Se mi ami, perché temi?

Martedì della XVIII settimana del t. ordinario

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». Compiuta la traversata, approdarono a Gennèsaret. E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati e lo pregavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccarono furono guariti (Mt 14,22-33).  

Contesto
Il brano evangelico odierno si pone a continuazione a quello di ieri, in cui Gesù coglie l’eredità del Battista di cui ha saputo la sua morte, si reco nel deserto per prepararsi spiritualmente e lì viene raggiunto dalle folle. Mosso dalla compassione per loro, moltiplica i cinque pani e i due pesci (per un approfondimento leggere “Solo i vigliacchi sono violenti” e “Nessuno può fermare i figli di Dio“) .

L’ordine assurdo al quale obbedire
Il brano si apre con una annotazione quanto mai evocativa:

Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca

Perché Gesù deve costringere i discepoli a salire sulla barca? Perché questi non vogliono salirci? Per comprendere quello che sta accadendo, dobbiamo fare un passo indietro e ricordare quanto è stato letto nel Vangelo di ieri:

Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare» (Mt 14,15).

I discepoli, o meglio una parte importante di essi, erano pescatori di professione, e ben sapevano cosa accadeva al lago di Tiberiade durante la notte, frequentemente, si abbattevano delle tempeste impetuose rendendo pericolosa la navigazione.
Gli ebrei, poi, si deve tener conto, che non furono mai dei grandi marinai, le loro imbarcazioni non erano adeguate se non alla pesca e a una navigazione breve e che seguisse a breve distanza le coste. Per questa ragione nel corso della storia di Israele, il mare si era arricchito di significati teologici: come simbolo di morte e peccato. Così terrorizzati da esso che lo si pensava abitato da mostri giganteschi come il Leviatan che assume poi connotazioni diaboliche:

Ecco il mare spazioso e vasto:
là rettili e pesci senza numero,
animali piccoli e grandi;
lo solcano le navi
e il Leviatàn che tu hai plasmato
per giocare con lui (Sal 104,25-26)

In quel giorno il Signore punirà
con la spada dura, grande e forte,
il Leviatàn, serpente guizzante,
il Leviatàn, serpente tortuoso,
e ucciderà il drago che sta nel mare (Is 27,1)

E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo (Ap 13,2).

A fronte di questa importante ricchezza teologica e simbolica, poiché appunto le tenebre erano calate su Israele, si può comprendere appieno la paura dei discepoli e l’ordine perentorio di Gesù che deve costringerli a salire. Il motivo di questo ordine, lo si comprenderà solo più avanti come un’occasione di crescita personale e spirituale che Gesù offrirà ai discepoli.

L’obbedienza dei discepoli
Se da un lato i discepoli si rivelano reticenti a salire, sulla barca, tuttavia alla fine essi in silenzio obbediscono. Il loro atteggiamento non può non farci riflettere.
Molte cose nella nostra vita potremo non capirle, talvolta la volontà di Dio potrà sembrarci oscura, incomprensibile e persino assurda, irragionevole. Dai discepoli, oggi, siamo invitati a crescere in un’obbedienza fiduciosa, non irrazionale, ma comprensibile al momento opportuno.

Durante la notte
Quello che accade una volta che i discepoli prendono il largo, è molto evocativo: da un lato, infatti, l’evangelista annota chi se ne sta tranquillo a pregare e dall’altra chi sta vivendo il suo peggiore incubo:

Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario.

Gesù che già inizialmente si era recato nel luogo deserto per pregare, non aveva potuto farlo a motivo della folla che lo aveva cercato (“Nessuno può fermare i figli di Dio“). Questo ha molto da dirci per la nostra vita spirituale: Gesù non tralascia la preghiera, il suo incontro col Padre, per un’emergenza pastorale (insegnare alle folle e moltiplicare i pani e i pesci per loro): egli ci invita a dare a tutto il giusto peso e a non perderci in un attivismo fine a se stesso (gratificante ed efficiente), ma a ricordare cosa sia davvero importante, quali siano le priorità del cristiano. Le Costituzioni dei frati Carmelitani, rivela che l’aspetto contemplativo del Carmelitano costituisce la sua prima, irrinunciabile, attività pastorale:

Noi Carmelitani dobbiamo realizzare la nostra missione in mezzo al popolo prima di tutto con la ricchezza della nostra vita contemplativa.

Ordine dei Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, Costituzioni, n. 92

Perché Gesù prega mentre i discepoli vivono una situazione per loro ad alto pericolo? Come abbiamo già avuto modo di dire (“Nessuno può fermare i figli di Dio“), ogni volta che Gesù si apparta in un luogo solitario per pregare non lo fa per fuggire da una situazione o dimenticarsi di chi ha bisogno di lui, ma semplicemente per prepararsi a qualcosa di molto grande. E in effetti è quello che sta per accadere.

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Quando tutto è oscuro
Mentre i discepoli si disperano e lottano contro la tempesta e contro le proprie più intime paure, mentre ormai le tenebre sono più oscure che mai (secondo la stessa annotazione di Matteo) ecco che accade qualcosa di straordinario: Gesù li raggiunge camminando sulle acque, tanto bello da sembrare irreale.

Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».

L’annotazione temporale dell’evangelista è tutt’altro che casuale. La notte infatti ha una grande ricchezza biblica-simbolica: è il momento dei figli delle tenebre, del peccato e della morte, quando emergono tutti i peggiori incubi e gli spauracchi degli uomini prendono forma (per un maggiore approfondimento rimandiamo al nostro articolo “Il tradimento di Giuda“).
Gesù cammina sulle acque, vincitore sulla morte e sul peccato, li calpesta e invita tanto i discepoli, come ognuno di noi, a non temere mai, neanche di notte, neanche di fronte alle tempeste della vita. Un cristiano pavido e timoroso, non potrà mai essere un buon cristiano. Non è per questo che il Signore ci ha reso suoi discepoli attraverso il Battesimo. al contrario, le qualità del discepolo devono essere altre: coraggio, entusiasmo, gioia (acquista il nostro libro su Amazon per avere una visione più ampia di come Gesù intenda il discepolato)!

Il coraggio di Simone
Tra tutti gli Apostoli, colui che per primo coglie la sfida di Gesù, il suo invito a non temere, come sempre è Pietro. Egli è sempre mosso da grandi slanci interiori, ma poi si ritrova a fare i conti con le proprie fragilità, ma poi è proprio questo che lo rende grande (Cfr. “Cosa ha reso Pietro il più grande tra gli apostoli?“).

Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

È bastato che per un attimo Pietro distogliesse lo sguardo da Gesù per cominciare ad affondare, a lasciarsi inghiottire da quel mare che simboleggia peccato e morte.
Questo è molto attuale per la nostra vita spirituale e cristiana: solo nella misura in cui manterremo fisso lo sguardo su Cristo potremo essere vincitori sulle nostre paure e camminare nella via della grazia e della vita. Pietro affonda, ha un cedimento personale, ma non viene lasciato a se stesso, in balia dei suoi peccati. Al contrario, gli basta chiedere l’aiuto del Maestro che questo non tarda a riafferrarlo e a tirarlo su. È quello che accade ogni volta che ci scopriamo peccatori, siamo chiamati a riconoscere che senza la misericordia di cristo, senza una Riconciliazione sacramentale, non faremo che affondare sempre di più nei nostri peccati, e abbiamo bisogno che grazie all’assoluzione la mano del Signore torni ad afferrarci e a farci riaffiorare verso ciò che è bello e luminoso.

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Con Gesù vicino tutte le tempeste si placano
Pietro ritorna ad affiorare alle acque non per la sua fede, al contrario viene biasimato proprio per questo da Gesù, ma per la misericordia del suo Maestro. Tuttavia una volta che Gesù sale sull’imbarcazione dei discepoli, la tempesta si placa ed essi fanno la loro prima professione di fede:

Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Anche noi come i discepoli oggi siamo chiamati a comprendere che Dio viene alla nostra vita non per rovinarcela, ma per riempirla di bellezza. A scatenare la tempesta sul lago di Tiberiade non fu Gesù, al contrario lui la placò. Allo stesso modo dobbiamo riconoscere che nella nostra vita il Signore è la bella notizia, il meglio che possa capitarci, che prove, malattie e morte non vengono da lui, ma al contrario lui può rimettere tutto in ordine se tu lo vuoi, può aiutarti a fronteggiare la tempeste e a calpestare il male con i tuoi piedi, se gliene dai l’occasione.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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