Mercoledì della III settimana di Pasqua
In quel tempo, disse Gesù alla folla: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,35-40).
Come abbiamo avuto modo di approfondire nel precedente articolo – Dalla pancia al cielo – la liturgia della Parola, in questo tempo di Pasqua, ci sta facendo riflettere sul sesto capitolo del Vangelo di Giovanni.
Il brano di questo mercoledì della terza settimana di Pasqua, nel suo contesto, si situa all’interno di un confronto tra la folla di curiosi e il Maestro che illumina la loro mente e il loro cuore e, pazientemente, li conduce per la via della fede. Seguono Cristo non perché credono in lui, a priori, e nemmeno per aver visto le sue opere, i suoi miracoli e le sue guarigioni. Lo seguono perché aveva saziato la loro fame (Cfr. Gv 6,1-15 vedi anche l’approfondimento La moltiplicazione dei pani e dei pesci), perché sperano di poter ottenere qualcosa in cambio. Eppure, nonostante questo, Gesù non li allontana, ma li accoglie. Ecco il senso dell’amore divino, ecco il senso dell’amore cristiano al quale ognuno di noi è chiamato. Un amore oblativo, gratuito, che non chiede nulla per sé, ma tutto dono e tutto si dona.
Su questa scia si situa il brano del vangelo di oggi, dove Gesù continua ad esortare le folle alla fede, rivelando il volto di un Dio che è Padre, il cui unico volere è la salvezza degli uomini. Ed è a partire da questa rivelazione dell’intimità divina che si comprende la vera identità del Messia di Nazareth come Figlio unigenito del Padre, suo mediatore e via retta che conduce alla salvezza tutto il genere umano.
Chi sono io per te, Signore Gesù?

Arriviamo, dunque, al tema principale del vangelo di oggi e che dà il titolo al nostro articolo. La domanda “Chi sono io per te?”, l’abbiamo tante volte posta alle persone a noi care, soprattutto è una domanda che a un certo punto si pongono due innamorati, quando vogliono capire a che punto è la loro relazione.
È la domanda che pose Gesù ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che io sia?”… “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mc 8,27.28). Oggi, con questo brano del Vangelo, in qualche modo, la domanda si capovolge: Chi siamo noi per Cristo? Ecco, Gesù dà una risposta a questo interrogativo a cui spesso, forse, diamo per scontato. Prendiamo i versetti 37 e 39 del brano evangelico in questione:
37 Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori… 39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Quello che Gesù sta dicendo è davvero qualcosa di sconcertante: noi siamo il dono del Padre al Figlio, e questi accoglie questo regalo come qualcosa così prezioso che deve essere custodito gelosamente, perché ha il profumo della tenerezza, fa palpitare il cuore di chi lo ha ricevuto. Penso che questo sia qualcosa per cui fare memoria ogni giorno, appena svegli: “Io sono un dono… un dono di Dio per Cristo”. Quando nella vita non tutto va come vorremmo, quando non facciamo che accumulare insuccessi, quando ci sentiamo soli ed esclusi, incompresi e provati, quando finiamo per non credere più in noi stessi e sfiduciati della vita lasciamo scivolare la nostra autostima sotto le suole delle nostre scarpe, ecco, ripetiamoci: “Io sono un dono… un dono di Dio per Cristo”. Forse gli altri non crederanno mai in noi stessi e sulle nostre capacità non scommetteranno mai un centesimo, e anche quando noi potremo essere tentati di non credere in noi stessi, ecco Dio Padre sì, Cristo stesso sì. Noi valiamo il sangue di Cristo, noi valiamo quell’incarnazione per cui la seconda Persona della Santissima Trinità ha voluto farsi uguale proprio a noi, così come siamo.
Pensate che sia troppo? Troppo bello, troppo grande? Beh, non è ancora tutto. Come se non fosse sufficiente per metterci in crisi, l’amore di Dio continua a lasciarci spiazzati e quasi senza fiato. Vediamolo insieme, tornando al versetto 37:
37 Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori
L’amore di Dio precede il tuo stato di grazia o peccato. Dio ti ama, punto. Dio ti ama al di là di tutto. Cristo ha dato la sua vita non per un’umanità già santa, ma quando ancora era immersa nel peccato. Dice infatti S. Paolo:
Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,8).
La conversione, il cammino serio per la santità, non nasce per noi come obbligo o conseguenza all’atto salvifico divino. Tu decidi di farti santo e camminare nella via della grazia perché comprendi che di fronte al tanto amore ricevuto non si può rimanere inermi. L’amore quando è davvero gratuito, e soprattutto così immenso come quello divino, impone sempre in chi lo riceve, un mutamento, un dinamismo di corresponsione. Cristo ti accoglie nella sua vita, così come sei, come un dono prezioso del Padre… e tu, allora, cosa ne vuoi fare della tua vita?
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