Nessuno può fermare i figli di Dio

Lunedì della XVIII settimana del t. ordinario

In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista ], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini (Mt 14,13-21).

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Contesto
Lo abbiamo già detto altrove: “Nessuno può fermare il sogno di Dio, e questo torna a ripetersi nella liturgia della Parola di oggi. Per comprendere appieno il senso di questo brano evangelico e di questa prima provocazione che ci viene proposta, dobbiamo comprendere il contesto narrativo nel quale si situa.
Il brano è una prosecuzione di quello letto lo scorso sabato e il cui approfondimento abbiamo voluto intitolarlo “Solo i vigliacchi sono violenti“. Protagonista assoluto del racconto era il tetrarca Erode, un uomo tanto violento quanto pavido e succube delle situazioni e delle persone attorno a lui. Figlio di un genitore ancor più vigliacco che per paura di perdere la poltrona del suo trono ordinò l’esecuzione di bambini innocenti al di sotto dei due anni. I due regnanti, uniti non solo dal nome e da un legame di sangue, tremano e nella loro pusillanimità usano violenza. Leggiamo:

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Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi (Mt 2,16)

In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: “Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!”.
Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: “Non ti è lecito tenerla con te!”. Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta.
Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: “Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista”. Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre. (Mt 14,1-11)

Si dice che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, è così è per chiunque intenda mettere a tacere il giusto con la violenza: ne sorge sempre uno più grande. In questo caso si tratta di Gesù, ma questo vale anche per la nostra società: i martiri della mafia hanno fatto sorgere nella coscienza popolare un sempre più vivo desiderio di giustizia e legalità che segna fin da subito la fine dell’impero del terrore, della violenza e soprattutto di una vigliacca ignoranza.
L’evangelista Marco fa iniziare la missione di Gesù subito dopo l’incarcerazione e morte del Battista, come ad indicare che nessuno può fermare non solo Dio, ma nemmeno i suoi figli. Lo compresero bene tanti martiri della violenza e della mafia: da Falcone a Borsellino, dal Generale Dalla Chiesa al beato Rosario Livatino, da don Pino Puglisi a don Giuseppe Diana.

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Gesù nel deserto
Non appena viene a sapere della morte del suo parente, profeta e predecessore, Gesù si ritira nel deserto. È chiaro che non si tratti di una fuga, al contrario, ogni volta che Gesù si ritira in solitudine è per pregare e perché pregando si prepara a qualcosa di più grande.
È nel deserto che, dopo il Battesimo nel Giordano, si è preparato per il suo ministero messianico, ed è adesso nel deserto che si prepara a raccogliere l’eredità del Battista e nel sublimarla, perfezionarla. Se da un lato qualcuno cerca di mettere a tacere un profeta scomodo, ecco che ne sta sorgendo uno ancora più grande.

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Sfama!
Non è la prima volta che ci proviene questa provocazione da parte di Gesù. Lo abbiamo visto due domeniche fa, meditando il vangelo di Giovanni (leggi l’articolo “Il valore del tuo poco“). Meditando lo stesso brano, però riportato dall’evangelista Matteo, non possiamo non cogliere di nuovo questa provocazione di Gesù così importante per la nostra vita cristiana, soprattutto in un’epoca e in una controcultura che ci spinge all’individualismo, all’egocentrismo assolutizzato a valore inalienabile.
Gesù invita i suoi discepoli, e tutti noi oggi, a decentrarci, a fare spazio all’altro, prenderci cura di lui. Tutti noi abbiamo qualcosa da dare al prossimo, qualcosa di così importante da poterlo sfamare in qualche modo, di permettergli sussistenza, o per lo meno una vita migliore, più piena. Oggi più che mai si rileva la fame di tanti fratelli, di relazioni, amicizie autentiche, di ascolto e consolazione. Assuefatti ad un mondo iperconnesso, ci siamo isolati da tutto e da tutti, condannandoci ad una infelicità senza precedenti.
Sfama, dunque. Cosa hai da dare al tuo prossimo? Cosa ti sta chiedendo oggi il mondo, la gente che ti circonda, la tua famiglia, comunità?
Gesù ha sfamato la moltitudine della folla con cinque pani e due pesci, e tu pensi davvero che non possa compiere miracoli col tuo poco che riesci a dare e a fare? Il Signore ci riempie di doni e grazie e tu davvero vuoi lasciarli sfiorire?
Oggi, allora, è il giorno propizio per far rifiorire il nostro entusiasmo, per tornare a credere che il Signore ci ama, ci riempie di benefici, ci invita a farci suoi imitatori nell’amore e soprattutto suoi collaboratori nell’opera salvifica della redenzione e della consolazione.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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