Il tradimento di Giuda

Poiché il brano evangelico di questo martedì santo è davvero molto ampio, ci soffermeremo in particolare su una sua sezione, in particolare sulla presenza di Giuda a tavola con Gesù:

Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». 22I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. 23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. 24Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. 25Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». 26Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. 27Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». 28Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; 29alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. 30Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. (Gv 13,21-30)

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Il contesto nel quale questo brano si situa è l’ultima cena, così come narrata dall’evangelista Giovanni. Poco prima Gesù aveva lavato i piedi dei suoi discepoli (Cfr. Gv 13,1-20). Segue un lungo commiato di Gesù che lascia le sue ultime istruzioni ed esortazioni ai discepoli (Cfr. Gv 13,31-17,26).

Proprio durante l’ultima cena, si situa la denuncia dell’imminente tradimento di Giuda, uno dei suoi amici più intimi, spettatore della sua predicazione e dei suoi miracoli e che, nonostante tutto, favorirà la condanna a morte del Maestro. In un contesto di tale tensione dove Gesù appare profondamente turbato (v. 21), i discepoli esterrefatti si chiedono chi possa macchiarsi di un crimine tanto infamante (v. 22). Il loro è uno stupore colmo di dolore e di affetto verso il Maestro. Così il discepolo amato sollecitato da Pietro chiede a Gesù chi sia il traditore (vv. 23-25) e lui senza sollevare dubbi afferma che si tratta di Giuda (v. 26). Quest’ultimo, che già era in qualche modo incline al male (Cfr. Gv 6,70), aveva poco prima aderito al progetto ispirato da Satana (Cfr. Gv 13,2), ora, dopo quel boccone, se ne fa suo collaboratore e mette in atto lo scellerato piano (v. 30). È interessante che l’evangelista Giovanni ponga in parallelo l’amore degli undici verso il Maestro con l’odio immotivato del traditore, perché il gesto di quest’ultimo appare ancora più mostruoso, rispetto al comune sentire affettivo del gruppo.

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Se Gesù sapeva che sarebbe stato tradito, perché non evitò quel concatenarsi di eventi nefasti?

Anche nel momento del tradimento, dell’angoscia, della passione e della morte, il Figlio di Dio che è padrone della storia e del tempo, non si lascia trascinare o schiacciare dagli eventi, al contrario li domina. Non fugge la passione e la morte, ma le affronta e le vince, salendo su quel patibolo che diviene il suo trono glorioso.

Il Gesù che si turba per il tradimento di una persona a lui cara è un Gesù profondamente umano che condivide i nostri stessi sentimenti quando vediamo tradita un’amicizia. Ama le persone a lui vicine e soffre quando un legame viene spezzato senza nemmeno una valida motivazione, proprio come nel caso dell’Iscariota. Ma nello stesso modo ci invita anche a saper gestire questi momenti di crisi, a non giudicare, né deridere o allontanare chi ci ha fatto del male, e men che meno rispondere alla violenza con altrettanta violenza.

La croce addossata sulle spalle del Figlio di Dio prima di essere un fardello imposto dall’uomo, è un onere che lui accoglie nella sua vita e che non ha avuto paura di predire anche a scapito di scandalizzare, e perdere, alcuni tra coloro che lo seguivano (Cfr. Gv 6,59-71). Per Gesù la croce non è la fine, non è morte, ma è la vittoria di Dio sulla logica umana dell’odio e del calcolo, è vittoria di Dio sulle forze delle tenebre e del peccato, è la vittoria della vita sulla morte.

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La notte del non ritorno.

Non è un caso che Giuda esca col favore delle tenebre per attuare il suo progetto di morte per Cristo. La notte è il simbolo del regno delle tenebre, del male e del peccato. È la notte dell’inimicizia e del rifiuto della fede, di colui che è la luce (Cfr. Gv 3,19; 8,12), sole che sorge dall’alto ed espressione della tenerezza divina (Cfr. Lc 1,78). Addentrarsi in questo cammino oscuro e senza orientamento significa perdersi (Cfr. Gv 12,35). E Giuda si è perso. Ha perso la propria anima, la propria identità di discepolo e amico di Cristo, per farsi amico del nemico, collaboratore di Satana.

Di notte, dunque. Lì dove l’incredulo Nicodemo cercava conferme dal Nazareno per trovare luce per il suo cammino (Cfr. Gv 3,1-2), Giuda invece dà le spalle, compie un definitivo cambio di direzione (Cfr. Gv 12,46), un cammino incerto, pericoloso perché è causa di cadute (Cfr. Gv 11,9-10), di dolore.

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Giusto un boccone per aderire a Satana. Esiste una comunione di condanna?

Beh sì, lo fu in qualche modo quella di Giuda, e non solo. Mi colpisce molto che una delle preghiere silenziose del presbitero prima di comunicarsi è:

«La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia sia difesa e rimedio dell’anima e del corpo »

Chi ha l’odio nel cuore, chi cova rancore, vendetta, chi pianifica la morte dell’altro, chi non è in comunione con Dio e con la sua Chiesa, chi non è riconciliato e non ha i presupposti, né la volontà, per essere in comunione con Cristo, come può pensare di riceverne il suo corpo? È un abuso, uno strumentalizzare Dio e i suoi sacramenti. Quello che in qualche modo fece lo stesso Giuda: aveva la morte nel cuore, e sedette alla tavola con Cristo nella sua ultima cena.

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Giuda nostro fratello.
Era così che don Primo Mazzolari appellava Giuda (clicca su questo articolo per ascoltarne per intero l’omelia). Per quale motivo? Perché Giuda, per quanto fosse un amico intimo di Gesù, non era esente da cadute e infedeltà. E lì dove queste non si tramutano in pentimento e conversione (come invece farà Pietro), l’abisso delle tenebre si spalanca per inglobare l’uomo in un via di non ritorno.

Per questo non dobbiamo mai smettere di chiedere a Dio la grazia della perseveranza nel camminare nella sua legge e nella sua amicizia, per questo non bisogna mai smettere di vivere i sacramenti, soprattutto quello della riconciliazione che ci apre una via di ritorno dal regno delle tenebre a quello della luce.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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