Profeti ordinari del III millennio

XIV domenica del tempo ordinario – anno B

Ez 2,2-5; Sal 122; 2 Cor 12,7-10; Mc 6,1-6

holyart.it – articoli sacri

Chi sono i profeti? Come riconoscerli? È il filo conduttore, il tema, della liturgia della Parola di questa domenica. Già, perché la profezia non si è spenta, non è qualcosa di relegato nel passato, qualcosa che ha a che vedere soltanto con l’antico testamento. Ieri come oggi il Signore manda nel mondo profeti: uomini e donne, cioè, annunciatori di un suo messaggio per tutta l’umanità (in effetti il profeta non è propriamente colui che prevede il futuro, ma colui che presta la sua voce al Signore, si fa suo strumento, sua mediazione).

Prima lettura

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

Dio chiama Ezechia a diventare profeta, mentre i suoi contemporanei si sono piegati al male, al peccato, dimenticando il Dio che li ha beneficati nel corso della storia del loro paese, e si sono dati all’idolatria.

Nonostante l’amarezza del Signore, che emerge dal brano proclamato, il suo modo di procedere non è quello punitivo. Dio non castiga l’uomo che si allontana da Lui, al contrario non smette di adoperarsi perché l’uomo cambi atteggiamento e si converta. Per questo dona ad Ezechiele una vocazione profetica. Una missione certamente ardua e complicata, ma mirata, comunque, al recupero degli uomini perché non si dannino del tutto.

Questo non può che portarci a una prima considerazione: ogni gesto di Dio, ogni sua parola, è motivata dalla tenerezza (dalla sua passione per l’umanità) ed è finalizzata alla salvezza dell’uomo. Cogliamo una sottolineatura in questo senso, dalle parole stesse di YHWH ad Ezechiele:

«Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro»

Perché è importante? Perché a differenza di Allah, il nostro dio non impone la sua volontà sull’uomo, non lo piega, non lo sottomette (Islam significa appunto sottomissione), ma lo lascia libero di scegliere facendogli ben tenere a mente che ci sia un profeta, un uomo che con il suo ministero, le sue parole, la sua testimonianza, è espressione dell’amore di Dio anche per il peccatore, strumento di accoglienza e misericordia per colui che volesse convertirsi.

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Seconda lettura

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

San Paolo per primo ha fatto esperienza come ogni profeta, ogni uomo che intenda fare sul serio col proprio Battesimo, si trova di fronte a una dualità: la grandezza della missione alla quale Dio lo chiama e la fragilità della natura umana con la sua inclinazione al male. Di fronte alla grande tenerezza di Dio, l’apostolo delle genti deve fare i conti con le proprie fragilità, col proprio modo imperfetto di amare Dio. Nella lettera destinata ai cristiani di Roma, si esprime in questa maniera:

Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,19).

Questo tormento che vive interiormente che lui chiama spina, consente però di godere di una rivelazione divina:

Egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».

Cosa impariamo da questa rivelazione di Dio a Paolo? Di certo che non dobbiamo lasciarci scoraggiare dal peccato, dalla nostra miseria e talvolta anche dalla nostra doppiezza. Se ci concentriamo unicamente sui nostri pregi saremmo soltanto dei cristiani spocchiosi e farisei, se lo tenessimo sui nostri peccati saremmo dei disperati (cristiani quaresimali, direbbe papa Francesco). Il nostro sguardo infatti non deve essere sulla nostra persona, ma sull’immensa tenerezza di Dio che ci ama al di là dei nostri meriti, e al di là di essi ci salva e può fare grandi cose nella nostra vita se noi glielo permettiamo.

Ecco perché Paolo nel brano proclamato questa domenica afferma:

Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.

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Vangelo

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Chi è il profeta? È un uomo come ognuno di noi, un abitante della terra, con una cultura ben radicata in quella del suo popolo. per riconoscerlo è necessario andare oltre le apparenze, non fermarsi alla copertina della sua identità, ma fissarsi sulla qualità del suo discorso, sul suo spessore religioso, teologico, spirituale e morale.

È questo quello che i concittadini di Gesù non compresero. Per questo Gesù afferma

Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria

Quanto male possono fare giudizi e pregiudizi. Possono arrivare al punto da mettere un freno a Gesù, ai suoi miracoli. E i primi a subirne le conseguenze sono proprio coloro che esprimevano questi pregiudizi, coloro i quali erano chiamati a godere dei benefici di dio attraverso il profeta loro inviato.

Gli uomini di Nazareth non vanno oltre alla storia famigliare di Gesù: non è altro che il figlio di un artigiano, un signor nessuno. È il grande mistero della santità del quotidiano: il divino si rivela nell’umano, l’Altissimo e Straordinario, nel piccolissimo e ordinario. Quanto ha da dirci questo? Spesso pensiamo che dobbiamo cercare Dio all’interno di una Chiesa, nascosto dietro la porticina dorata di un tabernacolo. Queste sono cose buone e vere, ma mai potremo fare una vera esperienza di Dio se non cominciamo a scoprirlo presente in ogni istante della nostra giornata, in ogni luogo da noi frequentato, nel cuore di ogni persona che incontriamo, tra le strade della nostra città, nelle parole dei soliti volti, dei soliti incontri a cui la nostra abitudinarietà ci obbliga. Una moglie deve imparare a riconoscere la presenza amorosa di Cristo prima che in chiesa, all’interno delle sue mura domestiche, negli occhi di suo marito.

Ma non solo, oggi ognuno di noi è chiamato a riconoscere che per il Battesimo è stato unto profeta: portatore di un messaggio divino per l’umanità. Sintesi di questo messaggio che oggi siamo chiamati a riscoprire come parte della nostra vocazione, è l’amore di Dio. mai dobbiamo smettere di gridare al mondo quanto Dio lo ami. E questo messaggio è destinato a fare breccia nei cuori degli uomini più duri e forgiati nel peccato, perché si convertano, e anche nel cuore di coloro che sono piagati dalla solitudine e dalla sofferenza, perché consoli il loro spirito con una rinnovata speranza.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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