San Paolo, è l’apostolo della gioia, abbiamo avuto modo di approfondirlo nel nostro precedente articolo (clicca qui). Per lui la gioia è frutto dello Spirito Santo, lo vediamo chiaramente nel quinto capitolo della lettera ai Galati dove contrappone le opere della carne a quello dello Spirito. Leggiamo:
18 Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. 19 Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, 20 idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21 invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23 contro queste cose non c’è Legge (Gal 5,18-23).
L’apostolo presenta ai discepoli una via da perseguire, quella della grazia, del senso della vita, della bellezza, della gioia e della salvezza. Una via che resta come proposta per gli uomini di tutti i tempi e che in qualche modo si contrappone a un’altra via: quella dei piaceri prêt-à-porter, del tutto e subito, di un godimento smodato e sganciato da una qualsiasi morale. Una via che condanna l’uomo fin nel suo presente all’insoddisfazione (poiché sono piaceri che non saziano e lasciano vuoti sempre più grandi) e all’infelicità e, nel futuro, alla dannazione. Esprime bene questo concetto il Salmo 1, comunemente chiamato “delle due vie”, che contrappone la vita rigogliosa del giusto a quella miserabile dell’empio.
L’invito di Paolo ai Galati, attualissimo in questa nostra era edonistica e affettivamente consumistica, è quello di non rendere la nostra vita schiava della carne, delle passioni più basse e di vincere questa tentazione affidandosi alla forza dello Spirito Santo.
Per l’apostolo la seconda Persona della Santissima Trinità è, forza che fonda la fede e la rende visibile nell’amore, sorgente di grandi carismi, dinamismo capace di indirizza la condotta etica dei credenti. Per questo ritiene essere da insensati per i cristiani tornare alle opere della carne dopo essere stati rinnovati dallo Spirito per mezzo del Battesimo. E non esita di essere duro con quei Galati che sono caduti in questo circolo vizioso, opera dell’illusione di una morale su misura:
1 O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! 2 Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede? 3 Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne? 4 Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! 5 Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede? (Gal 3,1-5)
Nella totalità della persona umana si realizza il combattimento spirituale contro il principe di questo mondo. E questo può essere vinto perché l’uomo ha tutti gli strumenti per farlo, grazie all’effusione dello Spirito Santo, facendo fruttificare questo dono attraverso la propria condotta retta, aperta alla bellezza e all’eternità. In effetti se le opere della carne ripiegano l’uomo su se stesso, unicamente centrato sui propri bisogni e godimenti, il frutto dello Spirito invece apre l’uomo verso l’Altro e gli altri. Il frutto dello Spirito permette all’uomo una rivoluzione etica: dall’egoismo egocentrico ed edonista alla donazione agapica e oblativa. Se tanti sono i frutti della carne, uno solo è quello dello Spirito: l’amore declinato nelle sue varie forme. Rileggiamo il versetto 22 del nostro brano della lettera ai Galati:
22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.
Prima conseguenza del frutto dello Spirito Santo è la gioia. Lo sapeva bene la Vergine Maria che poté realizzare l’invito a rallegrarsi di Gabriele (Cfr. Lc 1,28), solo quando lo Spirito Santo scese su di lei e rese fecondo il suo grembo. Nella lettera ai Filippesi, Paolo descrive la gioia come pienezza di vita che l’uomo può sperimentare nella misura in cui vive profondamente unito a Dio (Cfr. Fil 3,1; 4,4) e che perdura anche nelle situazioni più avverse della vita. È forte questa affermazione a cui spesso, probabilmente, non prestiamo molta attenzione, ma che occorre ricordarci ogni giorno: non c’è gioia senza Dio. Perché è un’affermazione forte? Perché spesso cerchiamo la gioia in posti sbagliati, lì dove forse non c’è, oppure se c’è è fatua, finisce presto. Crediamo che la gioia sia nella salute in un posto di lavoro, nel conseguimento di un titolo di studio o in una vita realizzata. Ecco, queste sono tutte cose di per sé belle e buone per la nostra vita, ma non sono tutto. Assolutamente! Il primato deve restare Dio, è lui la sorgente, lui il criterio di confronto tra la gioia frutto dello Spirito Santo e le tante altre gioie che questa vita ci offre.
Afferma Paolo VI nella sua esortazione apostolica Gaudete in Domino:
Come ognuno sa, vi sono diversi gradi in questa «felicità». La sua espressione più nobile è la gioia, o la «felicità» in senso stretto, quando l’uomo, a livello delle facoltà superiori, trova la sua soddisfazione nel possesso di un bene conosciuto e amato. Così l’uomo prova la gioia quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell’incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri. A maggior ragione egli conosce la gioia o la felicità spirituale quando la sua anima entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e immutabile
Paolo VI, Gaudete in Domino, cap. I
Quella di cui parliamo in questo articolo e di cui Paolo scrive, è la gioia vera, duratura, quella che rende pieno il cuore dell’uomo. Essa contrasta le false gioie, quelle della carne delineate nella prima parte del brano. È interessante notare come per Paolo se da un lato lo Spirito Santo può essere causa di gioia per l’uomo che lo accoglie nella sua vita, allo stesso tempo il credente può essere motivo di tristezza per Dio. Lo afferma nel quarto capitolo della lettera agli Efesini, rivelando cosa rattrista e cosa fa gioire lo Spirito:
30 E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. 31 Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. 32 Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo (Ef 4,30-32).
L’uomo dunque che si sforza di camminare per le vie dello Spirito, che ne coglie il frutto (l’amore) e ne gode della sua prima conseguenza (la gioia), può finalmente anche pregustare la pace. Questa indica tanto uno stato interiore di imperturbabilità, di chi si sa strettamente unito a Dio, ma implica anche una diverso modo di porsi in relazione con gli altri opponendosi così a quei frutti della carne che aveva poc’anzi delineato:
inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere (Gal 5,20-21).
Conseguenza di questa pace, sono tutti gli altri: la magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Essi indicano capacità di intessere relazioni fondate nel rispetto e nella giustizia.
Perché tanta tristezza nel nostro mondo? Perché il mercato dei psicofarmaci non conosce tracollo e la depressione diventa una sindrome sempre più comune in tanti nostri fratelli? Perché il problema non è più semplicemente di ordine morale, ma spirituale: abbandonando Dio, ci siamo abbandonati a noi stessi e non troviamo soddisfazione e godimento più in nulla, desacralizzando l’universo e con esso la sua stessa vita, scindendo ciò che lo univa al suo Signore.
Ora che la solennità di Pentecoste si avvicina e nelle nostre Chiese si reciterà l’inno allo Spirito Santo, meditiamo su questa meravigliosa preghiera e su quello che chiediamo a Dio con essa e che in conclusione riportiamo.
Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
Vieni, padre dei poveri,
vieni; datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.
O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
raddrizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna. Amen

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