XVI domenica del tempo ordinario – anno B
Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34
La liturgia della Parola di questa domenica si pone a continuazione di quello della scorsa domenica in cui il messaggio profetico trovava degli ostacoli, delle inaccoglienze. Se nel Vangelo queste chiusure erano causate dal mondo laicale, nella prima lettura il problema era un sacerdote che cacciò dalla città di Betel il profeta Amos (per approfondire invitiamo a leggere il nostro precedente articolo “Nessuno può fermare il sogno di Dio“).
I lettura
Dice il Signore: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia».
È proprio a partire dalla controversia contro i pastori del popolo di Israele, emersa la scorsa settimana, che si situa il brano della liturgia della Parola di questa domenica.
Se Amasia, sacerdote di Betel aveva svenduto la sua vocazione e si era reso colpevole di non aver esortato il popolo alla conversione, anzi favorendone la perdizione, non meno colpevoli sono le guide religiose di Israele a cui Geremia si rivolge. Questi anziché guidare il popolo verso la vita eterna, li conducono per sentieri di morte.
Tuttavia di fronte a questa grave mancanza da parte di chi avrebbe dovuto fare propria la missione e gli interessi di Dio, facendosi prosecutori della sua opera salvifica nella storia e nel tessuto sociale della loro epoca, è il Signore stesso che interviene, colmando le loro lacune, facendo in modo che il gregge non venga disperso, non si perda.
L’immagine del gregge
Perché nella Bibbia, e nel linguaggio ecclesiale, quando si parla del popolo di Dio si usa il simbolo del gregge e della pecora? Non a pochi questo linguaggio potrebbe risultare fastidioso, quasi offensivo. Se da un lato è palese che la pecora non si tra gli animali più intelligenti, né tra i più belli e fieri, dall’altro rimanda a una qualità essenziale che deve richiamare l’atteggiamento dell’uomo con Dio.
Tra tutti gli animali, infatti, la pecora è l’unica che non può vivere allo stato brado: non esistono pecore selvagge. Esse per sussistere hanno bisogno di un pastore che le guidi verso i pascoli, perché non hanno la capacità di procacciarsi autonomamente del cibo. Una pecora senza il suo pastore è una pecora che se non muore per fame, muore perché è incapace di difendersi dai predatori. Tra tutti gli animali, dunque, questo è quello che vive in una sorta di totale dipendenza dal suo pastore: obbedendo ai suoi comandi, lasciandosi guidare da lui, può trovare sussistenza di cibo e acqua e sicurezza dai predatori. Insieme alla sua docilità, c’è un altra qualità della pecora che per il cristiano deve diventare un valore capace di identificarlo, di costituire il suo dna: la mitezza. Infatti Gesù manda i discepoli in missione proprio come pecore in mezzo ai lupi, ed egli stesso, quale incarnazione del servo sofferente profetizzato da Isaia, vive la mitezza dell’agnello che tutti siamo chiamati a imitare:
Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi (Mt 19,16).
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca (Is 53,7).
Salmo 22
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
Lì dove l’addetto alla cura spirituale del popolo viene a mancare e i fedeli corrono il rischio di camminare verso i sentieri della dannazione, lì interviene Dio che colma le lacune umane. È il senso di questo salmo in cui ci si affida completamente a Dio sapendo che avendo lui come guida nulla potrà mai mancarci anche nel momento della prova.
Tuttavia dietro questo Salmo si cela una provocazione. Se un discepolo di Cristo si perde, non sempre è colpa del pastore, a volte ci può essere il deliberato intento di seguire altre piste. Oggi siamo chiamati a domandarci chi sia il nostro pastore, chi detti il passo del nostro cammino. Non raramente il nostro pastore può essere la moda del momento, una ideologia, la carriera, la salute ad ogni costo o il benessere economico.
Se dico che il Signore è il mio pastore, poi devo vivere coerentemente con quello che dico… e devo sentirmi parte di un gregge. Dio non è il pastore di pecore singole, ma di un gregge. Oggi, dunque, ci viene offerta un’occasione propizia di comunionalità, di riconciliazione fraterna in famiglia come in chiesa. Che senso ha fare la comunione col corpo di Cristo e non essere in comunione tra noi? Che senso comunicarci sacramentalmente e non avere un animo riconciliato con Dio, non accostandoci alla confessione? Ci si prende solo in giro, diventiamo la caricatura di noi stessi.
Vangelo
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
In questo brano evangelico Gesù si comporta come quel Pastore di Israele tanto atteso. Dopo aver mandato di discepoli in missione, ora li raduna nell’ovile del suo abbraccio: ormai sicuri alla sua presenza e tesi verso il riposo dopo le fatiche dei giorni precedenti.
Senza Dio non c’è riposo
La nostra società consumistica ci costringe a credere che il riposo sia solo una perdita di tempo e che bisogna essere efficienti 24 ore sue 24, 7 giorni su 7. La domenica dal giorno del Signore (destinato a un riposo fisico e spirituale), è stata privata del suo contenuto non solo cristiano ma anche sociale ed è diventato il giorno dei massimi profitti per commercianti e centri commerciali. Lo scenario politico italiano nei mesi di aprile e maggio 2021 ha visto un grande dibattito politico, sulla possibilità di riapertura dei centri commerciali nei giorni festivi, giorni di massimo guadagno (giusto per un esempio, rimandiamo a un articolo pubblicato su Repubblica il 23 aprile 2021).
La mens iperproduttiva della società capitalistica imposta da una ideologia economico-finanziaria, sta producendo effetti deleteri per l’uomo contemporaneo (sempre più anestetizzato e incapace di un pensiero critico), aumentando il divario tra i ricchi e i poveri del pianeta. Basti pensare a Jeff Bezos, proprietario di Amazon, ha visto crescere i suoi profitti in questo ultimo anno (Androkons del 14 luglio 2021), mentre ai suoi dipendenti vengono vietati i più basilari diritti civili e umani:

Eliminando Dio abbiamo eliminato ogni guida sicura e ci siamo fatti guide di noi stessi: abbiamo lasciato a uomini ciechi e dal cuore indurito la possibilità di guidarci dove loro vogliono. Condotti non più con amore da un pastore amorevole, ci lasciamo maltrattare mentre lasciamo che ci conducano verso l’annientamento.
I complici siamo noi
Non possiamo di certo colpevolizzare i politici o le multinazionali. I colpevoli siamo anche noi cristiani consumatori che non solo non abbiamo voluto cogliere il grido della Chiesa che ci invitava ad opporci alle aperture domenicali (articolo di Famiglia cristiana del 7 novembre 2012), ma ci facciamo complici di un sistema di ingiustizia quando decidiamo di fare compere (anche le meno necessarie), proprio nei giorni festivi.
Il Dio del riposo
Al contrario, Dio non ci vuole efficienti, produttivi. Lui desidera che noi diveniamo mediatori della sua grazia attraverso la nostra piccolezza. Gesù accoglie i suoi discepoli e li fa riposare, non li rimanda di nuovo in missione anche se era urgente a motivo della tanta folla che lo seguiva. Solo nella misura in cui cominceremo a riprenderci ciò che ci spetta, solo se impareremo a saper sprecare il nostro tempo per Dio, riusciremo a vivere veramente appieno il limitato tempo della nostra esistenza, riempiendolo di bellezza e di senso nella misura in cui riempiremo il nostro tempo di relazioni e non di produttività.
Gesù preserva il riposo dei suoi discepoli
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Se Gesù invita ai suoi discepoli in un luogo di silenzio e solitudine per il loro riposo, dall’altro lato le folle non si arrendono al vederli andare via e li seguono.
L’atteggiamento interessante di Gesù è che quando si vede raggiunto dalle folle, innanzitutto prova compassione per loro, ma poi non chiede ai discepoli di continuare il loro lavoro, ma ci pensa lui. Quanta tenerezza!
Nella nostra quotidianità il tempo non basta mai. Basta pensare alle madri di famiglia sempre affaccendate per la casa, la famiglia e talvolta anche per la famiglia di origine. Gesù ha una parola, oggi, anche per loro. Riposatevi! Prendete fiato, considerate una giornata solo per voi, con Dio!
Dobbiamo imparare a lasciare agire Dio nella nostra giornata. Dobbiamo pur riconoscere che non possiamo bastare a noi stessi e che arriva il punto in cui dobbiamo cedere il timone della nostra vita a Cristo, lasciarlo agire, per non correre il rischio di tenerlo come sospeso, in stand by.
È quello che fa Gesù in questo brano del Vangelo: continua lui l’opera che avrebbero potuto fare i discepoli. Se una mamma ha piacere di prendersi cura dei propri figli, perché dovremmo togliere questo piacere a Dio che è somma tenerezza, sublimazione di ogni amore?
Le ferie senza Dio non sono ferie
A conclusione di questo articolo, non possiamo non sottolineare un altro aspetto. La domenica non è il giorno del dio-divano. Perché il riposo abbia davvero senso non può prescindere dal nostro rapporto con Dio, con un riposo che sia integrale e diventi quindi anche una festa. Tra le tante esortazioni dei Sommi Pontefici in questi ultimi anni, citiamo quello di Papa Francesco nella Laudato sì:
La domenica, la partecipazione all’Eucaristia ha un’importanza particolare. Questo giorno, così come il sabato ebraico, si offre quale giorno del risanamento delle relazioni dell’essere umano con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo. La domenica è il giorno della Risurrezione, il “primo giorno” della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata. Inoltre, questo giorno annuncia «il riposo eterno dell’uomo in Dio». In tal modo, la spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa. L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato. Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostra essenza. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, «perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero» (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri.”
Francesco, Laudato sì, n. 237
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