Ascensione del Signore – anno B
At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20
Il titolo provocatorio di questo articolo viene in qualche modo dall’approfondimento della prima lettura di questa domenica in cui vedremo come i discepoli senza Gesù dovranno cominciare a cavarsela da soli. Leggiamo.
Prima lettura
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Dopo l’evento della Risurrezione, Gesù appare ai discepoli per ben 40 giorni in cui rifonda la loro speranza e il loro entusiasmo e dove muta il loro senso di fallimento e la loro tristezza in gioia. In questo tempo, benché ancora non ci sia stato l’effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste ai discepoli viene data l’occasione di comprendere il mistero della persona del Maestro, e il senso dei suoi insegnamenti, alla luce della Risurrezione.
Che la loro comprensione sia ancora imperfetta, lo si può comprendere dalle parole che i discepoli gli pongono:
«Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?».
Perché è una comprensione imperfetta del mistero di Cristo? Perché i discepoli pensano ancora che Gesù sia quel Messia politico e nazionalista che avrebbe radunato un esercito e cacciato con la forza il potere oppressore romano, rendendo finalmente libero il paese. Evidentemente si sbagliano e la risposta di Gesù si fa in qualche modo evasiva rimandando al momento in cui i discepoli ricevendo lo Spirito Santo avranno una comprensione piena e vera della volontà e del progetto salvifico divino.
«Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Sono le ultime parole di Gesù prima di ascendere alla destra del Padre. E in effetti da lì a qualche attimo dopo, viene sottratto alla loro vista, mentre scompare avvolto in una nube.
Il Figlio di Dio fatto uomo e sceso sulla terra, aveva portato il cielo sulla terra: la salvezza, la gioia, la speranza. Ora ascendendo, porta al cielo la terra. Non torna alla destra del Padre così come era disceso, ma c’è stato un cambiamento: ha assunto una natura umana che prima non aveva, ha patito la morte e con i segni della passione torna in cielo.
Da questa prospettiva siamo chiamati anche noi, in qualche modo, a cercare il cielo sulla terra: la presenza di Dio attraverso i nostri fratelli, tra le strade della nostra città, negli eventi della nostra quotidianità. Allo stesso modo, guardando il cielo siamo chiamati a riconoscere che quella è la nostra terra, la nostra patria, la nostra meta, perché Gesù ascendendo è andato a prepararci una dimora. Sono queste le sue stesse parole rivolte ai discepoli nel vangelo di Giovanni:
Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. (Gv 14,1-3)
E mentre i discepoli stupiti e sgomenti per quello che vedono e il rendersi conto che ormai dovranno fare a meno del Maestro, appaiono degli angeli a rincuorarli:
Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo

Fino a quel momento i discepoli avevano vissuto in completa dipendenza di Gesù: loro lo seguivano e più o meno facevano quello che lui comandava. E ora? Ora lo fissano andare via e non sanno cosa fare. È venuto il tempo in cui devono imparare a camminare con le loro gambe, a cavarsela da soli. Gesù si comporta come un genitore che a un certo toglie le rotelle alla bicicletta di suo figlio perché imparando a pedalare, cresca.
Con la venuta dello Spirito Santo avranno tutto ciò di cui hanno bisogno per comprendere appieno il suo messaggio e portare avanti il progetto salvifico del Maestro.
La promessa che gli angeli fanno, circa il ritorno del Messia non solo deve rincuorare quei discepoli che ora si sentono persi, ma rivela anche qualcosa di importante per tutti noi: amare è abbandonarsi senza sentirsi mai abbandonato. Gesù non lascia orfani i discepoli e non è insensibile alle nostre richieste, semplicemente si fa con discrezione di lato perché anche noi facciamo la nostra parte.
Da bambini abbiamo imparato ad andare in bicicletta anche cadendo, ma sapendo che non venivamo lasciati da soli e che in nostro soccorso sarebbe venuto qualcuno a rialzarci. Tuttavia è necessario imparare dai nostri fallimenti, cadere e rialzarsi, per poter crescere e acquisire nuove abilità. Lo stesso accade nella via della santificazione personale. Dio vuole che tu sia santo, che tu abbia la salvezza eterna e viva un vita felice. Il progetto è tanto ambizioso quanto bello, ma non impossibile. Si tratta di provare, di mettersi in gioco senza arrendersi mai.
Gli angeli invitano i discepoli a distogliere lo sguardo dal cielo e on qualche modo a cercare il Maestro nella loro quotidianità. L’esortazione degli angeli riguardai cristiani di tutti i tempi, quelli che cercano segni dall’alto per credere, per avere conferme e risposte da Dio. Davvero abbiamo ancora bisogno di segni e miracoli per credere? Dal canto suo, c’è da dire che la fede non è astrazione, non è adesione a dogmi o teorie, ma vita concreta, incontro con quel Dio che ci viene incontro attraverso la vita di tutti i giorni. A questa concretezza sono invitati non solo i discepoli in attesa dello Spirito Santo, ma ognuno di noi che quello Spirito abbiamo ottenuto tanto nel Battesimo e ancor di più nella Confermazione.
Vangelo
In quel tempo, [ Gesù apparve agli Undici ] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Il brano evangelico si apre con un invito di Gesù: quello di una predicazione itinerante e ininterrotta:
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura.
Si tratta di annunciare la buona notizia di una salvezza che non è per pochi eletti, ma per tutti. Anche se poi non tutti la accoglieranno, i discepoli, e di conseguenza ognuno di noi, saranno chiamati a non fare differenze. È interessante, però, ciò che Gesù aggiunge a questo invito:
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato
Gesù rivela qualcosa che di fondamentale: la fede è causa di salvezza. Da cosa si distingue, però, una fede vera e aperta alla vita eterna da una fede ipocrita, di facciata? Lo aggiunge poco dopo:
Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno
Di cosa si sta parlando? Di un riportare a Dio sanando i cuori e le anime, di costruire ponti e comunione con coloro che in qualche modo non ci capiscono, di vincere il male di questo mondo e guarire chi è nella sofferenza. È interessante perché Gesù sta affermando che la vera fede, quella che ti causa la salvezza, si giudica nella misura in cui il tuo relazionarti con l’altro gli apporta dei benefici vitali, di eternità. In qualche modo sembra che Gesù ci dica che se vuoi salvarti devi amare il fratello e fare in modo che questi grazie a te possa aprirsi a Dio e fare a sua volta lo stesso.
Come possiamo, allora, avere la pretesa di dire “Padre nostro che sei nei cieli”, se poi non amiamo il fratello nostro che è qui in terra? Come possiamo pensare di dimenticare che tutto il giudizio finale dell’uomo si giudica nell’amore? Fu Gesù stesso a rivelarlo ai discepoli in uno dei suoi insegnamenti:
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,34-36.40).
In conclusione, possiamo ben vedere come l’Ascensione indica una via al cielo, che è per tutti noi se decidiamo davvero di seguire l’esempio di Cristo. Gesù salendo al cielo apre le porte del cielo per tutti noi e non ci chiede altro che farci suoi testimoni e amare il nostro prossimo a partire proprio dalla nostra famiglia, dalla nostra comunità, estirpando via il veleno dell’orgoglio e del pregiudizio, cacciando via i demoni del rancore e dell’arrivismo, sanando fratture e incomprensioni.
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