall’Amore che costituisce la sua identità.
Conclusione
Cosa celebriamo oggi? Per quale motivo la Chiesa è in festa? Non di certo per il supplizio cruento di uno strumento di tortura, ma perché Dio ha reso il legno della croce in trono di salvezza sul quale regna il Figlio. Da lì, egli attira a sé l’umanità alla vita eterna.
Oggi, esaltando la Croce, in realtà esaltiamo l’Amore di Dio che arriva fin lì dove noi non oseremmo. Essa ci rivela fino a che punto Dio è disposto a fare sul serio con te, quanto a te ci tenga, fino a morire come maledetto su di essa.
E come se non fosse sufficiente, questa offerta della sua vita, Cristo continua a ripeterla ogni giorno sugli altari di tutte le Chiese, in maniera incruenta.
Oggi, dunque, siamo chiamati anche noi a questo cambio di prospettiva con le nostre croci, a glorificarle nell’amore, nella donazione al prossimo. Dio, dopotutto, non chiede altro: amarlo e riconoscerlo nel tuo prossimo!

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