Giovedì della VIII settimana del tempo ordinario
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada (Mc 10,46-52).
Il titolo di questo articolo proviene dall’invito che i discepoli di Gesù fanno al coprotagonista del Vangelo di oggi: Bartiméo, un uomo ai margini della società dell’epoca poiché, in quanto cieco, non era in grado di lavorare, né di provvedere a se stesso, e per questo viveva di elemosina seduto sul ciglio della strada.
È proprio la cecità di quest’uomo la prima provocazione per noi che emerge da questo racconto: chi è veramente il non vedente? Bartiméo grida, cerca di attirare l’attenzione di Gesù, ben sapendo che da lui avrebbe potuto riavere non solo la vista, ma con essa anche una vita dignitosa, un nuovo modo di essere all’interno di una società comunque difficile come quella di Israele. Ma qualcuno cerca di mettere a tacere quella voce. Il cieco, il bisognoso, deve restare lì dov’è, ai margini della società e delle coscienze, non deve attirare l’attenzione, restare invisibile, perché in fin dei conti la sua stessa presenza scomoda, impone una presa di coscienza, e allora è molto meglio far finta che non esista, girare la testa altrove. Ecco, i ciechi sono quei discepoli che non vogliono vedere Bartiméo, confinarlo nell’oblio perbenista e intorpidito della loro coscienza.
Ma quanto è attuale il loro atteggiamento? In questa nostra società, non meno difficile di quella dell’antico Israele, parole come infermità, malattia, anzianità, handicap sono diventate tabù. Preferiamo non parlarne, far finta che non esistano, cancellarle dalla nostra mente, dal nostro cuore e dai nostri occhi. E in questo mondo che via via diventa sempre più pagano, egolatrico, egocentrico e iperedonistico, colui che può far emergere nella coscienza la possibilità di una diversità viene eliminato, abortito, socialmente emarginato, chiuso e abbandonato in strutture, talvolta lager ma allegramente chiamate “rsa”, in attesa che tirino le cuoia e, qualora questo non fosse possibile gli si induce a pensare che la scelta migliore sia la morte, il togliersi dai piedi con un bel suicidio, che altrettanto allegramente viene chiamato eutanasia.
Ecco la cecità del nostro tempo! Ma a Gesù non passa inosservato quell’uomo sofferente sul ciglio della strada. Si impietosisce della sua cecità, ma anche di quella dei discepoli. Chiamando a sé Bartiméo ne guarisce quegli occhi incapaci di vedere, e guarisce anche quella dei discepoli e i nostri.
«Che cosa vuoi che io faccia per te?».
È la domanda che oggi Gesù pone a noi. Apri il tuo cuore a quel Dio che si pone a tua completa disposizione. In che maniera vuoi che il Signore oggi si riveli a te, alla tua tua vita, alla tua famiglia? Il modo di porsi di Gesù sempre attento alle sofferenze di tutti, dei dimenticati, di chi vive ai margini dell’abbandono, rivela il cuore grande di un Dio che è Amore, che si spende per l’uomo fino a dare ciò che ha di più prezioso: suo Figlio. E questi si dona all’umanità nella morte più cruenta, perché le sia tolta la condanna della morte e possa essere riammessa nella grazia originaria per la quale fu creata.
«Rabbunì, che io veda di nuovo!»
Se Dio si rivela disponibile alle tue necessità, è anche vero che bisogna saper chiedere. Bartiméo chiede di poter avere di nuovo una vita normale. Non chiede grandi cose, se non quella di poter di nuovo tornare a rimboccarsi le maniche e darsi da fare, contribuire alla crescita della sua società con il suo lavoro, con il suo inserimento in quel tessuto sociale che resterà comunque difficile. L’intervento guaritore di Gesù non esime Bartiméo da un impegno personale, dal cammino faticoso della quotidianità.
«Va’, la tua fede ti ha salvato»
Alla fine il coprotagonista di questo brano evangelico avrà molto di più di quello che aveva chiesto: riottiene la luce degli occhi, ma con questo anche la salvezza. Cosa gli ha reso tanto? La fede! La certezza di chi fosse quell’uomo a cui non è restata invisibile la sua sofferenza, la fiducia in un Dio che non è sadico e non impone croci e prove sulle spalle degli uomini.
E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada
Qui accade qualcosa di sconvolgente. Bartiméo che per tutta una vita aveva desiderato di vivere un’esistenza normale, come tutti quei passanti che avranno ignorato la sua richiesta di aiuto, anziché rimettere insieme i pezzi della sua esistenza, anziché trovarsi un lavoro e magari anche una moglie, se segue Gesù. Perché? Perché il Signore quando viene nelle nostre vite, rimette ordine, ci aiuta a discernere su quali siano davvero le priorità, cosa sia davvero importante e cosa un po’ meno. Bartiméo ha incontrato Cristo nella sua vita e non lo avrebbe lasciato più. È quello che anche Marta di Betania dovrà comprendere, ascoltando le parole di Gesù:
Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,41-42).

Allora l’invito dei discepoli fatto al figlio di Timeo e che ha dato il titolo a questo nostro articolo, vale anche per noi oggi. Il Signore viene nelle nostre vite e ci chiede prima un impegno personale: “Alzati”. Elevati, cioè, dalla tua condizione di prostrazione, mettila di star lì ripiegato su te stesso a leccarti le ferite, rialzati dallo stato di prostrazione nel quale il tuo peccato ti ha abbassato. Poi, con coraggio, và da lui. Lasciati guarire. Una volta che avrai assaporato la tenerezza di Dio, non potrai più farne a meno, e come Bartiméo imparerai da abbandonare tutti tuoi sogni egoistici e le tue ambizioni, e lo seguirai. È questo il miracolo vero che avviene nel brano evangelico di oggi: il passare dallo stato di prostrazione, alla sequela. La vocazione resta sempre un miracolo della fede.
L’indifferenza: la grande cecità del nostro tempo!
A conclusione di questo articolo, riguardo a quanto approfondito nella prima parte della nostra meditazione, vogliamo in qualche modo aiutare nella riflessione con un brano di Nek, particolarmente evocativo per il tema che abbiamo affrontato. Il brano in questione è “Credere, amare, resistere”, tratto dall’album “Prima di parlare”. Nel testo il cantautore afferma che solo l’amore può abbattere il muro trasparente dell’indifferenza che prima di tutti si ritorce e nuoce a colui che se ne serve. Per questo dice che non si può nascondere il sole dietro ad un dito e che solo la verità, verità di vedere, di accogliere ed amare, rende davvero libero l’uomo.
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