Con lo Spirito, artigiani di fraternità

Domenica di Pentecoste – anno B

At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15, 26-27;16, 12-15

La solennità di Pentecoste si situa a conclusione di un ciclo che non è solo liturgico, il tempo di Pasqua, ma di un ciclo esistenziale e formativo che è di tutti i discepoli di Cristo.
Nei giorni tra la Risurrezione e l’Ascensione del Maestro i discepoli hanno avuto modo di rinsaldare la loro fede e il Signore li ha aiutati a comprendere il mistero della sua persona alla luce dell’evento pasquale che l’ha visto vittorioso sulla morte (approfondisci cliccando qui).

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Dal momento dell’effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, si chiude il ciclo dei discepoli in formazione e ne inizia uno tutto nuovo, quello in cui da uomini spaventati e timidi, diventano coraggiosi testimoni del risorto. Da chiusi nelle loro case a missionari per il mondo. È il momento in cui, comprendendo pienamente il senso degli insegnamenti del Maestro e il mistero della sua persona quale Figlio di Dio inviato nel mondo per salvare gli uomini, lo condividono con il mondo intero perché tutti possano partecipare di questa gioia e della sua salvezza.

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Prima lettura

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

La prima cosa che è importante sottolineare è che questa effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, può avverarsi perché viene soddisfatta una condizione molto importante:

Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.

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Gesù stesso da Risorto appare ai discepoli unicamente quando questi sono riuniti, quando c’è una comunità che è capace di accoglierlo (puoi approfondire leggendo i nostri precedenti articoli: Resta con noi e Stupefatti per la grande gioia).
Come il Figlio di Dio, anche la lo Spirito Santo appare sulla scena mentre la comunità è riunita, indice di come il Padre voglia vedere ognuno di noi, in comunione gli uni con gli altri, adempiendo il comandamento nuovo di Gesù (Cfr. Gv 13,34). Non c’è una rivelazione privata, ma comunitaria e così Dio si rivela a noi solo nella misura in cui diveniamo costruttori di comunione, capaci di edificare relazioni e non di abbatterle, creatori di ponti e non di muri. Poiché appunto questa condizione viene soddisfatta dalla prima comunità dei discepoli, lo Spirito Santo irrompe sulla scena facendo sentire la sua potenza, riempiendo i cuori dei presenti, nessuno escluso.

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Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue

È interessante notare come Dio si doni a quei discepoli, e ad ognuno di noi, in maniera esaustiva, completa. Lo Spirito colma i cuori dei presenti e non si concede solo “il giusto”, “quanto basta”, ma fa traboccare di grazia le loro anime non tralasciando nessun anfratto. Questo ci rivela qualcosa di grandioso che forse non dovremmo mai perdere di vista: quel Dio che è amore, non aspetta altro che donarsi a noi in maniera eccessiva, andando oltre le nostre richieste ed aspettative. Ed è interessante il fatto che questo dato fu compreso persino dall’autore del primo libro dell’Antico Testamento, Genesi, quando nella Creazione ci rivela quest’ammore traboccante di Dio che è incapace di restare chiuso nei confini della Trinità e si riversa oltre, su chi è totalmente altro da lui: la creatura umana.

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A quel rumore, la folla si radunò

È il primo effetto della Pentecoste: il radunare, il riunire. La comunione dei discepoli non resta chiusa in se stessa, settaria ed elitaria, ma comunicandosi permette agli altri di fare la stessa esperienza. Lo Spirito Santo che si dona a chi è riunito, a sua volta raduna, unisce, crea comunione, chiede a chi già vive la comunionalità di essere fecondi ed essere artigiani di fraternità.

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L’evento di Pentecoste risana il danno che un tempo compirono gli uomini a Babele. Lì la superbia divise, qui l’amore unisce. Lì la convivenza degli uomini era basata sull’oppressione dello straniero e l’omologazione alla cultura ideologizzata della dominante Babilonia che suscitò l’ira divina e il fallimento dei loro piani, qui è l’amore che rinsalda e cementifica la relazioni, fondando una convivenza basata sull’amore, la solidarietà e l’accoglienza della diversità.

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Seconda lettura

Tralasciamo il commento alla seconda lettura di questa domenica, perché in qualche modo l’abbiamo già approfondita nel nostro precedente articolo al quale vi rimandiamo, Dallo Spirito, la gioia, dove abbiamo avuto modo di vedere in cosa consistano i doni dello Spirito Santo e cosa essi implichino per il cammino di fede del credente.

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Vangelo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Nella prima lettura, abbiamo visto come l’unione comunitaria sia condizione perché ci possa essere l’effusione dello Spirito Santo e, allo stesso tempo, effetto dell’agire comunionale dei discepoli. Poiché appunto questo intento di fratellanza non resti semplicemente un’utopia, o un concetto troppo difficile da comprendere e ancor più da realizzare, in qualche modo Gesù ci rivela in cosa consisti e quali sono i gesti da mettere in atto perché la comunione si realizzi.

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Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso

Comprendendo questa affermazione di Gesù che rivela il modo di agire dello Spirito Santo, riusciremo in qualche modo a mettere in pratica l’atteggiamento giusto per cominciare ad essere costruttori di fraternità. Qual è l’atteggiamento alla base della seconda Persona della Trinità che siamo chiamati ad imitare? La non autoreferenzialità!

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Lo Spirito non parla da se stesso, non si autocita, non pone le sue parole, le sue scelte e i suoi atteggiamenti come criteri fondanti della verità alla quale gli altri devono assoggettarsi. Non si pone come centro dell’universo, ma porta un messaggio che viene dal Padre, ovvero da una comunione intratrinitaria, intradivina. La parola dello Spirito Santo è autorevole perché proviene da una relazione amorosa con Padre e col Figlio, è una parola comunitaria.

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Si tratta di un atteggiamento profondamente umile delle Tre Persone divine, che non può non metterci in crisi. Come possiamo pretendere di essere cristiani capaci di comunione, cristiani credibili, se abbiamo messo da parte l’umiltà, se pensiamo di ergerci a leader, autoeletti portavoce di un gruppo che non ci riconosce come tali? L’iniziare i nostri discorsi con l’autocitante “come dico sempre io” è sempre il deterrente per costruire comunità, perché te ne stai distaccando da quella comunità per emergere.

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Contro questo atteggiamento così comune nelle nostre realtà ecclesiali, lo Spirito di Dio oggi ci mette in guardia. Egli, che già si effuso in noi nel Battesimo e ancor di più nella Confermazione, viene alle nostre vite, se lo accogliamo, per rimettere ordine nelle nostre relazioni con gli altri e con Dio. Viene per farci portavoce non di noi stessi, ma del Padre. È Dio che dobbiamo annunciare, non noi stessi!

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Conclusione

La solennità della Pentecoste non può che metterci in crisi e con tutta verità ci invita a una revisione di vita. Quante torri di Babele abbiamo costruito nella nostra vita? Quanti muri abbiamo innalzato? Quante volte abbiamo preteso che l’altro la pensasse come noi? In questo giorno così solenne siamo chiamati a denunciare situazioni di oppressione delle fasce più deboli della nostra società, ad essere critici e costruttivi di fronte a situazioni di ingiustizia, perché nel nostro piccolo possiamo contribuire alla edificazione di un mondo più giusto e più a misura d’uomo. Tuttavia questo cammino, questo nostro impegno e sforzo, non avrà senso se non inizieremo proprio dalle nostre famiglie e dalle nostre comunità, se non ci faremo artigiani di fraternità proprio lì dove il Signore ci ha voluto. Allora anche noi saremo capaci di fare esperienza di una nuova Pentecoste e collaboratori dello Spirito Santo nell’essere costruttori di comunità.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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