Dio rifugge l’esibizionismo

XI domenica del tempo ordinario – anno B

Ez 17,22-24; Sal 91; 2 Cor 5,6-10; Mc 4, 26-34

La liturgia della Parola di questa domenica è un invito alla fiducia in Dio, anche quando la sua presenza e il suo operare non è plateale, soprattutto quando tutto intorno invita alla sfiducia. È un po’ il senso di questo articolo, ma anche l’estrema sintesi della Parola di questa undicesima domenica del tempo ordinario che delinea il modus operandi di Dio. Egli, contrariamente a Satana, agisce nel silenzio e nella discrezione ed è proprio questo che permette al suo agire di essere molto più efficace di quello del Maligno.

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Prima lettura

Così dice il Signore Dio: «Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò». 

Il contesto nel quale si situa questo brano, è quello della deportazione di Israele in terra pagana: Babilonia. È la grande tragedia del popolo che, abbandonata la terra di Dio, si vede costretto a una vita da straniero in terra inospitale, impura, pagana. Israele paga così, a caro prezzo la sua sfiducia nei riguardi dei profeti, il suo essersi posto a divinità di se stesso, il non aver voluto cedere all’invito di Dio anche quando questo appariva incomprensibile controcorrente.
Tuttavia, proprio nel momento del più grande fallimento della sua storia, Israele non viene abbandonato. Dio promette un ritorno glorioso e un rinnovamento del suo popolo. Si tratta infatti di un ramoscello (la parte più fresca, giovane e tenera di Israele), che verrà reciso dal cedro innestato in Babilonia, e verrà piantato in terra santa e tornerà a mettere radici.
In un momento di grande sconfitta il profeta Ezechiele invita il suo popolo a fare tesoro del suo fallimento, di dove conducono orgoglio e superbia, ma allo stesso tempo esorta alla fiducia nei riguardi di Dio che non abbandona mai nessuno ed è sempre pronto a risollevare l’uomo pentito dei suoi errori.

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Vangelo

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene semi­nato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Gesù usa due parabole prese dal mondo contadino per spiegare la venuta del regno di Dio. Ma è interessante che il protagonista di queste parabole, non è il contadino, ma la forza vitale di un seme, piccolissimo, fragilissimo, che germoglia in maniera prepotente nel terreno dove viene piantato.

Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 

Il germogliare del seme, e poi il suo portare un frutto così abbondante, non dipende dal contadino. Lui ha soltanto seminato, il resto lo fa il seme nel terreno che innesca una reazione vitale tanto potente che il suo primo, fragilissimo germoglio, riuscirà a bucare anche il terreno più duro.

Cosa impariamo dalle parabole di Gesù, questa domenica? Sicuramente traiamo almeno 3 insegnamenti.

  1. Sappi fare almeno il minimo sindacale

L’agire del contadino. A te il Signore oggi non chiede altro che guardare al tuo terreno, ciò che ti circonda e favorire un mutamento: essere strumento di Colui che può cambiare la sterilità arida di un terreno, in un florido campo di grano. E tu cosa devi fare? Renderti strumento di fertilità, l’innesco che permette al seme di portare vita nuova lì dove prima regnava il nulla. Il Signore non pretende da te grandi sforzi e non ti chiede nemmeno di prenderti cura di quel seme che hai seminato. Come al contadino della parabola, non ti viene chiesto di arare quel terreno né di annaffiarlo. Il seme è così potente, così portatore di vita che basta a se stesso per germogliare e crescere.
Cosa siamo chiamati a seminare? Di cosa il nostro prossimo, la nostra comunità, la nostra famiglia ha bisogno? Ecco quello è il seme che dobbiamo dare e tutto si sintetizza nell’amore. Siamo così pieni di capacità e di desiderio di amare, ma poi facciamo che questo muoia, resti sterile perché abbiamo paura di donare e di donarci, come se poi avessimo davvero qualcosa da perdere. Allo stesso modo, come non spetta al contadino giudicare la qualità del terreno, così non spetta a noi decidere se una persona sia degna del nostro affetto e del nostro perdono.
Sembra che in qualche modo Gesù stia dicendo ai suoi discepoli e a noi oggi: “Vuoi entrare nel regno dei cieli? Vuoi avere la vita eterna e godere della gloria dei santi? Bene, ama, al resto ci penso io“. E non è che il minimo sindacale che ci viene chiesto. Ci basta solo questo per avere la vita eterna. Il problema è che talvolta ci impigriamo e ci ostiniamo a tal punto, che nemmeno questo vogliamo fare.

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2. Saper attendere
È il secondo insegnamento che traiamo da questo brano del vangelo.

Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura

Viviamo nell’era del tutto e subito, e questo, nostro malgrado spesso lo pretendiamo dagli altri e anche da Dio. Quasi come se tutto il mondo fosse al nostro servizio. È un invito a rifuggire dall’efficientismo, dalla pretesa di voler vedere subito il frutto dei nostri sforzi, che una persona sappia ben ringraziarci per un nostro gesto. A noi, come al contadino della parabola, compete solo seminare. Quello è il nostro lavoro, ai frutti ci penserà il Signore al tempo opportuno.
Imparando ad attendere l’intervento di Dio nella nostra vita e nella nostra società, faremo nostra quella virtù teologale che è la speranza, da cui nasce, come conseguenza, la pace nel cuore del credente e la gioia del sapersi salvati, amati e protetti da un Dio silenzioso ma non inerme.

3. Non esibizionisti, ma significativi
Dio agisce nel segreto del nostro cuore e nel tessuto della nostra società, proprio come quel seme che lasciato nel terreno, germoglia e porta vita nuova a tutto il campo.
L’atteggiamento di Dio non può che metterci in crisi, soprattutto negli ambienti ecclesiali. Arrivismi, ambizioni, platealità non possono appartenere a nessun cristiano: sia esso laico, che consacrato. La Parola di Dio oggi non può che mettere in crisi il nostro modo di essere all’interno di una realtà parrocchiale e comunitaria, dove spesso non è chiaro se si è lì per servire il Signore, la comunità o il proprio smisurato ego.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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