In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9-11).
Il brano del vangelo di questo quinto giovedì di Pasqua si trova, a livello narrativo, in maniera consequenziale all’insegnamento dei tralci e della vite (Gv 15,1-8; vedi approfondimento al link in basso).
Poco prima Gesù aveva esortato i suoi discepoli a restare intimamente uniti a lui come la vite al tralcio perché la loro vita possa avere un senso, portando frutto. In questo brano viene ulteriormente approfondito in cosa debba consistere questa unione con lui. Il legante discepolo-Gesù è lo stesso che tiene saldamente uniti il Padre con il Figlio, è appunto l’amore. L’amore del Padre è per Gesù il motivo fondante che lo spinge alla missione (Cfr. Gv 3,35; 5,20; 10,17), da questo amore nasce l’esigenza, da parte del Figlio, di amare i suoi discepoli (Gv 13,1). A partire da questa esperienza cristica dell’amore del Padre, nasce l’invito ai discepoli di rimanere, e permanere, in quest’amore e fare di esso il primo tra i comandamenti e segno di riconoscimento di tutti i cristiani:
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).
Se a motivare Gesù alla missione era l’amore del Padre, allo stesso tempo l’amore del Figlio diventa il motivo della missione dei discepoli. Da qui il primo effetto della fedeltà a Cristo: la gioia. È con questa annotazione, infatti, che si conclude il brano evangelico di oggi, e di cui l’apostolo Giovanni ne fa esperienza comunicandolo alla comunità da lui fondata:
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (Gv 15,11).
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena (1Gv 1,1-4).
Si tratta di una gioia escatologica, destinata al tempo del compimento della salvezza, che in qualche modo è possibile pregustare, anche se in maniera imperfetta, in questa vita. Così la descrive il biblista Wilckens nel suo commento esegetico al Vangelo secondo Giovanni:
L’esperienza di una vicinanza a Dio, che si dà laddove al presente terreno si schiude il mondo superiore della vita celeste e perfetta
(U. Wilcknes, Il Vangelo secondo Giovanni, Paideia, 2002 Roma, p. 305)

Si tratta di una gioia che i discepoli possono già pregustare come frutto dell’esperienza dell’amore di Cristo per loro. Un amore che è per i cristiani di tutti i tempi che decidono di permanere in Cristo, vivere alla presenza di Dio, conformarsi a lui e accogliere la sua missione nella loro vita.
Il rimanere nell’amore di Cristo, e condividerlo con il prossimo, è causa di gioia escatologica e mistica nel cristiano, nel momento in cui questi riconosce che una vita senza amore è una vita persa, inutile, fallimentare. Mai si potrà dire una persona felice quella che è incapace di riconciliazione, incapace di debellare odio e vendetta dal suo cuore.

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