Gioia: vivere da risorti col Risorto

La Pasqua e la gioia

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Nel precedente articolo (Resta con noi), abbiamo commentato il brano lucano dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), e abbiamo avuto modo di approfondire come la loro tristezza (v. 17) fosse indice di una incredulità che si manifestava anche nel non aver saputo riconoscere in chi gli parlava il Signore Risorto (v. 16). In effetti la tristezza e la cecità nei Vangeli è rivelatorio di una persona che cammina nella direzione opposta a quella indicata dal Maestro. È quello, per esempio, che accade al giovane ricco: un uomo alla ricerca di senso e di pienezza di vita, il quale una volta rivelato per quali “strade” debba camminare per avere ciò che cerca, a motivo della sua idolatria, decide di andare per il sentiero opposto: dando le spalle al Cristo si incammina nell’infelicità.

Ed ecco, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». 17Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso,19onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso».20Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». 21Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». 22Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze. 23Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. 24Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 25A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». 26Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».
27Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». 28E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. 29Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. 30Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi
(Mt 19,16-30).

La gioia, abbiamo detto più volte, è la carta d’identità del cristiano. Da essa promana la prima testimonianza della sua fede, prima ancora delle sue parole: ed è una gioia tutta pasquale. È la gioia di chi si sente tratto dalle tenebre della morte e del peccato alla luce della vita e della grazia e il tutto con il minimo sforzo: Cristo ha fatto al di là dei meriti dell’uomo. Leggiamo infatti nella lettera di san Paolo ai Romani:

6Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. 7Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. 8Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. 19Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti (Rm 5,6-8.18-19).

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Ma perché Dio ci salva? Perché permette l’incarnazione del suo Figlio unigenito, ciò che ha di più caro e prezioso? Perché lascia che questi venga rifiutato, umiliato, sputato, percosso, tradito, condannato, spogliato e costretto alla più infamante e angosciante delle morti? Perché?

Perché evidentemente ne valeva la pena! Perché evidentemente tu vali molto di più di quello che pensi. Perché evidentemente tu sei caro a Dio, anche quando gli altri ti dicono il contrario. Tu vali il sangue del Figlio di Dio su quella croce, tu vali la sua incarnazione, il suo rifiuto, la sua morte e la sua risurrezione, E tutto questo mentre sei nel peccato. Ma allora cosa puoi farne della tua vita, quanto ancora puoi ricevere, se cammini nella grazia di Dio? Se decidi di impegnarti di camminare per le sue vie, provare a santificare le tue giornate, tentare di farti suo collaboratore nel consolare i cuori afflitti, nel portargli anime da salvare? È a partire da questa consapevolezza che si può vivere e comprendere il senso e la profondità di una gioia pasquale che non è per pochi eletti, per i cosiddetti “cristiani praticanti”, per la piccola cerchia della comunità, della famiglia e degli amici. Cristo muore e risorge anche per il tuo nemico, per quello che devi imparare a perdonare e accogliere, muore e risorge per il non credente al quale tu devi dare la tua testimonianza di fede, muore e risorge per chi lo ha condannato e ucciso e per chi costantemente lo umilia nel suo prossimo. Ed è proprio in questi contesti nel quale il cristiano deve intervenire, farsi continuatore dell’opera salvifica di Gesù nella storia, ed è proprio in questi contesti difficili che il cristiano deve cogliere la gioia della Pasqua, nell’assimilarsi al Figlio, farsi simile a lui in tutto, nella vita come nella morte, per risorgere con lui e vivere già da ora come persona risorta: con i piedi ben piantati su questa terra, ma con lo sguardo e il cuore al cielo, verso colui che ce lo ha rapito. Se la morte e risurrezione di Cristi non è stato un privilegio solo per pochi giusti, come potremo pensare che la gioia della Pasqua sia solo per i pochi intimi, per quelli con i quali andiamo d’accordo, o al massimo condividiamo dei valori di fondo? Ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente siamo chiamati a condividere.

Il primo insegnamento di Gesù ai discepoli è proprio questo. Nei Vangeli tutti coloro che fanno l’esperienza della Risurrezione, vanno subito a condividerne la gioia e la notizia con gli altri. Alle donne, che portano gli unguenti per il corpo di colui che credono morto, sarà un angelo che darà il lieto annuncio del Risorto ed esse avranno la missione di farsi portatrici di gioia ai discepoli, e a farlo con grande urgenza: correndo (Cfr. Mt 28,8; Cfr. Gv 20,2). Lo stesso accade nel Vangelo di Marco dove Maria di Magdala è esortata a mutare il lutto dei discepoli in gioia (Cfr. Mc 16,9-10). Anche nel brano dei discepoli di Emmaus c’è questo doppio movimento: uno interiore (dalla tristezza alla gioia) ed uno fisico (il ritorno dai discepoli come persone rinnovate e con un annuncio importante). A questo duplice cammino di una gioia che è tale solo se la si condivide, siamo chiamati come cristiani. Scrisse Enzo Bianchi in un articolo pubblicato su Avvenire nel 2014:

È la gioia del sapere che attraverso le proprie vite fragili e contraddittorie, attraverso il proprio operare spesso incoerente, attraverso il farsi prossimo che la buona notizia della risurrezione può non solo raggiungere tutti, ma coinvolgerli in una capacità di sguardo nuovo sulle vicende umane, in una contemplazione delle meraviglie di Dio che, nonostante tutto, continuano ad accadere nella storia. In questa luce pasquale i cristiani ritrovano lo sguardo che scruta l’invisibile e coglie all’interno delle vicende quotidiane una promessa di vita che non muore. (E. Bianchi, Pasqua: una gioia per tutti, Avvenire 20.04.2014) 

Solo allora insieme con Cristo anche noi usciremo dalle tombe delle nostre chiusure, delle piccole ed asfissianti sicurezze, dagli egoismi e dall’esclusivismo, per raggiungere tutti gli altri destinatari di questo annuncio universale e svolgere quel compito a cui il Risorto chiama anche noi quali suoi testimoni e discepoli. La vittoria di Cristo sulla morte è la vittoria di ogni cristiano sul proprio peccato, sulle proprio chiusure e sulle logiche mondane dell’accaparramento ad ogni costo. È la vittoria sul ritenere che l’unica risposta ad un’offesa sia un’altra offesa, sul drammatico credere che le nostre lacrime righeranno in eterno i nostri volti e che non ci sia un Dio vittorioso che ci chiama a partecipare della sua gloria e della sua vita eterna, non come estranei, ma come membri della sua famiglia, come figli prediletti, amati e riscattati.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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