In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti» (Mt 24,42-51).
CONTESTO
Il brano del vangelo di oggi, si situa all’interno di quegli insegnamenti di Gesù, gli ultimi prima della passione, che sono chiamati escatologici. Essi, infatti, rimandano alla fine dei tempi, hanno un orizzonte teso all’eternità, lì dove è la vita vera che siamo chiamati a vivere.
Gesù ormai è giunto a Gerusalemme, ultima tappa del suo insegnamento itinerante, e appena uscito dal tempio i suoi discepoli lo invitano ad osservare la bellezza della struttura del tempio. Di fronte a questo, invita i discepoli a saper andare oltre la bellezza effimera di questa terra e saper guardare quella eterna alla quale sono chiamati.
Benché il brano non segui a livello narrativo quello di ieri in cui Gesù accusava di ipocrisia i suoi oppositori (vedi nostro articolo “La via della felicità“, tuttavia a livello tematico la liturgia ci permette di riagganciarci ad esso tramite appunto la seconda parte del brano evangelico odierno, dove Gesù paragona due tipi di servi di un padrone escatologico.
COME UN LADRO GIUNGE LA MORTE
Ci troviamo nella prima parte del Vangelo odierno, dove Gesù invita a una continua vigilanza intesa non come uno stato di continuo atterrimento, ma come attesa di qualcosa di bello atteso con ansia dall’uomo. Leggiamo:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
La vigilanza intesa da Gesù è quella della parabola delle dieci vergini in attesa dello sposo, colui che ha catturato il loro cuore, e che Gesù donerà ai suoi discepoli poco dopo questo insegnamento.
Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora (Mt 25,1-13).
La controcultura odierna al quale il cristiano d’oggi tende ad assuefarsi, ha fatto della morte conseguente all’invecchiamento e alla malattia, un tabù di cui non parlare, uno spauracchio da eliminare dalla coscienza e dalla vista. Paganizzando la vita, si è impoverita la morte dal suo valore teologico e cristiano, privandola della sua luminosità come passaggio da questa vita a quella vera, e rendendola un tunnel oscuro e spaventoso.
Il giornalista Marcello Marchesi, con sagacia in un suo libro affermava: «L’importante è che la morte ci trovi vivi». È una affermazione attuale, di un particolare profondità evangelica, in cui il farsi trovare vivi, indica un permanere in un’ attesa vigile, cosciente, partecipe, e non arrivi mentre siamo già morti dentro, come quei farisei che Gesù ha chiamato “sepolcri imbiancati”.
I DUE SERVI
La seconda parte dell’insegnamento di Gesù è strutturato in maniera parabolica e presenta due tipi di servi in attesa di un padrone. Il riferimento è chiaramente escatologico: il lettore è chiamato a identificarsi in uno dei due servi in attesa dell’arrivo finale di Dio che verrà come sposo amorevole per il servo fedele e come giudice per l’altro. Leggiamo:
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti»
a. Il servo fedele
Il servo che meriterà il premio eterno, è colui che mantiene il patto col suo padrone, non tradisce la sua fiducia, ha fatto sua quella virtù della prudenza alla quale aveva invitato i discepoli all’inizio del suo ministero:
Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (Mt 10,16).
Commentando questo brano, nel nostro articolo dedicato al discepolato intitolato “Semplici sì, ma non bacchettoni!” avemmo modo di affermare:
Se da un lato la virtù della prudenza, permetterà al discepolo un giusto discernimento sulle sue scelte, incontri e parole da usare, tuttavia Gesù invita anche non non preoccuparsi sul come affrontare le difficoltà. Già nel commento del Vangelo di ieri, abbiamo avuto modo di affrontare il modo con il quale Cristo intende intervenire nella quotidianità dei discepoli in missione:
Semplici sì, ma non bacchettoni!,
vedi anche il nostro libro intitolato:
“Sui passi del Maestro: il discepolato secondo Gesù”
Il servo dunque è fidato perché non tradisce la fiducia accordatagli dal padrone, ed è prudente perché tutte le sue scelte, parole e azioni, sono ponderate da un serio discernimento. Benché a capo di un gruppo di domestici, si pone con loro come il loro servo, se ne prede cura e provvede al loro sostentamento.

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Colui che vive una vita nel servizio, nella cura e nell’amore del prossimo, sarà capace di godere della rivoluzione socio-spirituale del padrone al suo arrivo che lo eleverà al suo stesso stato sociale e lo arricchirà dei suoi stessi beni. Questo viene chiamato da Gesù “Beato”. Si tratta di un appellativo dal forte richiamo biblico e che rimanda a una gioia mistica, messianica e sempiterna che il giusto può sperimentare fin da questa vita (vedi articoli: Rallegrati piena di grazia, Felice tu tra le donne, L’anima mia gioisce nel Signore).
b. il servo iniquo
A conclusione della parabola ci troviamo di fronte a una situazione di grave infedeltà nei riguardi del padrone, dove quel servo che avrebbe dovuto prendersi cura delle persone loro affidate, anziché servirle abusa del suo potere per opprimerle. Egli vive nella presunzione che il ritardo del padrone implichi un suo non arrivare più.
È un atteggiamento comune di tanti cristiani, accecati dalla superbia, che vivono questa vita come se non ce ne fosse un’altra, dove il “qui ed ora” diventa per la loro ottusità il “per sempre”: hanno svenduto l’eternità alla quale sono chiamati per la mediocrità di una vita effimera e votata alla fragilità e a una inesorabile fine.
A questo servo spetta la sorte degli ipocriti, di quelle persone per cui Gesù provava un non velato disprezzo e di cui abbiamo avuto modo di scrivere nel precedente:
L’atteggiamento dell’ipocrita non è semplicemente quello del mentire, ma dell’essere la menzogna. Per questo l’ipocrita anziché assimilarsi a Cristo, si fa più simile a Satana.
La via della felicità
Anche noi come questo servo ci comportiamo da stolti e malvagi quando anziché prenderci cura delle nostre relazioni, delle persone a noi affidate e per le quali abbiamo una responsabilità, le opprimiamo.
Oggi, dunque, questa parabola impone alle nostre coscienza una severa presa di coscienza, sul come viviamo questa vita: se in essa c’è un’apertura all’eternità, se Dio è un amico e uno sposo che sia attende con impazienza e gioia, se le relazioni che intessiamo sono fondate nella carità e, infine, se le responsabilità le viviamo nell’ottica del servizio.

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