XV domenica del tempo ordinario – anno B
Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13
Introduzione
Le letture di questa domenica si situano a continuazione di quelle di domenica scorsa, quando il tema principale era quello della profezia in cui la Parola di Dio veniva mediata attraverso la voce umana, una persona concreta ben inserita nel contesto sociale della sua epoca: il profeta (per un maggiore approfondimento, rimandiamo al nostro commento “Profeti ordinari del III millennio“).
In questa settimana, la Liturgia della Parola ci ha permesso di approfondire meglio chi è il profeta, il suo ruolo con il Signore, in cosa debba consistere il suo messaggio e quali valori e atteggiamenti deve assumere (rimandiamo ai nostri precedenti articoli per una visione di insieme più ampia e completa: “La chiamata degli imperfetti“, “L’identikit del vero discepolo“, “Semplici sì, ma non bacchettoni“).
Ben tenendo a mente tutto questo contesto non solo narrativo di pregnante di significato per colui che intende fare davvero sul serio con Dio, possiamo comprendere appieno la Parola di Dio per questa XV domenica del tempo ordinario in cui veniamo ulteriormente (e caldamente) esortati a riappropriarci della nostra vocazione profetica ed essere messaggeri di Dio in una società liquida, sviata, nemmeno più atea, ma pagana.
Prima lettura
In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasìa e disse: «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele» (Am 7,12-15).
Il profeta Amos fa un’esperienza molto simile a quella di Gesù nel vangelo della scorsa settimana. Entrambi sperimentano il fallimento del loro ministero a motivo della loro storia personale.
Parole di Amos, che era allevatore di pecore, di Tekòa, il quale ebbe visioni riguardo a Israele, al tempo di Ozia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele, due anni prima del terremoto. … Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro (Am 1,1; 7,14).
E molti, ascoltando [Gesù], rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi? Ed era per loro motivo di scandalo (Mc 6,2-4).
Amos viene cacciato da Betel (che in ebraico significa “casa di Dio”), proprio da un sacerdote (e su questo già ci sarebbe tanto da dire), con la motivazione più subdola che esista:
Perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno
Cosa è successo? Qual è il problema? Gli abitanti di Betel si erano corrotti, certo, ma il problema vero è che colui che doveva orientare la sua vita al culto di Dio nella sua casa (il tempio) e in quella città a lui consacrata (Betel), si è venduto al potere politico e militare e con esso ha svenduto il tempio, il culto, la cura pastorale del popolo.
Gesù in questi giorni ha esortato i discepoli a guardarsi dai falsi pastori di Israele che soltanto esteriormente sono vestiti di mansuetudine, ma dentro sono lupi rapaci e ci invitava a fare un sano discernimento su di essi, a partire dai loro frutti:
Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete (Mt 7,15-16).
Quello che gli oppositori di Dio non comprendono è che niente e nessuno può fermare la profezia, niente e nessuno può arrestare la corsa della Parola di Dio. Ben lo aveva detto il profeta Isaia:
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata (Is 55,10-11).
Per questo Amos non si fa scoraggiare dal cuore indurito degli abitanti di Betel, e men che meno dalla loro guida spirituale, il quale non solo non ha fatto il suo dovere di pastore (non essendosi impegnato per la conversione dei cuori), ma per di più ha fomentato la loro perversione rendendo il tempio di Dio, quello del re. La liturgia di oggi omette di inserire quale sarà la punizione per quel sacerdote, ed essa sarà una diretta conseguenza delle sue azioni di infedeltà e adulterio nei riguardi del Signore, ma anche di infamia per aver reso il culto di Dio un affare di stato, qualcosa sul quale lucrare:
Ora ascolta la parola del Signore: Tu dici: “Non profetizzare contro Israele, non parlare contro la casa d’Isacco”. Ebbene, dice il Signore: “Tua moglie diventerà una prostituta nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, la tua terra sarà divisa con la corda in più proprietà; tu morirai in terra impura e Israele sarà deportato in esilio lontano dalla sua terra” (Am 7,16-17).
È un invito forte che il Signore oggi ci fa: innanzitutto per non scoraggiarci di fronte ai fallimenti, soprattutto ci invita a rischiare nel farci suoi testimoni perché nella misura in cui collaboreremo con lui, egli manifesterà nei nostri riguardi la sua Provvidenza e la sua grande tenerezza:
Perché Gesù invita a questa austerità? Perché è indice di fiducia nella sua Provvidenza. nella misura in cui lavoriamo per il Regno di Dio, ci facciamo collaboratori di Cristo, lui stesso vorrà pensare a noi e al nostro compenso.
L’identikit del vero discepolo
Anche di fronte ai cattivi esempi che possiamo avere da parte di coloro che dovrebbero pensare a pascere il gregge loro affidato, siamo chiamati innanzitutto a lasciarci trascinare dagli eventuali disvalori da loro proposti, ma soprattutto a non cedere a un certo giustizialismo: a loro ci pensa il Signore, e a noi non spetta che pregare.
Vangelo
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Ci troviamo di fronte al mandato missionario di Gesù. Se la Liturgia della Parola ce lo propone così insistentemente in queste settimane, forse è davvero il caso che prestiamo ascolto a quello che può essere per tutti noi un invito urgente da parte di Dio stesso. Vediamo quali atteggiamenti i discepoli devono fare loro secondo l’insegnamento di Gesù.
Uomini in cammino

Nella Sacra Scrittura, ogni volta che Dio chiama per sé un uomo, un profeta, un giudice o un discepolo, inevitabilmente, lo mette in cammino. Nel nostro precedente articolo affermavamo:
Tanto la staticità fisica (da sacrestia), come l’immobilismo di chi non vuol sentirne di cambiare idea, non appartengono al vero discepolo di Cristo, anzi sono indice di colui che gli si oppone apertamente. Proprio la scorsa settimana è stato proclamato quel brano del Vangelo in cui Gesù guariva un paralitico bloccato sul suo lettuccio e questi non appena guarito, manifesta la sua gioia mettendosi in cammino e annunciando la lieta notizia di quello che gli era capitato (rimandiamo al nostro articolo “Se lo segui, guariscimi!“, per un maggiore approfondimento).
L’identikit del vero discepolo
Questo è quello, per esempio, che accade all’ormai anziano Abram che incontra Dio in tarda età, ai profeti Elia e Giona, e persino alla Vergine Maria dopo l’annunziazione:
Il Signore disse ad Abram: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran (Gen 12,1.4).
A lui fu rivolta questa parola del Signore: “Vattene di qui, dirigiti verso oriente; nasconditi presso il torrente Cherìt, che è a oriente del Giordano (1Re 17,2-3)
Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: 2″Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me” (Gn 1,1-2).
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda (Lc 1,39)
Dio viene nelle nostre vite per smuoverci, per lasciare le nostre comodità e sicurezze, per farsi nostro pastore conducendoci lì dove lui solo sa. Il salto della fede è proprio questo: fidarsi di lui, lasciarsi condurre, accettarlo come timoniere della nostra vita, della nostra quotidianità. Incontrare le persone che lui vuole che noi incontriamo e fare le esperienze che lui vuole che noi facciamo.
Comunionalità
Se è vero, dunque, che non c’è vero discepolato senza un sapersi mettere in cammino è anche vero che l’altra condizione da rispettare è il riconoscersi comunità, popolo, Chiesa appunto.
Il cammino del cristiano non è un cammino in solitaria, ma un pellegrinaggio di fratelli riconciliati verso il Regno dei cieli. E se già lasciarsi mettere in cammino da Dio non è facile, lo è ancor meno quando bisogna farlo con gli altri, stare al loro passo. Eppure è solo lì che il Risorto si rivela:
Gesù non appare ai discepoli mentre sono da soli, chiusi nella loro individualità. Al contrario, appare sempre mentre sono insieme. Lo vediamo infatti nel brano di questa domenica: per due volte appare mentre i discepoli si trovano in casa a porte chiuse (vv. 19,23; ), e la terza volta mente i discepoli tornano da un’infruttuosa notte di pesca sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-14). Il modo di apparire di Gesù ai discepoli, esclusivamente quando sono insieme, deve essere per i cristiani di tutti i tempi, una forte provocazione: la comunione fraterna è condizione per fare esperienza del Risorto. Dio non ci salva come singoli, ma come popolo, ed è all’interno di questo popolo, che è la Chiesa, che siamo chiamati a riconoscerlo e accoglierlo.
Il cammino di Tommaso
Austerità
Non si può fare i profeti con i rolex ai polsi. Comodità e lusso sono un deterrente alla credibilità di un vero discepolo di Cristo. Papa Francesco che ha fatto della sobrietà il suo stile di vita, non ha mai smesso di esortare i pastori della Chiesa a questa sobrietà e dando inizio al Giubileo straordinario della Misericordia disse:
L’amore di Gesù è grande. Per questo oggi, nell’aprire questa Porta Santa, io vorrei che lo Spirito Santo aprisse il cuore di tutti i romani, e facesse loro vedere qual è la strada della salvezza! Non è il lusso, non è la strada delle grandi ricchezze, non è la strada del potere. E’ la strada dell’umiltà. E i più poveri, gli ammalati, i carcerati – Gesù dice di più – i più peccatori, se si pentono, ci precederanno nel Cielo. Loro hanno la chiave. Colui che fa la carità è colui che si lascia abbracciare dalla misericordia del Signore.
Francesco, Omelia, 18.12.2015
Solo l’uomo che sa privarsi del superfluo è davvero libero, e solo l’uomo veramente libero può fare esperienza della Provvidenza di Dio e godere della sua gioia, e questo il giovane ricco dovette impararlo a caro prezzo. Egli, infatti, incapace di distaccarsi dai suoi averi, si autocondannò all’infelicità:
Ed ecco, un tale si avvicinò e gli disse: “Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”. Gli rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Gli chiese: “Quali?”. Gesù rispose: “Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso“. Il giovane gli disse: “Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?”. Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt 19,16-21).
Conclusione
Elenchiamo, a mo’ di conclusione, i valori che oggi siamo chiamati a fare nostri, per essere discepoli e profeti secondo il cuore di dio, così come il Signore ci vuole:
- Non svilire la dignità della nostra vocazione, non svendere i valori della nostra fede, seguendo l’intuizione di san Paolo:
- Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2).
- Smetterla di essere cristiani da sacrestia. Imparare a metterci in cammino non avendo altra sicurezza, altra comodità che in Dio.
- Non scoraggiarci per i fallimenti, per le chiusure degli altri, ma essere entusiasti testimoni, costi quel che costi.
- Recuperare i legami fraterni, costruire ponti e riconoscere nell’altro il sostegno per il cammino, non può essere un optional o qualcosa di rimandabile, ma è e deve restare la nostra urgenza.
- A puntare tutto su Dio, da lui attenderci tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e non su noi stessi, i nostri averi e comodità
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